
Indagare oltre il velo della Vita
Autore di libri di successo e conferenziere apprezzato a livello internazionale, Piero Calvi Parisetti è prima di tutto un ricercatore presso il Dipartimento di Parapsicologia dell’Università di Northampton. Medico laureato a Milano e specializzato originariamente in medicina delle catastrofi, ha insegnato per quasi un ventennio in diverse università in Italia, Svizzera e Regno Unito. Si è poi dedicato con passione allo studio dell’evidenza per quella che lui stesso definisce “la verità incredibile”, ossia il fatto che, in maniera che ancora non comprendiamo, la mente e la personalità umane sembrano sopravvivere alla morte del corpo. Membro della Society for Psychical Research e dello Scientific and Medical Network nel Regno Unito, e dell’International Association for Near-Death Studies negli Stati Uniti, il Dr. Calvi Parisetti è considerato uno dei massimi esperti a livello mondiale nell’area delle applicazioni cliniche della ricerca parapsicologica. Vive con la moglie a Troon, sulla costa occidentale della Scozia.
Giancarlo Guerreri: Dr. Parisetti, nei Suoi libri e nelle interviste presenti su YouTube Lei tratta con puntualità temi legati alla possibilità di vita dopo la morte, descrivendo una varietà di esperienze personali, investigazioni scientifiche ed esperimenti di laboratorio che suggeriscono l’esistenza di un aldilà.
La prima domanda che Le pongo riguarda il tabù della morte: come si spiega che all’inizio del terzo millennio sia così difficile trattare con serenità un evento che riguarderà ogni essere vivente?
Piero Calvi Parisetti:
Da una parte, questo non mi sembra sorprendente. La morte è il grande spauracchio dell’umanità ma, specie nelle società occidentali degli ultimi due secoli, è stata progressivamente relegata al ruolo di “non evento”, completamente cancellata dalla coscienza collettiva. Allo stesso tempo continua ad esistere, eccome, nella mente degli individui. In maniera più o meno cosciente, l’idea della mortalità è una forte motivazione per molti dei nostri comportamenti: voglio avere dei figli per lasciare un’eredità al mondo; voglio essere un artista, piccolo o grande che sia, perché ci si ricordi di me; voglio essere un imprenditore, un capitano d’industria, un operatore dell’umanitario o un potente boss della mafia… Voglio essere in qualche modo speciale per negare la mia mortalità, o almeno per dimenticarmene.
In un altro senso, però, occupandomi da vicino della transizione che chiamiamo morte, mi accorgo con piacere che c’è molta, moltissima gente disposta a pensare, riflettere su questo soggetto, almeno a livello personale, ed in qualche modo prepararsi all’evento e a quello che potrebbe venire dopo.
G.G.: Da studioso, lei ha considerato quello che definisce “un oceano di evidenza” a supporto dell’ipotesi della sopravvivenza. Quest’evidenza è stata raccolta per quasi due secoli da accademici, scienziati professionali e persino quattro premi Nobel. Eppure, molti scienziati esprimono un incomprensibile scetticismo che sembra non concedere credibilità a questa ipotesi.
Come interpreta questi atteggiamenti?
P.C.P:
Questo scetticismo non ci deve stupire. Da un secolo e mezzo, la cultura occidentale è letteralmente intrisa, dominata dal materialismo – la teoria filosofica che dice che tutto ciò che esiste sono la materia e le forze fisiche che agiscono su essa. La scienza e soprattutto la tecnologia basate su questa visione del mondo hanno prodotto tali e tanti successi che il materialismo ormai non è più considerato una teoria, ma un vero e proprio dogma. Molti scienziati sono completamente investiti in questa teoria: credere nella natura esclusivamente fisica del mondo quasi fosse una di religione è parte molto importante di chi si sentono di essere. È logico quindi che, quando incontrano evidenza (fatti) che sembrano dimostrare che il mondo non è solamente fatto di materia, queste persone molto intelligenti reagiscono in maniera poco intelligente: si sentono minacciati nelle loro convinzioni intime e reagiscono con paura. Come risultato, ignorano, scherniscono, e a volte cercano deliberatamente di sopprimere evidenza scientifica prodotta da loro pari, con gli stessi metodi che usano loro, pubblicata sulle stesse riviste scientifiche che usano loro.
