Le riflessioni dell’Avv. Prof. Gianluca Ruggiero
Recenti manifestazioni tenutesi in ambito universitario, al grido “Fuori i sionisti dall’Università”, precedute da una serie consistente di esternazioni anti-israeliane e pro-palestinesi, inneggiando all’intifada (come avvenuto a Bologna) e arrivando a negare gli stupri di massa compiuti da Hamas ai danni delle donne israeliane, offrono l’occasione per riflettere sullo stato attuale dell’antisionismo e sui rigurgiti di antisemitismo i Italia. Fenomeni non nuovi, verificatisi nel nostro Paese tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta del Novecento, durante i quali furono compiuti atti violenti, come la profanazione dei cimiteri ebraici e la distruzione di targhe e lapidi.
Quanto detto rappresenta una involuzione ideologico-politica che, nell’(apparente) intento di dimostrare contro gli attacchi israeliani alla terra palestinese, provocano effetti nocivi sulla minoranza ebraica, incidendo altresì e in modo più generale sulla dignità civile di tutti gli italiani (vedi le pretestuose occupazioni universitarie) ed esigono reazioni decise e inequivocabili.
Può suonare strano, se non paradossale, che sia proprio la destra italiana a indignarsi per le affermazioni e rivendicazioni antisioniste, denunciando un aumento di episodi di antisemitismo in ambito universitario.
La stranezza si basa sul malinteso preconcetto per cui l’antisemitismo sia appannaggio solo delle correnti politiche destroidi. Non meno rischioso e ambiguo è invece l’antisemitismo di sinistra. Proprio riguardo a quest’ultima, la polemica antisionista, attraverso una serie di slittamenti semantici, può far da tramite ad un più generale ingiustificato antisemitismo.
Non si può separare la lotta all’antisemitismo da una più generale battaglia contro il razzismo e l’intolleranza; e i due fenomeni sono inestricabilmente legati. Da un punto di vista antropologico e politico, interessanti sono le diverse angolazioni e sfumature che l’antisemitismo ha assunto oggi, ed è significativo che non si limiti alle sue espressioni più forti e numericamente espressive tipiche dell’estremismo di destra e della parte più conservatrice e retriva del cattolicesimo italiano.
Non bisogna illudersi sulle conseguenze di un forte antisionismo politico e sulla sua attitudine a scatenare e liberare transfert aggressivi sull’Ebreo in generale. La presentazione attuale degli israeliani come oppressori, la equivalenza, forte e strumentale, tra nazismo e politica israeliana, la connotazione capitalistica e imperialistica attribuita alla politica israeliana portano indubbiamente a scadimenti della polemica ideologica e innescano, soprattutto presso la popolazione male informata, un diffuso potenziale antisemita.
Affermazioni provenienti dal mondo dello spettacolo, del tipo “vincono sempre loro”, la forte contrapposizione tra filopalestinesi e la politica statunitense che occupa i campus universitari con le forze di polizia, sono tutti sintomi di una forte tensione sociale parecchio pericolosa per gli equilibri (almeno apparenti) fra la comunità israelita e gli altri componenti della società globale.
Come dicevamo, l’antisionismo intacca tutte le matrici dello spettro politico nazionale (destra, centro e sinistra), maggiormente propugnato oggigiorno delle posizioni filopalestinesi tipiche di quella sinistra che promuove un’opinione negativa del nazionalismo israeliano (il sionismo), riplasmandosi come odio verso gli ebrei in genere (antisemitismo).
Da una condanna alla politica di un Paese ad un atteggiamento razzista nei confronti di singoli o di gruppi di persone di cultura israelita, infatti, il passo è breve e (oseremmo dire) consequenziale.
Sempre nell’orbita del paradosso e per dare l’idea del fenomeno, i neonazisti sembrano trasformarsi in Italia in paladini dell’ortodossia cattolica, quando il nazismo e il fascismo pre-Patti lateranensi, mostravano una certa allergia verso la Chiesa cattolica.
Dicevamo dello scivolamento da posizioni antisioniste a sentimenti antisemiti. Chiariamo i termini del discorso. Il sionismo è il nazionalismo, con gradazioni diverse al proprio interno, che ha portato alla costruzione dello Stato di Israele, mentre l’antisemitismo è la forma contemporanea della giudeofobia storica. Sionismo e antisemitismo sono due fenomeni nati in contesti storici diversi e con finalità diverse, ma che possono congiungersi in date circostanze. L’antisionismo che diventa antisemitismo lo troviamo specialmente i quelle manifestazioni in buona parte a favore della causa palestinese. Questo scivolamento deriva dalla rappresentazione schizofrenica che è stata costruita in Europa sull’ebreo: la sinistra tende a classificarlo fra i “ricchi” (borghese, capitalista, banchiere, ecc.), la destra lo identifica come massone e comunista.
La citata esclamazione “vincono sempre loro” mostra un antisemitismo latente, una forma di antisemitismo che non dà luogo a discussioni di sorta, ma che compara in modo irrazionale stereotipi incorporati. L’antisemitismo latente avrebbe le sue radici nel fatto che l’ebreo nelle culture europee è pensato come diverso nelle abitudini, favorendo il consolidamento di altri stereotipi, come ad esempio quello secondo cui gli ebrei sarebbero, più che vittime, impregnati di vittimismo.
