Ha davvero ospitato Nostradamus, nel 1556?
La cascina Morozzo, di origine medievale, oggi non esiste più, sorgeva in via Michele Lessona 46, a Torino. Localizzata lungo la strada per Collegno, era un complesso di notevoli dimensioni composto da fabbricati rurali, abitazione e cappella; alcuni misteri circondano la sua origine e la sua esistenza: mancano i documenti sulla sua costruzione, sull’attribuzione del nome e sui tempi più antichi ed aleggia l’ipotesi che Nostradamus l’abbia abitata; da ultimo, che fine ha fatto la lapide ritrovata fra i resti della cascina, negli Anni Settanta?
Andiamo con ordine e iniziamo dalla sua descrizione. La cascina era costruita con la facciata a sud, su un rialzo di terreno dovuto al terrazzamento geologico verso la Dora, a strapiombo per alcuni metri sul Canale della Pellerina.
Il territorio circostante, agricolo, boschivo e campestre, costituiva un ambiente adatto ad una casa di campagna della nobiltà e dell’alta borghesia torinese.
Il suo primo nome è stato “La Vittoria”; qualcuno ha ipotizza appartenesse, prima del 1556, a una nobildonna di nome Vittoria, la cui esistenza non è documentata in alcuna fonte.
Nel 1706 la cascina viene utilizzata dalle truppe sabaude come base per le operazioni contro l’esercito francese, durante l’Assedio di Torino, come altre cascine (Gibellino, Calcaterra, l’Anselmetti), con l’obiettivo di usare questi edifici come basi per cannoneggiare il Castello di Lucento, occupato dai francesi al comando del generale La Feuillade. In questo frangente, un episodio documentato si svolge il 19 maggio 1706: Vittorio Amedeo II apposta nella zona dell’alveo i Dragoni del Genevois, rinforzati nella notte dai reggimenti Piemonte e Schulemburg; dodici cannoni campali, posti sul ciglio della Dora di fronte a Lucento, aprono il fuoco sul castello, stipato di viveri di ogni genere che risultano gravemente danneggiati dall’incendio sviluppatosi all’interno.
La cascina Morozzo è censita per la prima volta nella Carta topografica della caccia del 1762 come “cascina Morosso”, caratterizzata da un impianto planimetrico ad “L”, corte chiusa e giardini.
Alla fine del Settecento la cascina è indicata dal Grossi come «palazzina, e cascina del sig. Banchiere Giuseppe Francesco Martin […] situati alla destra della strada di Colegno vicino al Gibellino lungi un miglio ed un quarto da Torino». Rilevata come corpo unico di fabbrica, con corte e giardino, era inserita in un paesaggio contraddistinto da campi, prati, bealere e altre cascine.
A inizio Ottocento ne diventa proprietario il sig. Colla (secondo Elisa Gribaudi Rossi poterebbe trattarsi del gioielliere di Corte Filippo Colla che riunisce in un solo possedimento le terre presenti in quest’area della città), che impianta una bigatteria per l’allevamento dei bachi da seta; per questa curiosità, il Paroletti, nella sua Turin et ses curiosités del 1819, ne consiglia la visita al forestiero.
Nella prima metà del Novecento il parco e il giardino della Cascina Morozzo, circondati da un alto muro, sono diventati orti e frutteti, e l’edificio, in parte dimesso e disadorno come una qualunque casa di campagna di quell’epoca, risulta frazionato in alloggi, affittati per lo più ad operai ed artigiani; all’interno alcune camere sono ancora ornate di stucchi ed una sala conserva la volta affrescata.
Corrado Pagliani, sulla Rivista “Torino”, vol.14, n. 1, 1934, nel testo “Di Nostradamus e di una sua poco nota iscrizione liminare torinese”, scrive che «l’accesso abituale allo stabile era sulla via Michele Lessona, ma sulla strada della Pellerina, costeggiante il canale omonimo, una pietra, simile a quelle indicatrici di strade collinari, segnava, con la scritta “Villa la Vittoria detta il Morozzo”, il vecchio ingresso che, per mezzo di un ponticello gettato sul canale ed una rampa all’origine carrozzabile e fiancheggiata da alberi, adduceva al rustico mediante una porta carraia. Dal portone si entrava in un primo cortile avente carattere e destinazione eminentemente rurali: da esso due cancelli introducevano in un altro cortile fronteggiante gli ingressi delle abitazioni».
Nel suo articolo, Pagliani riporta la riproduzione di un dagherrotipo ottocentesco con la presunta fotografia dell’originale,
L’ingresso a Villa Morozzo, sull’attuale corso Appio Claudio, era preceduto da un cancello in ferro battuto. Un’altra testimonianza degli antichi fasti della villa era rappresentata da una cappelletta, ormai ridotta a magazzino per frutta e ortaggi. Nella cappella, rivolta verso l’esterno della corte e con il timpano triangolare, sono stati visibili, fino ad epoca recente, angioletti e rami d’acanto in stucco.
