Soltanto spettacolo sportivo o un fenomeno culturale?
Ada Corneri offre ai lettori questo primo assaggio della sua visione francese della vita e della letteratura, con un commento al Tour de France 2024. Ho raccontato qualcosa di lei e delle sue traduzioni, con un recente articolo del 17 giugno scorso, per ricordare l’arrivo di Chateaubriand a Torino:
Mitico Tour de France!
Nel primo giorno di luglio è arrivato a Torino: ci ha sfiorati (o invasi?) con la sua assordante carovana gialla, se ne è andato su per i monti, lasciandoci onorati del suo omaggio, in quanto per la prima volta la Grande Boucle sconfina in Italia per la partenza e le tappe iniziali. Ha stordito Firenze, abituata a grand tour ottocenteschi più compassati; ha suscitato entusiasmo nell’attraversamento dell’Emilia-Romagna (con le due tappe Firenze – Rimini e Rimini – Piacenza, un omaggio a Marco Pantani), per raggiungere il Piemonte nella terza tappa, pedalando tra le terre dei nostri grandi, Coppi e Girardengo, per dirne solo due; ogni giorno ha coinvolto folle di appassionati corsi ad applaudire.
Che cos’è, quindi, questo Tour? Proviamo a raccontarlo.
Non è una semplice gara ciclistica, ben diverso dalla Vuelta spagnola o dal nostro Giro. Si tratta, piuttosto, di un fenomeno culturale e sociale, che dal 1903 galvanizza l’amor patrio di tanti francesi. Trasmesso in 190 Paesi, è il terzo evento sportivo a livello mondiale per il volume di affari collegato. Il Tour nasce a tavolino, grazie a una brillante intuizione, per il bisogno di raccontare qualcosa di accattivante e rilanciare un giornale, in una complessa vicenda di inizio Novecento (1). In un’epoca sprovvista di droni e dirette il racconto diventava per i giornalisti un vero cimento letterario, continuamente rappresentato negli anni a seguire da grandi firme che sono passate alla storia della cronaca sportiva.
Nell’impresa giornalistica e letteraria si sono cimentati, ad esempio, Pierre Chany del quotidiano sportivo l’Equipe che ne ha raccontato 49 edizioni, o il nostro Gianni Mura, che ha trasferito le sue pennellate di colore, non solo ciclistico, ad opere di finzione, inventandosi perfino un Tour de France “giallo” in tutti i sensi (Giallo su giallo, 2007). Lo scrittore e cronista Philippe Bordas sottolinea, nei suoi reportages sul quotidiano sportivo L’Équipe (1984-1989) come, all’inizio, le tappe del Tour abbiano contribuito, soprattutto nelle campagne, alla percezione di una identità nazionale, sotto gli aspetti geografici e linguistici.
La concomitanza con le prossime Olimpiadi di Parigi ha fatto sì che il Tour, spostando eccezionalmente il suo arrivo dagli Champs-Elysées al lungomare di Nizza, abbia previsto un percorso che si snoda in prevalenza nel Sud della Francia, “regalando” all’Italia ben 625 km dei 3.500 totali complessivi, coinvolgendo, in ordine inverso, le prime due capitali d’Italia.
Per la sua quarta volta a Torino, il suo passaggio in città, al termine della tappa Piacenza – Torino di 231 km, è stato accolto da vari eventi e manifestazioni; citiamo, fra tutti, la mostra fotografica proposta dall’Alliance Française con l’Ambasciata di Francia e l’Institut Français, visitabile fino al 14 luglio sulla passerella Chiaves-Carrara sul fiume Po, di fronte al Motovelodromo Fausto Coppi. “Storia italo-francese del Tour de France” si avvale di scatti dell’Equipe, dal bianco a nero delle origini al moderno colore, ed è dedicata a campioni italiani partecipanti al Tour, da Bottecchia a Bartali, da Gimondi a Pantani e a Nibali.
Come accennato, il binomio ciclismo/letteratura sin dagli albori ha ispirato grandi scrittori francesi.
Nel 1896 il poeta Stéphane Mallarmé si era dilettato a scrivere sul tema della bicicletta, innovativo mezzo di trasporto. Nel 1902, mentre si sta organizzando il primo Tour, Alfred Jarry, noto per la pièce Ubu Roi, incentra il suo romanzo moderno Surmâle nell’ambito di una corsa ciclistica.
Lucien Petit-Breton, il primo corridore a vincere due Tour de France, rispettivamente nel 1907 e 1908, caduto durante la Prima guerra mondiale, è ricordato come il primo intellettuale della carovana, grazie ai suoi scritti dispensatori di buoni consigli.
Maurice Leblanc, creatore di Arsenio Lupin, evidenzia nei suoi testi il fascino della bicicletta come simbolo di velocità e progresso.
Da allora molte “plumes” si sono cimentate con le due ruote e il critico e saggista Roland Barthes dedica proprio uno specifico studio al Tour de France (in Mythologies, 1957) visto come una vera epopea omerica in un perenne confronto tra uomo e natura.
Il “nostro” Gianni Mura ci ha lasciato il lavoro postumo La fiamma rossa. Storie e strade dei miei tour, storie di una vita al Tour, raccolte da Simone Barillari.
Fino alla biografia, scritta da Paul Fournel, Anquetil tout seul (2012), il primo a vincere per cinque volte la competizione francese.
C’è tanto, quindi, che ruota intorno al Tour de France: pedalate che raggiungeranno forse il successo, impregnate di sudore, fatica e, a volte, sofferenza umana. Immagini forti, tra cadute ed erte salite, gioie e imprevisti, ben oltre i lustrini appariscenti della televisione o di un seguito pubblicitario. Fra valori antichi di squadra e solitudini individuali, sospeso fra etica e “business”, tutto questo è il Tour de France.
Note
- Il più importante quotidiano sportivo francese era Le Vélo, che vendeva 80.000 copie al giorno. Il suo editore, Pierre Giffard, si schiera fra gli innocentisti nell’affaire Dreyfus, ma i suoi sponsor, tra cui de Dion, non apprezzano. Quest’ultimo, nel 1900, decide, insieme ad altri antidreyfusardi come Edouard Michelin, di finanziare Henri Desgrange che crea un quotidiano sportivo rivale, L’Auto-Vélo. Visto che Le Vélo era pubblicato su carta verde, Desgrange fa editare il suo su carta gialla (a questo colore si ispirerà la maglia gialla). Quando l’Auto-Vélo non ottiene il successo sperato, per cercare fondi il giovane giornalista Lefèvre suggerisce una gara di ciclismo di sei giorni, attraverso tutta la Francia: nasce il Tour de France.
Ada Corneri
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