Nessuno, nella città eterna, si ricordò delle parole di Terenzio: SENECTUS IPSE EST MORBUS. Nessuno si preoccupò del fatto che la Storia è impietosa con i vecchi malati.
Alessandro Cerioli, un amico di cui ammiro la passione per la storia antica e l’arte, che ha voluto e saputo elevare a mission professionale attraverso il suo Studio Tablinum, mi ha invitato a esprimere le mie opinioni in merito alle cause della caduta dell’Impero Romano d’Occidente. Lo faccio con piacere perché amo la storia romana e mi sono chiesto più volte se il crollo dell’impero dei Cesari fosse evitabile, oltre a interrogarmi sulle cause che lo indussero.
Gli studiosi hanno fornito diverse risposte ma senza trovare un accordo. Sostanzialmente, si riconoscono due generi di cause, quelle esterne e quelle interne.
La causa esterna preponderante è l’invasione dei barbari. Resta da chiarire se le terribili ondate barbariche furono a tutti gli effetti veri e propri attacchi politico-militari a Roma o se, invece, furono ondate migratorie molto violente. Non dimentichiamoci, infatti, che i popoli neolatini attribuiscono a quel periodo l’etichetta “invasioni barbariche” ma che altri popoli europei (tedeschi, inglesi e slavi) lo chiamano “età delle migrazioni”. In effetti, i barbari che assalirono i confini dell’impero erano per lo più popoli in fuga. Da cosa? Dal grande esodo degli Unni dall’Asia verso l’Europa. Per non cadere sotto il loro giogo, molte tribù sciamarono verso occidente e inevitabilmente cozzarono contro i limes romani. Alcuni di loro, come i Visigoti, furono accolti.
Ma dopo che i Goti ebbero inflitto una terribile sconfitta alle legioni romane nella battaglia di Adrianopoli (378), fu più facile per i barbari esercitare la prepotenza grazie alla quale violarono e distrussero l’impero. Attualmente, la Comunità Europea sembra avviata allo stesso destino, soprattutto a causa della forte pressione islamica. Ravviso una profonda analogia fra quello che accadde nel tardo IV secolo e poi nel V secolo nelle province romane e quello che sta accadendo oggi nel mondo occidentale. I nuovi barbari non hanno bisogno di combattere, gli basta invaderci pacificamente e disgregarci dall’interno. Gli attuali flussi migratori mi ricordano l’inizio della fine.
Ma torniamo all’antica Roma. Molti studiosi sono più portati a credere che le cause primarie della decadenza e del crollo del più splendido impero mai edificato dall’uomo siano prevalentemente interne. E qui, si chiamano in causa varie ragioni, tutte plausibili. A determinare la crisi irreversibile dell’Aquila (o, se preferite, della Lupa) furono i grandi cambiamenti che mutarono e indebolirono le sue strutture socio-economiche e le istituzioni politiche del Tardo Impero. L’elenco è lungo e molti addebitano al Cristianesimo una forte percentuale di colpa.
La lettura di Draco, l’ombra dell’imperatore, un bellissimo romanzo di Massimiliano Colombo, ci aiuta a capire la forza disgregatrice che la Chiesa esercitò al tempo dell’imperatore Giuliano. La rinuncia alla religio pagana indebolì l’animo dei romani, li trasformò in perdenti. Molti altri fattori critici resero fiacco e incapace di resistere alle trasformazioni epocali una civiltà che stava andando in frantumi a causa della globalizzazione. Come oggi, d’altronde. Chi avesse visitato e analizzato lo status quo dell’Impero alla vigilia del suo crollo avrebbe infatti rimarcato che i romani, vittime dell’anarchia, avevano rinnegato se stessi. Si erano già arresi prima d’essere invasi.
A determinare il declino e la capitolazione furono molteplici elementi: le divisioni interne, le continue guerre civili, il dispotismo, l’imbarbarimento e indebolimento dell’esercito, la disgregazione delle province, il fiscalismo opprimente, la corruzione e la crisi economica e sociale (che produsse la fine della schiavitù e determinò la fuga delle campagne, la svalutazione monetaria e una forte inflazione), cui si aggiunsero altre cause minori. Infine, non va sottovalutata l’opinione degli storici che ritengono non ci fu una vera e propria caduta ma una lenta, progressiva trasformazione involutiva senza soluzione di continuità. Insomma, l’impero non sarebbe caduto, avrebbe cambiato fisionomia e nel fare ciò si è disgregato.
Personalmente, trovo valide tutte queste ragioni. L’Impero Romano d’Occidente non era una castello di carte, non poteva certo crollare a causa di uno starnuto. Ma per quanto fu l’insieme dei fattori dissolutivi che ho elencato a determinarne la sorte, vorrei fare un’ulteriore considerazione, frutto delle mie riflessioni personali. Credo che per spiegare il “default” dell’antica Roma bisogna evocare altre due cause sottili.
La prima è la decadenza dei costumi, e quindi la morte della virtus. La virtù dei romani (fortezza, temperanza, pietas, valore militare, austerità, rispetto delle leggi, ecc) era la loro vera forza, il loro propellente. Fu la forza dell’animo che i grandi valori della latinitas nutrivano a trasformare un piccolo villaggio del Lazio in caput mundi. Quando i romani hanno rinunciato ad essa per lassismo e perché il vizio aveva ormai eroso la loro coscienza civile, sono crollate le difese immunitarie. Roma è diventata vulnerabile quando la virtus ha ceduto il posto al malcostume e alla fiacchezza. Il Mos maiorum aveva reso i romani un alto faro di civiltà, ma nel momento in cui rinunciarono ai costumi degli antenati divennero vulnerabili e rovinarono al suolo.
Concludo con la riflessione che vuole essere la mia risposta al quesito postomi da Alessandro Cerioli. Condivido, più o meno, tutte le ipotesi che gli studiosi hanno formulato ma propongo una tesi che fa da collante e va oltre. Credo che la caduta dell’Impero Romano d’Occidente sia stata fisiologica. Roma è scomparsa semplicemente perché era vecchia e decrepita. Aveva esaurito la sua forza vitale, i suoi organi erano logori e malati, la sua capacità di rigenerarsi esaurita. Il Tardo Impero era un vecchio esausto e per certi aspetti rimbambito, litigioso, incapace di leggere il futuro, arrogante e insieme fragile.
Era malato gravemente eppure si rifiutava di riconoscere i segni della sua dissoluzione psico-fisica. Era un malato terminale e la sua fine fu inevitabile. Ci si può chiedere, a questo punto, perché Roma si afflosciò e scomparve dopo una terribile agonia mentre la nuova Roma, cioè Costantinopoli-Bisanzio, resistette. Ma questa è un’altra storia.
L’Impero Romano d’Oriente era più giovane e vitale, più scaltro e meno vulnerabile. Soffriva di mali simili, da cui, però, seppe guarire o quanto meno difendersi. Caro Alessandro, la mia tesi è forse semplicistica ma penso che la vera ragione per cui l’Impero Romano d’Occidente scomparve fu la sua senilità. Roma invecchiò male e morì malamente, per cause naturali ma anche per effetto di una malattia incurabile.
Era come certi vecchi che si credono immortali e non intuiscono il proprio crepuscolo. Avrebbe vissuto più a lungo se avesse preso le medicine giuste. Roma, purtroppo, non fu il fortunate senex di cui parla Virgilio. Nessuno, nella città eterna, si ricordò delle parole di Terenzio: Senectus ipse est morbus. Nessuno si preoccupò del fatto che la Storia è impietosa con i vecchi malati.