Una posizione ragionevole sull’uso delle parole
Ci rendiamo perfettamente conto di quanto sia scivoloso l’argomento, ma proviamo ad affrontarlo con tutto il rispetto, e anche con tutto il realismo, che meritano le tragedie, soprattutto cercando di sottrarci al fascino perverso di quelle parole che troppo spesso oscurano i fatti.
Viviamo un’epoca simile, in fondo, a tutte le altre; epoche in cui le passioni diventano grida, le convinzioni diventano invettive e i propri buoni propositi diventano aggressioni a quelli altrui. La logica (se è lecito impiegare questo termine) è sempre la stessa: usare le parole come pietre virtuali a cui far seguire quelle materiali. Le guerre fra i popoli e all’interno dei popoli stessi -religiose, civili, etniche- hanno sempre avuto, prima e durante il loro compiersi, il presupposto linguistico e semantico delle parole trasformate in armi improprie.
Con una differenza profonda che oggi si impone a questa usanza secolare: il ruolo dei mezzi di comunicazione i quali hanno raggiunto una enorme potenza di fuoco grazie alle moderne tecnologie che l’hanno amplificata e intensificata. Giornali cartacei e digitali, televisioni, piattaforme social, spesso piegati alle esigenze della propaganda, hanno invaso la nostra esistenza con parole dallo scarso contenuto razionale e dall’immenso contenuto emotivo, falsando quell’esercizio pubblico della ragione che più volte abbiamo richiamato e auspicato su queste pagine.
Tutto ciò per affrontare il tema dell’”israelismo” che, dopo i fatti del 7 ottobre scorso, è diventato dominante nel dibattito politico. Che cosa intendiamo per “israelismo”? Come tutti gli “ismi”, significa semplicemente l’enfatizzazione e l’estremizzazione di un concetto e di un sentimento; in altre parole lo schierarsi senza se e senza ma dalla parte di Israele, ignorando o sottovalutando tutto il resto, in particolare le possibili ragioni dei suoi avversari, sia che questi siano i suoi nemici storici come Hamas, sia che siano coloro che nella narrazione pubblica criticano le scelte del governo di Tel Aviv.
Non andremo certo a impantanarci nella palude del dibattito storico-politico mediorientale, sia quello passato sia quello presente, con tutte le colpe, le giustificazioni, le accuse reciproche delle parti in causa e tutto il loro scontato armamentario propagandistico: non ne abbiamo voglia e competenza, ma vorremmo limitarci a considerare, come facciamo spesso, l’impatto di tutto ciò sulla mentalità collettiva.
Un esempio, fra i moltissimi, di questa psicologia divisiva, estremizzante, intollerante si è materializzato qualche giorno fa nella provinciale e civilissima Cuneo dove alcuni studenti del liceo hanno esposto uno striscione pro-Palestina che riportava la frase “stop al genocidio”, prontamente rimosso -sembra con metodi non proprio civili- da un professore che ha accusato gli studenti di antisemitismo. Ne è nata la solita stancante polemica fra “israelisti” e “palestinisti” con tutte le argomentazioni del caso. Casi simili, però con connotazioni violente, sono avvenuti e avvengono ormai spesso in tutto l’occidente.
Quello che interessa e stupisce è la sgradevole confusione semantica, ormai usuale e scontata, fra antisemitismo, antisionismo, anti-israelismo; confusione tutt’altro che involontaria e piena di odio ideologico a cui peraltro nessun intellettuale, nessun maître à penser, fra quelli che giornalmente fanno la punta alle opinioni altrui, si è opposto.
E’ appena il caso di ricordare che l’antisemitismo è odio verso un popolo, l’antisionismo è opposizione a un nazionalismo esasperato, l’anti-israelismo è critica verso l’operato di uno specifico governo. Si tratta di distinzioni che sfuggono a troppe persone nemiche del rigore intellettuale e delle categorie interpretative, le quali non possono che essere molteplici. In fondo è lo stesso schema primitivo che è stato ripetuto, e viene ancora ripetuto nel dibattito politico internazionale, fra russofili e russofobi, putinisti e anti-putinisti.
