Come diceva la nonna “un bel gioco dura poco”!
Sembra veramente che non si possa, prima o poi, essere costretti ad osservare quanti sforzi facciamo per complicarci la vita! Non c’è dubbio che per molti di noi sia preferibile tenere gli occhi chiusi, nascondendo la testa nella sabbia come struzzi! Riguardo a che cosa non c’è che l’imbarazzo della scelta!
Con tutto il rispetto per il dolore di chi ha patito e patisce su di se gli effetti del bel gioco nel quale siamo imbarcati non si può che sorridere di fronte alle reazioni che alcuni fatti, rimarcati con un tam tam ossessivo dai mass media, suscitano.
Mi riferisco in modo particolare a fatti recenti come il crollo del ponte di Genova con tutto il suo carico di conseguenze e ad altri fatti tragici simili.
A sentire come vengono trattate le notizie al riguardo mi sorgono alcune domande:
- 1 – è la morte di alcune persone a toccarci, oppure il modo in cui sono morte?
- 2 – crediamo forse che se non fossero morte in quelle circostanze, sarebbero sopravvissute?
- 3 – perché si cerca sempre un colpevole su cui scaricare la nostra evidente impotenza a fare in modo che le cose vadano diversamente?
- 4 – perché, appurate le condizioni che hanno portato ai tragici fatti, si fa qualsiasi cosa perché “tutto torni come prima”?
- 5 – ma se tutto deve tornare come prima, cioè si ripristinano le condizioni precedenti, ovvero simili a quelle che hanno portato all’evento, non si produrrà di nuovo la stessa situazione?
- 6 – siamo sicuri che basti costruire bene e fare una buona e continua manutenzione per evitare la fine di una cosa?
- 7 – e se possiamo accettare che abbia fine, siamo sicuri di poterlo sapere in anticipo, con il dovuto preavviso?
- 8 – non facciamo noi stessi di tutto, tentando di mantenerci all’infinito nel miglior modo possibile, senza poter evitare, prima o poi, di morire comunque?
- 9 – crediamo davvero che ci sia un modo giusto ed uno sbagliato di fare le cose?
- 10 – e se è così, siamo certi di saper fare la scelta giusta?
Potrei continuare ancora, senza finire mai, ma non volendo costringervi a fare scongiuri leggendo, non si sa mai che succeda qualcosa, per adesso termino l’elenco e passo ad alcune considerazioni, che non sono risposte, ma spunti di riflessione.
Facendo riferimento allo schema allegato a questo articolo ripercorro il cammino esperienziale di ogni essere umano; poi si vedrà che relazione ci possa essere con le domande iniziali.
Sembra assodato che all’inizio di una futura vita ci sia il desiderio di due genitori di generarla. Ma in realtà questa è solo una parte e per di più indotta inconsciamente, sebbene appaia diversamente come un atto cosciente. Infatti l’atto cosciente sta a quello incosciente come aprire il rubinetto dell’acqua per berne sta alla sete che spinge a farlo.
Per evitare di perderci in spiegazioni troppo articolate, atteniamoci strettamente alla sintesi grafica, incominciando dal punto in cui abbiamo la possibilità di osservare in modo cosciente quello che avviene per poi passare laddove nessuno vede e nessuno sa davvero quello che succede.
- Un genitore (perché non è detto che l’altro lo voglia allo stesso modo o allo stesso tempo) o due desiderano un figlio
- mettono in cantiere l’opera e la portano fino al punto del concepimento
- attendono il momento della nascita, accudendo nel modo consueto la vita nascente,
- nel frattempo preparano l’ambiente e decidono il nome
- si fanno anche idee su un ipoteco futuro del nascituro
- anche parenti ed amici partecipano all’attesa, più o meno interessati alla cosa, ma certamente non ininfluenti sulla cosa
- giunge il momento della nascita (che come si sa non è che sia proprio una passeggiata per nessuno dei partecipanti) e la prima cosa che avviene è la presa d’atto dell’essere appena nato che occorre cambiare drasticamente le misure operative funzionali per poter iniziare a respirare “da solo” nel nuovo ambiente. L’aiuto che si riceve per farlo è una pacca alla quale di solito reagisce piangendo (alcuni dicono che lo faccia al momento che si rende conto in che bolgia infernale è finito)
- subito dopo, viene strigliato dai residui del mondo da cui è arrivato, vestito, pesato, misurato, schedato e monitorato in ogni suo movimento
- gli viene assegnato il nome e il sesso apparente
- poi è una sequenza di mangia, dormi e scarica
- con intorno gente che gli parla in modo deficiente e sorride coerentemente
- che lo cambia, lo profuma, lo porta a spasso in un trabiccolo sballottante
- che si ferma a mostrarlo come un soprammobile a tutti quelli che incontra fino a quando, sufficientemente cresciuto, può andare all’asilo dove, in modalità un po’ diverse e mediante persone diverse, continuano più o meno le stesse cose,
- poi viene il momento della scuola dove viene sottoposto ad una serie di pressioni informative volte alla sua preparazione alla vita secondo come stabilito dalla società,
- mentre la parte educativa famigliare continua secondo il metodo e le aspettative dei genitori, non necessariamente in sintonia con quelle scolastiche,
- poi prendono sopravvento gli aspetti emotivi della vita con tutti gli sconvolgimenti ormonali connessi e il desiderio di ribellarsi alla normale pazzia circostante,
- e sopraggiunge la maturità in cui si approccia il lavoro necessario a rendersi indipendenti economicamente, per poter a propria volta cercare un partner e formare una famiglia in cui sviluppare tutti i valori che l’educazione ha fatto affiorare;
- dopo qualche anno di questa routine, inframmezzata da viaggi, divertimenti, accadimenti di ogni genere, sciagure e fortune,
- arriva il momento in cui tutto incomincia a spegnersi per poi cessare nella morte,
- dove però le cose non finiscono;
- infatti una sintesi delle esperienze fatte durante la vita vengono fissate in una banca dati a disposizione della nuova entità che continuerà l’avventura nella staffetta prevista dalla vita all’interno del sistema essere umano che continuerà ad esistere riprendendo la sua strada.
Mettendo insieme la lista iniziale e queste considerazioni ora mi chiedo: come si può pretendere che chiunque sia oggetto di questo trattamento quando si trova a dover progettare e costruire un ponte di diversi chilometri o un grattacielo di 300 piani non possa commettere una dimenticanza o un errore, e lo stesso chiunque altro, insieme o dopo di lui, nel fare verifiche o manutenzioni?
Allo stesso modo, poiché che si debba morire è cosa certa, non è che le modalità della morte di un individuo specifico, o di altri accumunati dagli eventi, serva a chi rimane per riflettere e farsi domande sul senso della propria vita e sul modo di utilizzarla, fintanto che ciò sia ancora possibile?
“Non svegliate il can che dorme”, dice un proverbio.
“Beata ignoranza”, dice un altro.
Certamente può essere una soluzione, almeno fino a quando i fatti provvedono a svegliarci comunque!
Scusate il disturbo, e comunque sia, un grande abbraccio e buona vita a tutti!
Schema e testo
Pietro Cartella
Ciò detto, qualcuno mi sa dire dove si può intervenire per cambiare questo gioco?
Se l’argomento è di interesse, ogni commento è gradito, e altrettanto la sua condivisione