
Immagine creata da Fabio Mandaglio
Uomini soli al comando
In merito, sulla stampa e alla televisione c’è informazione, disinformazione e mistificazione delle notizie. Manca la formazione che, a chi non sa, possa dar conto di cosa in effetti si tratta e a chi sa, spieghi perché sia necessaria nella nostra Repubblica il cambiamento epocale previsto col premierato, di cui non esiste una definizione chiara e che può essere considerato una forma di governo strutturata sulla legittimazione popolare del Primo ministro/Presidente del Consiglio/Capo del governo, votato direttamente dal popolo, che gli conferirebbe così un enorme potere decisionale.
La proposta di riforma di certe istituzioni costituzionali vigenti, che tiene banco oggi in politica, ha due obbiettivi, come ha dichiarato Giorgia Meloni l’otto maggio scorso alla Camera dei deputati, nell’incontro su La Costituzione di tutti. Dialogo sul premierato. Il primo di questi obiettivi è garantire il diritto dei cittadini di scegliere da chi farsi governare mettendo fine alla stagione dei ribaltoni, alla stagione dei governi tecnici, alla stagione della maggioranza arcobaleno, che nessuna corrispondenza hanno con il voto popolare. Il secondo obbiettivo è che chi viene scelto dal popolo per governare possa farlo con un orizzonte di legislatura, possa avere il tempo per portare avanti il programma con cui si è presentato ai cittadini.
Il Disegno di legge è stato approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri il tre novembre scorso, ha solo cinque articoli, ma interviene in modo significativo su molti principi dell’attuale dettato della Costituzione e comporterebbe un lungo seguito di correlate norme attuative per l’ammodernamento dell’impalcato governativo e amministrativo vigente.
Se le Costituzioni sono sempre modificabili, non sono invece modificabili in ogni loro parte, dice Paolo Gentilucci, prof. di Giustizia costituzionale comparata presso l’Università Aldo Moro di Bari, il che significa che la revisione incontra dei limiti di contenuto.
Il Presidente della Repubblica non potrà più nominare il Presidente del Consiglio, che sarà eletto a suffragio universale diretto per la durata di cinque anni; non potrà più nominare senatori a vita e saranno tali solo gli ex Capi di Stato; non potrà più sciogliere separatamente le Camere, ma solo contestualmente. Per questo, sostengono alcuni, i suoi poteri sarebbero circoscritti, cambierebbero i suoi rapporti col Presidente del Consiglio, cui la nomina diretta da parte del popolo conferirebbe particolare preminenza e sarebbero attenuate le sue prerogative di rappresentante super partes della unità nazionale.
La riforma proposta, per i partiti di destra garantirebbe una maggiore governabilità; per quelli di sinistra sarebbe contraria ai principi di democrazia partecipativa e potrebbe portare ad un uomo solo al comando. Lo è stato Fausto Coppi nella radiocronaca di Mario Ferretti, quando lo vide primeggiare sulle strade della storica Cuneo-Pinerolo nel 1949. Ma la iconica espressione, decontestualizzata da quel coinvolgente ambito sportivo, evoca fantasmi di altri, soli al comando, che hanno lasciato memorie molto meno esaltanti.
Gli analisti, i quali sondano quotidianamente gli umori politici tra la gente e nelle Camere, prevedono che questa proposta di premierato, con la quale Elly Schlein dice che si tenta di manomettere la Costituzione, difficilmente potrà essere approvata con la maggioranza prevista dalla legge per proseguire poi il suo iter attuativo. Se i voti favorevoli saranno inferiori ai due terzi dei parlamentari, sarà il popolo, dopo, a doversi pronunciare con un referendum costituzionale.
Non è facile, quindi, trarre gli auspici sull’esito di questa complessa operazione, che sa di alta chirurgia cardiologica a cuore battente.
Si vales, vàleo.