Civico20news ha avuto il piacere d’intervistare il Prof Lino Grandi: una lunga intervista, sviluppata in due parti, che affronta gli argomenti più critici e delicati della nostra Società moderna.
PRIMA PARTE
Buon giorno Prof Grandi, durante questa nuova occasione di confronto vorrei chiederLe una Sua opinione sulle cause che hanno determinato l’attuale degrado culturale della popolazione.
Ringrazio l’intervistatore, peraltro prestigioso autore di numerosi articoli editi dalla testata On-line Civico20news, per la gradita attenzione rivoltami, e per la richiesta di una riflessione non solo su problemi di natura squisitamente psicologica, bensì anche riguardanti aspetti socio-culturali, riguardanti l’attualità e le problematiche connesse agli stili di vita espressi nel sociale che ci avvolge e che è connotato di variabili e varie connotazioni, foriere delle più disparate interpretazioni.
Il fenomeno del degrado a livello civile e culturale è evidente, forse addirittura pervasivo.
È sconfortante ricordare che le cause sono molteplici, e credo non casuali. Non mi spingo a parlare di regia occulta, ma la mancata formazione alla dialettica, un insegnamento prevalentemente nozionistico, la svalutazione presentata come rinnovamento e mutabilità dei valori, un impegno inadeguato ad affrontare la vita, ed altro ancora, stanno promuovendo non il significato fondante dell’individuo-persona, bensì l’assemblaggio dell’uomo al rango di gregge, preparato a seguire supinamente il pastore dominatore e, di conseguenza, la sua conduzione verso obiettivi che il potere, ostile alla crescita umana, coltiva per sempre meglio dominare. D’altronde, l’aver diffuso con la potenza dei media, l’importanza e la prevalenza dell’avere a discapito dell’essere, per cui si è considerati non per quello che si è, ma per ciò che si ha, si espone, si propone al pubblico (vasto o ristretto che sia), santifica l’apparenza e deturpa la sostanza, e ciò inevitabilmente porta al degrado, come d’altronde lo studio attento e critico della storia dell’umanità, ha permesso di constatare.
Dalle Sue parole emerge molta amarezza e un velo di preoccupazione, soprattutto per il futuro che interesserà i giovani e il loro incerto futuro. Cosa dovremo attenderci a breve?
Non ritengo che “a breve” si assista a clamorosi cambiamenti, né migliorativi né peggiorativi.
Ritengo essenziale promuovere processi di pensiero rivolti al favorire una corretta consapevolizzazione che auspico venga tradotta in operatività promozionale da chi, da coloro, che sono preposti alla formazione degli uomini del domani.
L’invasività dal “pensiero unico”, del “tutto e subito”, della cultura dell’”avere” ed altro, deve essere per lo meno gestita, possibilmente dialettizzata, avviando e consolidando processi di fruizione di un pensiero che tenda a problematicizzare, ad elaborare, a promuovere uno stile di vita che abbia quale stella polare il benessere della collettività.
Il pericolo da contenere fin da subito è il progressivo degrado, che viene coltivato ad abundantiam dai “poteri occulti”, e non solo. Le comodità, il tutto è lecito, il “faccio ciò che mi aggrada”, non può, né deve sostituirsi alla responsabilità. Ciò però richiede, a chi desidera impegnarsi per un mondo migliore, un impegno costante, gravoso, utilmente promozionale per una società del benessere che sappia affrontare le inevitabili sfide che l’incalzare del cosiddetto progresso inevitabilmente proporrà.
Lei parla di decadimento del livello culturale, potrebbe evidenziarne le possibili cause e ipotizzare qualche cura efficace?
La mia convinzione è che il decadimento culturale, attualmente clamorosamente evidente, è l’obiettivo di Centri di Potere transnazionali. Pure la nostra Italia, madre genuina della cultura, ha dovuto asservirvisi.
Allorché l’esaltazione dell’avere soffoca la sana pregnanza dell’essere, ne consegue la limitazione, fino forse all’annullamento, della ricerca della conoscenza. Vive in me il rimpianto dell’immagine dell’agorà, là dove gli ateniesi si confrontavano sui temi significativi della Polis, dando vita ad arricchenti dibattiti, spesso fra contrasti comunque costruttivi.
Nei tempi a breve, media scadenza, dobbiamo attenderci la prosecuzione del processo di degrado, poiché negli strumenti di comunicazione di massa, non vedo un impegno promozionale da parte di chi, di coloro, che hanno o avrebbero il potere, la possibilità di impegnarsi per diffondere un rilancio dei valori utili all’uomo ed alla società. La legge del dominio, vuole sudditi, non uomini liberi, responsabili, capaci di argomentare, di confrontarsi partendo da presupposti, da posizioni diverse, passaggio obbligato per non retrocedere in rigide ed apparentemente rassicuranti, stereotipie.
Tutti gli eventi sembrano svolgersi con crescente rapidità, la tecnologia e la cosiddetta Intelligenza Artificiale si propongono come assolute panacee. Qual è la Sua opinione riguardo la comunicazione empatica tra i giovani?
Condivido quanto da Lei affermato, sia la crescente rapidità con cui si succedono gli eventi, sia la lettura attenta della vita attuale che segnala quale assoluta panacea il progresso della tecnologia e l’affermazione della cosiddetta Intelligenza Artificiale.
Nel mio ruolo di ricercatore e di formatore di psicoterapeuti psicodinamici, propongo -fra le altre- una riflessione riguardo la comunicazione empatica tra i giovani.
Premesso che non sono favorevole ad universalizzare, il mio pensiero va al rapporto empatico fra i giovani che, forse anche per la precipitosità degli eventi, si concretizza maggiormente nel fenomeno della buona conoscenza mentre appare più emarginato il vivere relazioni di amicizia vera, quella cioè caratterizzata non solo da empatia, ma soprattutto da affetto, interesse, condivisione con l’altro.
La narrazione che nei trattamenti di psicologia clinica (leggi: psicoterapia psicodinamica) viene per lo più condivisa, induce a sottolineare che negli “incontri” tende a prevalere l’occasione interessante, il partecipare ad eventi di interesse comune, spesso anche solo l’occasione di gustare una cena, ed altro di similare a quanto sopra descritto, a scapito del piacere prevalente dello stare insieme, della comunicazione affettuosa e vitale il cui fine è “l’essere con te”; la prevalenza del “prestazionale” (e non mi riferisco alle performances lavorative) è penetrata nel costume; un prodotto finalizzato al consumo diviene prevalente e si relega così al marginale il piacere della sana e produttiva relazione. Eppure gli studi affermano che “l’uomo è relazione”. Sono indotto a temere che i gestori del potere, più o meno occulto, non favoriscano lo scambio di opinioni e di riflessioni, bensì privilegino il consumo di quanto già prodotto; in altre parole ecco il dubbio: che si voglia costruire una società di consumatori a discapito di una società di persone che riflettono, che interscambiano opinioni, che amino la dialettica?
Fine Prima Parte
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