Ci sono poi fattori, legati alla società in cui viviamo, che contribuiscono ad aggravare questa situazione. Il proliferare di teorie cospiratorie da decerebrati, incluse le dannose e tragicamente diffuse idiozie sui vaccini o sulle scie di condensazione degli aerei, creano nell’immaginario popolare l’idea che esista una scienza “ufficiale” opposta ad una “non ufficiale”. Questo è assolutamente falso: la scienza è una sola, e non è un insieme fisso di idee o di opinioni ma piuttosto una serie di metodi per la raccolta e l’analisi dei dati. Così, purtroppo, l’ipotesi della sopravvivenza (basata su grandi quantità di dati empirici) viene messa nella stessa categoria delle teorie cospiratorie (esattamente zero dati), e spesso rifiutata in blocco.
Spesso, ma non sempre. Ci sono al momento una trentina tra dipartimenti universitari e istituti di ricerca privati in giro per il mondo che si occupano professionalmente di parapsicologia, incluso proprio lo studio dell’evidenza per la sopravvivenza. E il “Manifesto per una Scienza Post-Materialista” è stato firmato sinora da 550 accademici di alto livello, tra cui Brian Josephson, Premio Nobel per la fisica.
G.G.: Lei ha studiato anche moltissimi medium, individuando alcuni casi particolarmente convincenti, può fare qualche esempio?
P.C.P: In realtà, più che studiare i medium ho studiato la scienza che studia i medium in laboratorio. Mi perdonino i Lettori il gioco di parole, ma la mia attività di ricerca riguarda altri temi; quindi, non ho partecipato ad esperimenti sulla medianità. Ho però studiato a fondo la letteratura scientifica che, negli ultimi 30 anni, ha riportato una dozzina di replicazioni di un protocollo sperimentale detto “in multiplo cieco”, condotte da diversi laboratori universitari, che indica che “medium di ricerca”, rari e particolarmente dotati, sembrano effettivamente in grado di produrre informazioni corrette e specifiche riguardo a personalità disincarnate che non avrebbero in alcun caso potuto ottenere con mezzi normali.
Mi è poi capitato, a titolo personale, di vedere alcuni di questi medium di ricerca in azione durante sedute con persone in lutto, e a volte sono rimasto veramente colpito. Mentre dava una lettura per una persona di un piccolo gruppo, per esempio, ho visto la medium americana Laura Lynn Jackson snocciolare una serie di dettagli stupefacenti, e poi, avvicinatasi alla giovane donna a cui la lettura era diretta, chiedere con insistenza. “dodici, dodici, perché continuo a ricevere il numero dodici?”. E la donna, singhiozzando, risponde, “mia figlia è morta il 12 dicembre 2012”. Al di là quindi di quello che ci dice la ricerca in laboratorio (un ambiente “sterile”, asettico, impersonale, in cui ci sono cinque livelli di separazione tra il medium che fa la lettura e la persona a cui essa è ricolta), viste in un contesto naturalistico (cioè quando e come avvengono nella vita reale), le comunicazioni da parte dei pochissimi medium che hanno un dono reale è un evento umanamente straordinario.
G.G.: sulla base dei Suoi studi decennali e delle esperienze personali potrebbe descriverci la Sua “Idea del Mondo”?
Ovvero quale idea si è fatto riguardo il vero significato della o delle vite?
P.C.P: Lei mi fa una domanda difficile, alla quale posso rispondere solo a titolo personale, e non certo come uomo di scienza. Cioè, non direi mai che c’è evidenza empirica convincente per quello in cui mi piace credere. È vero che la mia visione filosofica del mondo spiega molto meglio tutti i fenomeni di cui mi occupo, ma rimane una visione, appunto, filosofica.
