Le produzioni militari nel gruppo Fiat
La produzione di mezzi e attrezzature militari della Fiat ha radici antiche. C’è stato un inizio da primato nel corso della prima guerra mondiale. Il carro Armato Fiat 2000.
Nel 1916, sui campi di battaglia francesi fa capolino una temibile arma che sconvolge le tattiche militari: il carro armato. Alla FIAT l’esercito italiano affida il compito di progettare un carro tutto italiano. Non si perde tempo a Torino e nel 1917 viene prodotto il Fiat 2000, in due soli esemplari, uno fabbricato nel 1917 e l’altro nel 1918. Era un carro armato da 40 tonnellate, il più pesante della sua epoca, se si esclude il K-Wagen tedesco, il Kolossal Kampfwagen che di tonnellate avrebbe dovuto pesarne addirittura 120, ma che la Germania non riuscì mai a completare prima della fine della guerra.
Il Fiat 2000, oltre ad essere stato il primo carro armato progettato e realizzato in Italia, presentava anche alcune interessanti novità: era provvisto ad esempio di una torretta girevole, al pari del Renault FT francese. All’interno della torretta era alloggiato un cannone 65/17 – modello 1908/1913 – al quale erano state applicate una serie di modifiche.
Si trattava di un classico pezzo d’accompagnamento concepito per aumentare la potenza di fuoco delle unità di fanteria che il carro avrebbe dovuto supportare. Inoltre, il Fiat 2000, era stato realizzato in modo che il vano motore fosse separato dalla camera di combattimento che era in grado di ospitare ben 10 uomini. Una vera fortezza mobile il cui armamento era completato da sette mitragliatrici Fiat Revelli, modello 1914 da 6,5 millimetri. Le armi erano disposte in modo tale che ogni settore del carro fosse coperto contemporaneamente da almeno due mitragliatrici. Impossibile avvicinarsi non visti. Le Fiat Revelli spuntavano dai due lati e dai quattro angoli della casamatta.
Frontalmente il carro presentava una cabina corrazzata sporgente dove prendeva posto il pilota che, per la guida, disponeva di un’ampia apertura anteriore, protetta da uno sportello corazzato. Sui due lati si aprivano altrettante feritoie chiudibili. In assetto da combattimento, con gli sportelli chiusi, il pilota poteva condurre il mezzo utilizzando un apposito periscopio. I mitraglieri, oltre alle aperture dalle quali spuntavano le sette Fiat-Revelli, disponevano anche di 8 feritoie con sportello, due sul retro e altre sei, aperte tre per ognuno dei due lati. Il cannoniere e il servente infine, si installavano nella torretta. Al carro si accedeva da uno sportello aperto sul lato destro. Il progetto del Fiat 2000 si ispirava a quello del carro d’assalto britannico «Little Willie» e fu sviluppato da Carlo Cavalli e Giulio Cesare Cappa.
Il carro era spinto da un motore a benzina, di origine aeronautica: un Fiat A12 da 21.200 cm³ a 6 cilindri verticali in linea, che era alloggiato nella parte posteriore del vano motore. Poteva erogare una potenza di 250 cavalli vapore a 1400 giri al minuto, cosa che permetteva al Fiat 2000 di viaggiare ad una velocità di 7,5 km/h. Il serbatoio era capace di 600 litri. Ma l’autonomia del mezzo si limitava a 75 km.
La fine della grande guerra raffreddò l’interesse per i carri armati. I due esemplari costruiti furono assegnati alla 1ª Batteria autonoma carri d’assalto di Torino. Ognuna delle due sezioni che la componevano, schierava un Fiat 2000 e 3 carri Renault F. Nel 1919, l’unità venne trasferita in Libia con compiti antiguerriglia. Uno solo dei due carri Fiat 2000 raggiunse però l’Africa prendendo parte alle operazioni nell’area di Misurata. Al termine di quella campagna non fu più fatto rientrare in Italia. Il mezzo, troppo lento e pesante, si era rivelato inutile per le lotta ai guerriglieri. Non si sa che fine abbia fatto.
L’altro esemplare, rimasto in Italia per condurvi sperimentazioni, confermò che una macchina di quelle dimensioni era troppo lenta e pesante per i teatri operativi della penisola. L’industria si orientò quindi verso la progettazione di carri più piccoli e veloci. Nacque il Fiat 3000. Le ultime notizie circa il secondo dei FIAT 2000 esistenti risalgono al 1936 quando il carro risultava utilizzato – sembra come monumento – all’interno della caserma Corrado Mazzoni di Bologna, che ospitava il 3º Reggimento fanteria corazzato.