Lungo la strada antica di Collegno – che partiva dall’attuale via Cibrario, all’altezza di via Clemente, proseguiva verso nord fino a lambire la cascina – fino agli Anni Trenta del Novecento, sulla strada della Pellerina si trovava un antico segnale: “Villa La Vittoria detta il Morozzo”.
Dopo il Piano Regolatore del 1926, la planimetria viene modificata a “L” con abitazione (a tre piani fuori terra), stalle e fienili disposti intorno alla corte interna. Attualmente non resta nulla della villa e della cascina, il cui ultimo tratto di muro è stato abbattuto nel 1982 per consentire la sistemazione della scarpata che da via Sismonda scende verso corso Appio Claudio.
Così ci descrive gli ultimi tempi del Morozzo, con raffinata delicatezza, la citata Elisa Gribaudi Rossi nel suo libro Cascine e ville della pianura torinese (pagg. 133/134), quando la villa era già stata abbattuta: «Del Morozzo, palazzina e cascina del Sig. Banchiere Giuseppe Francesco Martin, rimane oggi pochissimo. Ma prendendo in considerazione il disegno della villa sulle mappe sette e ottocentesche, l’area attuale della proprietà (pur tanto ridotta) il cancello di ferro battuto sul sottostante corso Appio Claudio e soprattutto la piccola e devastata cappella, dove miracolosamente sopravvivono angioletti e rami d’acanto in stucco, si può pensare ad una dimora elegante.
Oggi, quel pochissimo che del Morozzo rimane, un edificio basso e lungo, affacciato quasi sul ciglio della scarpata, serve di abitazione a un giovane falegname che pare vivere felice in splendido e scomodo isolamento. Un palmo di orticello e la magnifica vista sulla Dora, sono l’unica ricchezza della modestissima casa.
(…) Ora gli abitanti della zona aspettano i bulldozers che prima o poi verranno a preparare il terreno per nuove costruzioni: allora essi dicono, sarà possibile rintracciare i caminetti di marmo ed altri particolari della villa sepolti sotto i detriti lungo la scarpata.»
Il Morozzo deve una parte della sua fama ad un ipotetico passaggio di Nostradamus, medico speziale, astrologo e veggente francese, nel suo soggiorno torinese del 1556, come documenterebbe una lapide originariamente collocata nella cascina.
«1556. Nostradamus ha alloggiato qui, dove c’è il paradiso, l’inferno e il purgatorio. Io mi chiamo la Vittoria. Chi mi onora avrà la gloria, chi mi disprezza avrà la completa rovina».
La lapide sarebbe rimasta murata, all’interno di ciò che restava dell’edificio fino agli Anni Quaranta, per poi scomparire misteriosamente.
La curiosa iscrizione è stata redatta in stile apocalittico e sibillino, caratteristico agli scritti profetici del veggente, si riferisce indubbiamente a lui ed è, probabilmente, sua stessa opera.
Nostradamus, com’è noto, ne compose parecchie in varie occasioni: quelle fino ad ora note sono redatte in latino, ma nel caso nostro, l’uso del francese può essere giustificato dal fatto che tale lingua era a quei tempi (1556) in uso a Torino.
L’iscrizione aggiunge alla movimentata ed incerta cronologia su Nostradamus una data precisa ed una indicazione temporale che richiede agli studiosi di storia ulteriori ricerche ed indagini.
Il “Courrier de Turin”, rivista pubblicata in francese dal 1805 al 1814, nel suo n. 251 di sabato 26 dicembre 1807 ne dà per la prima volta notizia: una breve comunicazione di certo H. Carrera la descrive nei dettagli e riferisce le misure della lapide, 20 pollici = 54 centimetri di larghezza, per 15 pollici = 40 centimetri di altezza; a proposito della sua collocazione, afferma ch’essa era «posta al disopra di una porta al piano terreno», senza specificare se si trovasse all’interno o all’esterno dell’edificio.
Che ne è stato di quella preziosa iscrizione lapidea? Chi la possiede oggi?
In difetto di notizie o documenti, sul soggiorno torinese di Nostradamus non si può dire di più di quanto esprimesse l’iscrizione. Risultano due contatti con esponenti di Casa Savoia: la dedica a Claudio, Conte di Tenda, dell’almanacco del 1580 e l’incontro a Nizza (secondo alcuni, a Salon – de – Provence) con Emanuele Filiberto, per una consulenza sulla gravidanza della moglie.
Niente conduce Nostradamus a Torino, stando alle cronache ufficiali.
E la cappelletta di Cascina Morozzo, distante dal caseggiato una decina di metri, fin che è esistita, ha attestato una remota agiatezza, poi deturpata dall’incuria umana e dagli sfregi del tempo: un luogo sacro ridotto a magazzino per frutta e ortaggi, emanante un’aura di mistero e spiritualità decadenti, adatte alla figura del Nostradamus scienziato e credente, mago e profeta, con la sua mistica presenza ad aleggiare nell’aria.