Io sono un aderente della corrente filosofica detta “idealismo monista”, che dice che la realtà ultima del mondo è una sola (monismo), e che questa realtà è la coscienza (idealismo). Non è quindi la materia (il cervello) che dà origine alla coscienza, ma è la coscienza ultima e fondamentale che dà origine a quello che ci appare come il mondo fisico. Questo pensiero ha origine nell’India del periodo Vedico, trenta secoli prima di Cristo; riaffiora poi negli scritti dei filosofi neoplatonici della Grecia antica, e nelle parole di mistici dell’Islam Sufista e della cristianità medioevale in Europa. All’inizio del ventesimo secolo, questa corrente di pensiero ha ricevuto nuovo impeto non
da filosofi, ma dai padri fondatori della fisica quantistica, la comprensione della realtà ultima non parla, per l’appunto, di materia, di oggetti, ma piuttosto di un mondo di pure probabilità che diventa reale solo con l’osservazione da parte di un essere cosciente. Infine, oggi c’è un gruppo di brillantissimi filosofi idealisti (molti dei quali sono anche scienziati in scienze naturali, tra cui il nostro Federico Faggin, inventore del microprocessore) che riformula questa teoria con linguaggio contemporaneo sostenendo che la natura ultima della realtà è mentale, non fisica. La coscienza viene prima della materia.
G.G.: Le persone da Lei studiate che hanno avuto esperienze di premorte, al loro ritorno nella dimensione dei “vivi”, sono cambiate intimamente, e in caso affermativo, in quali aspetti della personalità?
P.C.P.: Ricordiamo brevemente che cosa sono le esperienze di premorte (per cui useremo l’acronimo inglese NDE, da Near-Death Experiences). Questi sono milioni di casi estremamente ben documentati in tutto il mondo in cui persone senza alcuna attività cerebrale (per esempio, durante il coma a seguito di un arresto cardiaco – persone clinicamente e legalmente morte), dopo essere state rianimante riferiscono di un’esperienza ipercosciente (che definiscono “più reale della realtà di tutti i giorni”), molto simile tra persone molto diverse, ricordata dei minimi dettagli dopo decenni, per cui semplicemente non ci sono spiegazioni in termini di neurofisiologia. Queste persone semplicemente non hanno cervello, eppure vivono quest’esperienza complessa e articolata, che spesso comprende un’esperienza fuori dal corpo durante la quale percepiscono minuti dettagli delle procedure di rianimazione, che poi vengono verificati negli studi sperimentali. Le NDE hanno anche spesso una dimensione ultraterrena, ed è interessante notare che virtualmente tutti gli scienziati che si sono dedicati allo studio di questo fenomeno sono convinti che esso sia fortemente suggestivo di una vita oltre la vita.
Un’altra caratteristica affascinante delle NDE è che esse determinano in tutte le persone che le hanno vissute esattamente gli stessi cambiamenti psicologici e comportamentali – cambiamenti benefici, profondi e permanenti, indipendenti da chi fosse la persona prima della NDE. I sopravvissuti perdono ogni interesse per cose come ricchezza, beni materiali o potere personale, e si interessano piuttosto alla conoscenza fine a sé stessa e all’aiuto agli altri. Se erano religiose in senso stretto, abbracciano invece una spiritualità più ampia e comprensiva. Soprattutto, perdono completamente e definitivamente ogni paura della morte. Hanno vissuto in prima persona la “verità incredibile” che ci dice che la morte del corpo non significa la fine della vita e, se mai, hanno desiderio di tornare nella dimensione spirituale che hanno brevemente conosciuto.
G.G.: Fenomeni come preveggenza, telecinesi e telepatia possono essere dimostrati scientificamente?
