Quando Reggio Calabria accolse un giovane sovrano (di Alessandro Mella)
Erano anni molto difficili quelli. Da tempo le pulsioni e tensioni sociali avevano raggiunto livelli impensabili e fior di statisti avevano tentato di trovare ogni sorta di soluzione per quietare gli animi.
La mattina del 30 luglio 1900, su mandato del Prefetto di Reggio Calabria, una torpediniera della Regia Marina si accostò vicino ad uno yacht che si trovava, in rientro dal Pireo, a largo della Calabria nelle vicinanze di Capo Spartivento. Vi viaggiava una giovane coppia di sposi, accompagnata dal piccolo seguito, per cercare un poco di quiete. A lui piaceva molto allontanarsi per pescare e trovare libertà e serenità lontano dai troppi pressanti obblighi che lo circondavano. Il comandante della nave militare salì a bordo del più piccolo natante e raggiunse l’uomo attorno a cui orbitava tutto il piccolo equipaggio dello yacht. Con rispetto e mesta sobrietà si rivolse a lui con queste parole “Maestà, ho l’ordine di consegnarvi questo plico di stato”.
Certamente egli, nel sentirsi così nomare, ebbe un brivido che ben celò com’era solito fare con i sentimenti e le emozioni. Tutti, attorno, restarono sbalorditi e senza fiato. Non c’era bisogno di aprire e leggere il contenuto per capire che qualcosa di triste doveva essere accaduto. Ma quanto grave fosse stata la tragedia, quello no, l’ormai ex Principe di Napoli Vittorio Emanuele di Savoia non lo sapeva.
Fu così che apprese, da quel dettaglio nel titolo con cui gli si rivolse il comandante, d’essere diventato Vittorio Emanuele III Re d’Italia. Il 29 luglio, infatti, la mano vile e fratricida di Gaetano Bresci aveva freddato Umberto I a Monza. Quel Re che i napoletani chiamarono “Re buono” quando lo videro tra le strade della propria città durante l’epidemia di colera. Il giovane Principe di Napoli, che da tempo forse sognava di rinunciare a titoli e successione, fu costretto obtorto collo ad accettare la corona senza possibilità di scelta.
Letto il grave contenuto della missiva il giovane Re, aveva 31 anni, diede l’ordine di raggiungere subito Reggio di Calabria per attraccare in Porto Salvo e mettersi sul treno reale che già era arrivato per condurlo celermente a Monza.
Raggiunto l’imbarcadero di Porto Salvo il sovrano non scese subito dalla sua imbarcazione, il panfilo Jela, ma attese la visita delle Autorità e del sindaco avvocato Giuseppe Carbone. Tutt’attorno, sul molo, ali di folla si erano raccolte per aspettare l’arrivo del nuovo Re. Avrebbe dovuto essere una festa ed invece il lutto oscurava quel momento di così forte vicinanza tra Capo dello Stato e popolo. Tra gente e corona.
Non vi furono parate e ad un tratto il giovane Re scese e si avviò verso il treno che sostava poco distante. Per salirvi e correre verso la lontana Lombardia, verso il corpo esanime del padre assassinato. Dall’imbarcazione egli tornò sulla terraferma ed il suo primo passo da Re, sul suolo italiano, lo fece proprio a Reggio Calabria. Non sapeva e non poteva immaginare che pochi anni dopo il maremoto l’avrebbe spazzata via, ferita e mutilata e che ne avrebbe visto, con il cuore gonfio di rinnovato dolore, le macerie e la sofferenza.
Non volle incoronazioni Vittorio Emanuele III, niente fasti, niente celebrazioni smisurate e pacchiane. Iniziò il suo regno all’insegna della sobrietà raccomandando la politica di non ricorrere a misure oppressive e liberticide per garantire l’ordine pubblico. Anzi comprese la necessità di iniziare ad avviare le masse popolari verso una maggiore emancipazione, verso una partecipazione vera alla vita politica del paese. Non si poteva fingere di non capire quelle rivendicazioni che venivano dalle fabbriche, dalle strade e dalle piazze di tutta Italia. Della sua unità, indipendenza e serenità egli doveva essere il garante e per indole e dovere prestò finì per costituire un binomio inscindibile ed efficace con Giovanni Giolitti. Accanto al più grande statista dell’Italia postunitaria egli concorse ad avviare la stagione riformista e liberale più importante della nostra storia nazionale. Al punto da ricevere, all’estero, il soprannome di “Re socialista”.
Poi vennero la maledetta proporzionale, le difficoltà del dopoguerra, la litigiosità e stupidità dei partiti egoisti e facinorosi, le agitazioni sindacali, le violenze di opposto colore e la storia prese un altro drammatico percorso. Ma questa è altra vicenda. Quel che ci piace sottolineare è proprio questo primato storicamente incontestabile. Reggio di Calabria fu la prima città italiana ad accoglie il nuovo Re. Una delle tante pagine della sua lunga e straordinaria storia.
Alessandro Mella
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