
Perché ringraziare rappresenta un piccolo passo verso la pace ed il perfezionamento interiore
Gli inglesi sono ‒ o almeno erano tradizionalmente ‒ più freddi e distaccati di noi italiani nei rapporti interpersonali; tuttavia please e thank you sono espressioni usatissime, anche quando si tratta di una richiesta semplice e veloce o quando un ringraziamento a molti di noi può sembrare ridondante. Una consuetudine che tanti giudicano leziosa o addirittura ipocrita, ma se non vogliamo fare brutte figure davanti ad una tazza di tè in Gran Bretagna sarà bene che impariamo a dire sempre please e thank you. Esiste anche il verbo to please, usatissimo e con mille sfaccettature; pensiamo alla celeberrima canzone Please, please me dei Beatles e a tantissime altre. Insomma, chiedere con cortesia e ringraziare in inglese non guasta mai.
Sarebbe bello che non guastasse mai in nessuna lingua, soprattutto perché sappiamo tutti bene che le scelte lessicali, morfologiche e sintattiche di qualsiasi idioma non derivano dal nulla. Sono il risultato della storia di un paese, di un certo modo di essere legato ad usi, costumi e tradizioni nazionali che si sono fusi nel corso della storia con altre civiltà, altre religioni, altri pensieri politici. Sarebbe bello pensare che oggi nel mondo venisse spontaneo a tutti ringraziare per ciò che si riceve: so bene che è un’utopia forse addirittura fuori luogo nel mondo folle e irragionevole in cui siamo precipitati, ma forse imparare a ringraziare può essere un microscopico passo verso una nuova coscienza civile, basata non sull’arroganza e sulla assurda pretesa di possedere la verità rivelata, bensì sulla tolleranza, sul coraggio delle proprie idee e sul rispetto di quelle altrui.
Chi ringrazia, infatti, apprezza il comportamento, i gesti, le azioni, le parole di chi l’ha aiutato, senza necessariamente condividerne pensieri e convinzioni, ma apprezzando la comune umanità presente in chi aiuta e in chi ringrazia; chi ringrazia condivide il suo sollievo, la sua quieta dopo la tempesta per lo scampato pericolo con chi l’ha tolto dai guai, o più semplicemente è felice di vivere, con chi gli ha offerto una cioccolata calda dopo una giornata sulla neve, un momento di piacevole relax. Chi ringrazia apprezza i gesti e i comportamenti di chi gli sta vicino, vede negli altri più amici che nemici, dimostra il proprio affetto per gli altri e la sua riconoscenza verso quella parte di umanità che s’impegna per il bene degli altri. È importante non avere paura di dimostrare affetto e riconoscenza, così come altre emozioni; con discrezione, garbo e misura, naturalmente, ma perché privare chi ti ha aiutato, anche in una piccola cosa, della gioia di sentirsi apprezzato? Troppi si trincerano dietro un atteggiamento distaccato, a volte addirittura supponente, di fronte a spontanei gesti di aiuto, di cortesia, magari anche solo davanti ad un sorriso di incoraggiamento.
C’è chi sostiene che si tratti di timidezza, ma l’incapacità di manifestare i propri sentimenti denota spesso una certa povertà emozionale che credo vada combattuta, per sé e per gli altri; e cosa c’è di meglio e di più facile che cominciare a dire “grazie”? Chi aiuta spontaneamente o semplicemente incoraggia non lo fa per ottenere qualcosa in cambio, ma perché deluderlo con il silenzio o poche parole biascicate a fatica? Un “grazie” deciso e magari accompagnato da un sorriso è un’ottima medicina per chi lo pronuncia e per chi lo riceve; il primo manifesta la sua emozione davanti ad un aiuto magari inaspettato e fa uscire da sé, con la propria voce, la gioia della riconoscenza. E questo è importante, perché dire una cosa è diverso dal pensarla solamente, a mio avviso; ascoltare il suono della propria voce, sentire l’emissione dell’aria dalla bocca all’esterno è liberatorio, può essere un piccolo passo avanti verso la liberazione dei propri sentimenti ed emozioni, a volte trattenuti dalla paura del pregiudizio altrui. Ed è altrettanto importante per chi lo riceve; lo rallegra, lo rincuora, lo spinge a continuare sulla strada dell’apertura agli altri. Dunque, impariamo a ringraziare, meglio una volta di più che una di meno. Si tratta di un piccolo passo verso la conoscenza dell’altro, ma anche di se stessi. Piccolo, ma fondamentale.
Un tempo ai bambini venivano insegnate espressioni come “per favore,grazie e prego”. Ora molto meno.forse se gli adolescenti spesso non le usano è perché le hanno sentite raramente in casa
Temo tu abbia ragione. Ma insistiamo a dare il buon esempio; è l’unica strada che conosco per ottenere buoni risultati, magari alla lunga, ma sicuri.