L’idea che la realtà sia una cosa complessa, una specie di grande pavimento a scacchi bianchi e neri, sembra non appartenere più all’universo intellettuale della politica -cosa normale- ma neppure a quello della cultura e dell’informazione, cosa invece assolutamente detestabile.
E l’israelismo è un prodotto inevitabile di questa patologia intellettuale. Nessuno, dotato di ragione, può negare l’oltraggio sanguinoso subito da Israele il 7 ottobre ma nessuno, sempre dotato di ragione, può negare la strage degli innocenti che Israele sta barbaricamente attuando a Gaza e dintorni. E’ così difficile vedere e capire? E’ così impossibile ripartire equamente colpe e giustificazioni?
Ora, che il fanatismo islamico e filo-islamico e i filopalestinesi granitici non abbiano dubbi sulle colpe di Israele e oltrepassino sovente il confine dell’antisemitismo più brutale è comprensibile, dato l’odio atavico che coltivano verso gli ebrei. Ma stupisce l’atteggiamento quasi analogo di molti che vedono Israele come una vergine violata sin dai tempi di Nabuccodonosor, una perenne vittima sacrificale di olocausti da risarcire in qualche modo (meccanismo ben descritto da un ebreo critico come Norman Finkelstein), una democrazia sempre in pericolo di fronte alla minaccia di eterni nemici.
Una democrazia, appunto. E’ possibile e lecito che una democrazia forte e compiuta come quella israeliana si abbandoni alla vendetta contro una popolazione palestinese vista come complice di Hamas o, peggio, come una collettività da estirpare dalla sua terra per convogliarla altrove? E’ possibile che una democrazia, per quanto sotto assedio, decida di annientare i suoi nemici terroristi distruggendo una terra intera?
Le dichiarazioni di Netanyahu, di molti suoi ministri, dei suoi ambasciatori all’estero sono impossibili da tollerare per il loro fanatismo, la loro violenza, la loro mancanza di umanità. Intollerabili proprio perché provenienti da una democrazia.
Ma gli israelisti perseverano. I più rozzi senza porsi domande, i più raffinati cospargendo i loro ragionamenti con molti se e molti ma, e sempre portando avanti il tema dell’antisemitismo, argomento per loro decisivo, indipendentemente dal fatto che esso sia un fenomeno ristretto a poche categorie di odiatori seriali imperversanti sui social. In molti casi poi, gli israelisti attaccano non solo chi critica il loro idolo ma non tollerano neppure la prudente e ragionevole equidistanza di chi evidenzia anche le grandi colpe dello stato ebraico; per questo nuovo fanatismo intellettuale e politico equidistanza significa semplicemente complicità con Hamas, e non è tollerato nemmeno il ragionevole dubbio.
Solidarietà a Israele? Certo, tutte le volte che è giusta e necessaria, ma non sempre e incondizionatamente, anche se ciò dispiacerà ai vari Sechi, Sallusti, Capezzone, che peraltro in molte altre occasioni hanno saputo essere critici acuti e implacabili delle tante stupidità politicamente corrette che ammorbano l’informazione, la società e la politica italiana; e a cui vogliamo comunque bene per il loro forte anticonformismo, che in questa occasione però non hanno saputo dimostrare.
Speriamo in un qualche loro ravvedimento operoso.
Civico20News
Elio Ambrogio
Editorialista
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Nell’ editoriale di Elio Ambrogio va “quasi tutto bene” – tranne la frase finale dove lancia un “auspicio di ravvedimento”. Di chi? Di quelli come me che pensano che Israele (con tutti i suoi difetti) sia il baluardo + avanzato in campo avverso del “sistema occidentale”? I primi a doversi ravvedere sono i palestinesi che vivono e manifestano non sempre pacificamente nelle nostre città (dove dovrebbero essere ‘ospiti’), per nn parlare del terrorismo mediorientale in Eu).