Percorriamo la scia dei ricordi e delle commemorazioni di Personaggi e fatti storici. Il 1944, cioè ottant’anni or sono, ce ne fornisce parecchi. Su questo giornale ospitiamo abitualmente gli scritti di eminenti storici o colleghi che hanno vissuto e preso parte a eventi o conosciuto personaggi, storici per ricevere testimonianze dirette, al di fuori della retorica e della vulgata.
Oggi diamo spazio al racconto inedito e vissuto da un “ragazzo del 1925” che per difendere la Patria a prescindere da chi fosse il presidente del consiglio si era arruolato volontario. L’abbiamo ricevuto negli anni scorsi poco prima della sua morte. Nel rispetto che si deve a chi ci ha lasciato, ne pubblichiamo la premessa. E’ un rapporto crudo, non “politicamente corretto”, ma esprime il pensiero di chi si è posto nella condizione di pagare con la vita il suo amore per l’Italia.
PERCHE’
“Era un pomeriggio del luglio 1944.
Il sole giocava a rimpiattino tra le fronde dei castagni annosi dell’Appennino emiliano, le messi mature s’attorcevano tra le fiamme e le cicale tacevano sgomente. Col fucile pronto allo sparo mi guardavo attorno, inchiodato sul posto dov’ero stato messo di sentinella. Attorno, vicino e lontano, spari…urla…bestemmie. E dense nuvole di fumo in eruzione dalla boscaglia, nella direzione di un gruppo di case.
Stavo cercando di non pensare alle vicende che avevano trasformato il mio sogno di riprendere le armi contro lo straniero, per finire in modo decente una guerra disgraziata e ormai perduta, nell’amara, repellente realtà di dovere offrire la mia giovinezza allo schifo della guerra civile, quando in quel bosco, tra quei giganteschi corpi vegetali di legno nodoso, la vidi venire avanti. Scarmigliata, gli occhi fuori dalle orbite, alte le mani levate nel sole. Due miei camerati l sospingevano come una pecora sul sentiero. Le sue grida parevano ululati:
“Il mio Toni !….Me lo avete assassinato !…Assassini !“
Non seppi e mai ho saputo cosa fosse realmente accaduto, perché quella donna fosse là, in quelle condizioni. Sicuramente il figlio le fu ucciso o cadde ferito tra quelle case che, un po’ più in là, stavano bruciando. Ma quelle urla mi penetrarono nelle viscere come piombo fuso, si piantarono nel cuore come chiodi. E sono ancora lì! In quel povero volto di Donna Italiana, devastato dal terrore e dal dolore, scorsi il volto di mia madre, vidi il volto di tutte le madri d’Italia costrette a piangere e a sanguinare a causa di una guerra fratricida, voluta e gestita da coloro che nella distruzione della Patria vedevano la possibilità di trionfare su un avversario, ormai sconfitto dal giudizio della Storia. Mi chiesi, allora, perché mai io fossi diventato un assassino agli occhi di quella povera donna. Mi chiesi perché mai noi, che avevamo voluto reindossare la divisa soltanto per finire in modo onorevole la guerra, fossimo costretti ad aggirarci come lupi per i boschi e per le montagne, in caccia di altri Italiani, col dito sul grilletto, pronti a uccidere per non essere uccisi.
Perché mai l’Italia, oltre al dolore e all’umiliazione di una guerra persa con la resa incondizionata, oltre alle ingiurie degli eserciti di tutto il mondo, dovesse anche sperimentare lo schifo del fratricidio!
Rivedo il terrore artigliato sul volto della moglie del Maresciallo dei Carabinieri di Mosso Santa Maria, nel Biellese, mentre si aggrappava agli stivali del partigiano che le stava portando via il marito, per ammazzarglielo dietro al Cimitero. E ricordo come ella fosse rimasta là, povero mucchietto di stracci singhiozzante, sulla piazza del paese, dopo esser stata respinta con un calcio nel ventre. E’ da quei due volti disfatti dall’orrore, che è scaturita e continua a scaturire la mia repulsione, morale e fisica, per la Resistenza. Quella Resistenza mitizzata dai Governi succedutisi alla guida dell’Italia dopo il 25 aprile 1945. Da quel senso di rivolta è nato il bisogno di scrivere queste pagine, questa requisitoria.
Non ho mai odiato nulla di ciò che è Italiano, e ho sempre amato la mia gente, anche quando la vidi sputarmi in faccia e chiedere la mia morte! Ma il veleno che ci ha costretti, tutti, a compiere quelle infamie, non è stato confezionato in Italia, non è roba nostra! Esso venne da lassù, dal Nord, ove allignava e sbavava sul mondo intero l’idra bolscevica. E anche il nemico angloamericano lo utilizzò cinicamente per vincere la sua guerra, così come cinicamente impiegò i bombardamenti a tappeto e le bombe al fosforo contro la popolazione civile, per distruggerne anche il tessuto morale ed etico, senza tener conto che la distruzione dei valori morali sui quali allora si reggeva la società civile europea, avrebbe finito inesorabilmente di ritorcersi contro coloro che la causarono. Gli avvenimenti dei decenni postbellici dimostrano l’effettività di questa Nemesi. E tuttavia, irresponsabili uomini di governo, uomini di parte politica, uomini di cultura anche, resi ciechi e sordi dal veleno e dalla confusione che la Bestia bolscevica ha iniettato in Europa e nel nostro Paese, hanno imposto la Resistenza agli Italiani come proseguimento, anzi, completamento del Risorgimento Italiano! Almeno per ora, nessuno in Italia può smentire questo spudorato falso storico, poiché il solo e semplice discutere della Resistenza, diventa reato perseguibile a termini di Legge. Tutto ciò che riguarda la Resistenza può avere un solo tipo di testimone: il partigiano, o meglio, il partigiano comunista, o l’intellettuale di sinistra.