La mancata elaborazione del razzismo in Italia può aver causa nell’assenza di una letteratura che abbia indagato le eventuali continuità o le eventuali rotture quando si passa dal positivismo al fascismo e dal fascismo al post-fascismo. In sostanza, dalla fine della seconda guerra mondiale non vi è stato un vero discorso (anche antropologico) che abbia fatto luce sulla questione e questo perché molti soggetti che sono stati membri attivi durante il fascismo (si v. il lavoro a c. di Antonella Meniconi-Guido Neppi Modona, L’epurazione mancata. La magistratura tra fascismo e Repubblica, Il Mulino, 2022) hanno continuato ad esercitare le proprie funzioni sotto rinnovate spoglie, senza mai più parlare (positivamente o negativamente) di quanto accaduto durante quel periodo.
La posizione duramente critica verso il conflitto isrealiano-palestinese e verso taluni atteggiamenti dei governanti dello Stato di Israele non dovrebbe essere ideologica ma politica. In realtà la stampa quotidiana offre tutta una serie di elementi che ci dicono esattamente il contrario. E allora è forse giusto, o meglio ancora necessario, riflettere sull’antisemitismo di destra (noto) e di sinistra (non meno pericoloso), proprio per sgombrare il campo da pericolosi equivoci.
Il sionismo affonda parte delle sue radici nel movimento operaio e democratico e una parte di esso ha avuto rapporti contrastati e controversi con le organizzazioni di sinistra, prima di tutte la seconda internazionale, ma in esse si riconosceva.
Si pensi che Karl Marx ne La questione ebraica del 1884, prende una posizione critica rispetto all’ebraismo, proprio sostenendo che la peculiarità della questione ebraica non dovesse risolversi nel nazionalismo o, in termini più contemporanei, in una forte rivendicazione identitaria, perché la liberazione dell’uomo non si invera nello Stato, ma nel suo superamento. La questione ebraica va dunque posta, e risolta, per “assimilazione”, all’interno della più generale battaglia per la liberazione dell’umanità. Non mancano nel testo marxiano i riferimenti ai più comuni stereotipi sull’ebreo egoista, usuraio e finanziere, ma certo egli non fu un razzista quanto un radicale assimilazionista.
Quello dell’assimilazionismo (per completezza di discorso ricordiamo che Mussolini era convinto di poter “arianizzare” gli Ebrei) rimane però un problema e fortemente radicato nella cultura di sinistra. Lo stesso Benedetto Croce rimproverava agli ebrei la loro mancata assimilazione, la pervicace volontà di mantenere i propri tratti culturali e identitari, arrivando a dire che ciò ha dato il pretesto per le persecuzioni: la mancata assimilazione come colpa.
Un secondo punto da evidenziare è forse più scontato: quello degli stereotipi sull’ebreo e che ci dà una rappresentazione schizofrenica della sua immagine in Europa: la sinistra tende a classificarlo fra i ‘ricchi’ (borghese, capitalista, banchiere, ecc.), la destra lo identifica come massone e comunista.
Al di là della banalità di tali stereotipi, essi sono veramente pericolosi non solo perché basati su un razzismo di bassa lega, ma perché schiacciano una realtà complessa dal punto di vista economico e da quello della sua articolazione in classi. In uno dei saggi più significativi degli ultimi anni dovuto alla penna di Leonty Soloweitschik (Un proletariato negato. Studio sulla situazione sociale ed economica degli operai ebrei, Biblion edizioni, 2020) si mette chiaramente in evidenza la grande responsabilità della sinistra, contagiata dai pregiudizi della società in cui opera, nonché la propria carenza di analisi economica e sociale.
Non a diverse conclusioni si giunge sulla shoah. Essa è stata sottovalutata dalla sinistra e, senza dubbio, nei settori minoritari della sinistra il negazionismo, o meglio il riduzionismo inteso come tendenza a ridimensionare la portata teorica della shoah, ha i suoi fervidi sostenitori.
Molti ricorderanno come Amadeo Bordiga, primo segretario del PCd’I, ancora oggi punto di riferimento per frange molto minoritarie della sinistra rivoluzionaria, riprendeva gli stereotipi di classe cui ho accennato prima e che qui servono a giustificare perché siano stati proprio gli ebrei a essere massacrati, dato che l’autore considera la shoah solo come qualitativamente diversa dalle persecuzioni antiebraiche della storia passata europea e altresì “uno sterminio come un altro”.
Se è facile trovare una spiegazione (se di spiegazione si tratta) all’odio verso la piccola borghesia di cultura ebraica, sacrificabile per salvare la piccola borghesia tedesca, è fortemente imbarazzante notare come tali temi vengano adesso ripresi dalla sinistra marciante e occupante le università italiane e che ricalcano, per molti aspetti, tematiche centrali del pensiero negazionista di destra.
Del resto, Franco Freda, teorico del rossobrunismo italiano e che tentò di creare una alleanza strutturale in nome dell’anticapitalismo con alcuni gruppi della sinistra, era un negazionista. In tempi in cui il rossobrunismo torna in auge, una riflessione etnograficamente fine e attenta alla ricostruzione genealogica dei tanti fili dell’antisemitismo di sinistra diventa urgente.
Gianluca Ruggiero
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