P.C.P: Questi cosiddetti “poteri psichici” sono stati dimostrati, durante gli ultimi 150 anni, in migliaia di esperimenti di laboratorio in condizioni strettamente controllate, condotti da centinaia di scienziati impiegati da almeno una quarantina di istituzioni accademiche. I risultati degli esperimenti e delle loro replicazioni sono stati pubblicati in migliaia di articoli peer reviewed, apparsi su riviste scientifiche specializzate, comprese le più prestigiose come Nature, The Lancet e Scientific American. Mi spiace essere così esplicito, ma l’unica conclusione che si può trarre è che chi afferma che la parapsicologia non ha mai prodotto niente e che non esiste evidenza per i poteri psichici o è ignorante (non conosce la letteratura tecnica) o è intellettualmente disonesto (la conosce, ma sceglie di ignorarla per rimanere attaccato alle proprie convinzioni).
G.G.: A giudicare dal successo dei Suoi libri e dalle visualizzazioni delle Sue interviste, ritiene soddisfacente la risposta del pubblico italiano? Come stanno rispondendo le persone alle Sue proposte?
P.C.P.: Me lo lasci dire, sono semplicemente estasiato. Io non vivo in Italia da 35 anni – il mio lavoro, le mie ricerche sono sempre state all’estero (vivo attualmente in Scozia), e quando ho scritto i miei libri li ho sempre scritti in inglese. Solo qualche anno fa, ho pensato di tradurre in italiano i due titoli più popolari (21 Giorni nell’Aldilà e Un Passo nella Luce). L’accoglienza del pubblico è stata assolutamente straordinaria. In maniera quasi imbarazzante per uno studioso, mi pare di essere diventato una piccola (piccolissima) celebrità. Pensi che i video delle mie interviste online sono stati visualizzati da quasi un milione di persone… Detto ciò, quello che mi rende veramente, profondamente felice è che mi rendo conto di quante persone siano aperte all’idea che propongo di una fede razionale nell’aldilà. Una fede non basata su una dottrina, sulle parole di un libro sacro o di un profeta, certamente non sulle mie parole e nemmeno su particolari esperienze personali. Una fede che definisco razionale perché basata sulla conoscenza e sull’esame critico dei fatti, dell’evidenza empirica. Mi piace l’idea che ci siano tante persone disposte a mettersi in discussione, a fare il lavoro di apprendimento e riflessione in prima persona piuttosto che affidarsi alle parole dei tanti che dicono di aver capito tutto ed elargiscono le loro verità.
G.G.: Dr Parisetti, la ringrazio per le puntuali risposte e per aver accettato di condividere con noi le Sue opinioni su argomenti così delicati. Ci sarebbero molte altri aspetti da affrontare e sarei onorato se potessimo offrire ai nostri Lettori ulteriori spunti di riflessione. A Lei le conclusioni …
P.C.P: Il messaggio che mi piacerebbe lasciare ai lettori è il condensato di oltre vent’anni di studio nel campo specifico della parapsicologia clinica, ovvero la relazione tra esperienze eccezionali e salute mentale. È il messaggio, prima di tutto, di un medico a cui sta a cuore il benessere degli altri. La ricerca ci dice indiscutibilmente che credere nell’esistenza di un aldilà fa bene, specialmente alle persone che soffrono per la perdita di una persona cara. Allora, il mio messaggio è che per credere nell’aldilà non è necessario essere religiosi (anzi, a volte gli insegnamenti delle religioni possono essere confusi e contraddittori riguardo a quello che succede esattamente dopo la morte), e non è necessario fidarsi ciecamente delle parole di chicchessia. La ricerca clinica che sto conducendo da quasi due anni mostra chiaramente che quando le persone in lutto investono tempo ed energie nel considerare letteratura seria che presenta evidenza empirica suggestiva di un aldilà (e sfidano costantemente quest’evidenza con il loro senso critico), recuperano dal dolore di una perdita meglio e più rapidamente. E’ proprio il processo psicologico dell’apprendere e del riflettere in profondità su ciò che si è appreso che può lenire il dolore in maniera significativa.
Scarica in PDF