La conservazione della replica del carro armato presso il Museo delle Forze Armate 1914-1945 di Montecchio Maggiore, nasce dalla volontà di un comitato formato da tre associazioni che, a partire dal 2017, si sono impegnate per il reperimento della documentazione tecnica necessaria a costruire una copia esatta e funzionante del mezzo. Le carte infatti erano conservate soprattutto all’estero. Ultimata questa fase, la costruzione vera e propria del veicolo ha avuto inizio a Montecchio Maggiore nel novembre del 2018. I lavori sono stati promossi e seguiti dall’«Associazione Nazionale Carristi d’Italia», dall’Associazione «Cultori della Storia delle Forze Armate» e dall’Associazione culturale «Raggruppamento SPA».
La splendida replica è stata ultimata nel novembre del 2020 ed ora può essere ammirata presso il memoriale dei carristi allestito all’interno del Museo delle Forze Armate 1914-1945 di Montecchio Maggiore.
Le produzioni militari nel gruppo Fiat
L’impegno della Fiat nella costruzione di mezzi militari è articolato e si è sviluppato e conservato nel tempo e principalmente nel campo dei veicoli industriali, della componentistica, dell’aeronautica, delle telecomunicazioni e nella Chimica.
Fiat fu il primo gruppo in Italia ad avviare la produzione di mitragliatrici e raggiunse subito un’alta specializzazione anche nel campo degli esplosivi, degli apparati per sottomarini, dell’artiglieria e dei motori navali nonché nel settore aeronautico. Il principale terreno d’espansione fu comunque quello degli autotrasporti. Alla Fiat fu dovuta in misura determinante la creazione ex novo e il successivo potenziamento del parco automobilistico per i servizi generali e per il trasporto delle artiglierie e delle truppe di fanteria e cavalleria. Così come gli autocarri 15bis e 15ter avevano avuto una funzione cruciale nella campagna di Libia, il 18BL ne ebbe una importantissima negli spostamenti di truppe durante la grande guerra.
L’esercito italiano aveva aperto le ostilità con 400 vetture e 3.400 autocarri, per lo più di produzione Fiat. Al termine del conflitto, nonostante le ingenti perdite subìte, si trovava a disporre di 2.500 vetture e di 28.600 autocarri. Fiat fabbricò tra il 1914 e il 1918 qualcosa come 71.000 autovetture, di cui circa 63.000 per conto non solo dell’amministrazione militare italiana, ma anche di quelle alleate. Negli ultimi mesi di guerra giunse a fornire il 92 per cento della produzione nazionale di autocarri e l’80 per cento dei motori di aviazione.
Artefice di questa strabiliante crescita produttiva e finanziaria fu un uomo che solo nel 1899 aveva fondato, col concorso di una trentina di azionisti, l’impresa che gli consentì nel 1917, dopo Caporetto, di sedere di diritto in quel Comitato Centrale per la mobilitazione industriale che riuniva i principali capitani delle industrie di guerra. Nel drappello abbastanza ristretto dei maggiori industriali italiani, Giovanni Agnelli si presentava come la personalità di maggior spicco, quella che nei rapporti sindacali, nell’organizzazione produttiva, nelle relazioni coi pubblici poteri, nelle analisi di politica interna e internazionale, mostrava le concezioni più all’avanguardia, le vedute più accorte e lungimiranti, le strategie vincenti (insuperato il profilo a suo tempo offertocene da Valerio Castronovo).
Una cultura priva di fronzoli e di orpelli retorici conferiva ai suoi interventi e alle sue discussioni una chiarezza, una linearità, una sicurezza che dai suoi detrattori era percepita anche come espressione di sussiego e arroganza. Era un lavoratore instancabile. Impersonava perfettamente i tratti migliori del piemontese risoluto e tenace, ma la sua personalità trascendeva di gran lunga per larghezza di vedute, ardimento e capacità organizzative il livello medio del pur operoso ceto industriale subalpino. Fu soprattutto per merito di Agnelli se Torino assunse quel ruolo di città di punta dell’industria italiana
Post scriptum
Per quanto concerne la seconda guerra mondiale, Secondo fonti del Ministero della Guerra, nell’Ottobre 1939 la produzione bellica inerente alla produzione di automezzi e motocicli era:
– 120 autocarri pesanti (20 Fiat, 100 Lancia).
– 500 autocarri leggeri (450 Fiat e SPA) .
– 30 trattori e trattrici (Fiat, mentre la produzione Breda era interamente riservata all’esportazione)
– 450 motocicli (150 Guzzi, 100 ciascuno Gilera, Bianchi, Benelli).
Nell’Aprile 1940 si contava di arrivare a una produzione di:
– 750 Autocarri pesanti (inclusa l’Isotta Fraschini)
– 1.210 leggeri
– 75 trattori e trattrici
– 1.200 Motocicli