Il mio lavoro intende principalmente, se non esclusivamente, combattere la perversione ideologica, che ha spinto una certa categoria di Italiani a considerare nemici da eliminare fisicamente e persino anagraficamente coloro che volevano terminare, in modo onorevole e coerente, una guerra determinante, non soltanto per l’Italia, bensì per tutta l’Europa e, forse, per il mondo intero. Vorrei perciò risparmiare qualsiasi attacco alle persone. Tuttavia so che ciò non sarà possibile, perché le idee sono veicolate da uomini, non da fantasmi. Sarà quindi necessario mettere in conto ulteriori ferite morali, soprattutto per coloro che hanno agito in buona fede e che, pur divenuti dubbiosi per le verità venute, e che vengono continuamente a galla, sono tuttavia confermati nel loro errore da 50 anni di propaganda e di deformazione della verità.
Facciamo un primo esempio: quanto avvenuto l’8 settembre 1943 è ormai stabilito nei testi della Storia ufficiale come ARMISTIZIO. Fu, invece, nella sostanza e nei fatti, una RESA SENZA CONDIZIONI! Resa che per il modo incredibilmente vile con cui era stata chiesta e accettata, ci abbandonò nelle mani di un ex alleato inferocito, e al martellamento quotidiano di terroristici bombardamenti aerei da parte dei “liberatori”! Orbene, mi conforta la speranza che gli onesti, coloro che furono “ribelli” in buona fede, per onorare il giuramento fatto al re, per rintuzzare la tracotanza dei Tedeschi, o per qualsiasi altra valida ragione morale, sapranno comprendermi, anche perché costoro, oggi, e non solo da oggi, si sono ritirati in un dignitoso silenzio. La Medaglia d’Oro Edgardo Sogno ne è stato un esempio.
Al Capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, che proprio in questi giorni ha voluto esaltare una volta di più quei giorni crudeli, premiando con medaglie e cerimonie solenni la “parte vincente” nella figura della città di Boves, io ricordo le migliaia e migliaia di Italiani, fascisti o presunti tali – comunque Italiani anch’essi – liquidati nei boschi e sulle montagne della provincia di Cuneo. Sono tanti, On. Scalfaro!, e della maggior parte di essi non si è trovata neppur più la sepoltura ! Le Ombre di costoro, insieme a quelle di tutti i Morti periti nell’incendio sanguinoso, che lo straniero seppe astutamente attizzare e incrementare, non consigliano ancora a coloro che reggono la res pubblica. la parola BASTA? Tale domanda non avrà risposta. E neppure può averla, almeno finché sussisterà la situazione creata da 50 anni di falsificazione della Storia. che, dal 1945 fino a oggi, poggia su tre equivoci. Del primo, e cioè del cosiddetto “armistizio” ho già accennato; degli altri due dimostrerò il peso determinante nel degrado civico e morale in cui oggi si dibatte il popolo italiano.
Il secondo equivoco, infatti, sta nell’aver identificato la Repubblica Sociale Italiana in un redivivo regime fascista. L’equazione R.S.I. = Fascismo, creata dall’antifascismo per giustificare la Resistenza, è stata accettata anche dai movimenti di destra e di estrema destra, che in tal modo hanno automaticamente giustificato la condanna storica già espressa dall’antifascismo e dal prevalere delle armi alleate. Fascisti e antifascisti si sono così avvicendati, percorrendo vie molte volte antitetiche e a dispetto gli uni degli altri, nel seppellire la vera sostanza del fenomeno Repubblica Sociale Italiana, che è stato, invece, la rivolta di un’intera generazione alla vergogna della resa senza condizioni agli Alleati. E’ stato il tentativo – in molti casi pienamente riuscito – di ripristinare il rispetto della Patria italiana davanti alla tracotanza dei Tedeschi; è stato il tentativo – purtroppo paralizzato e poi soffocato dalla faziosità antifascista – di risparmiare all’Italia lo schifo della guerra civile. Se nell’esercito della R.S.I. molti furono i fascisti (e dove avrebbero dovuto essere, altrimenti ?…forse con i molti Lajolo, che pullularono nella Resistenza ?), moltissimi, i più furono solo e soltanto Italiani, non contaminati da alcun legame politico, ma illuminati da un amore totale per l’Italia, Italia intesa come Storia, come Terra, come Popolo…Derubarli del loro ideale e rivestirli con la camicia nera è stato un ulteriore delitto, volutamente calcolato da parte degli antifascisti vittoriosi, e una grossa idiozia da parte di coloro che furono e oggi ancora si dichiarano fascisti. In questo modo un fenomeno storico di grande valore etico e morale, infinitamente superiore a qualsiasi concezione di parte, ha potuto essere enucleato dalla storia italiana, relegato a “fatto contingente”, definito condannabile e, posto sotto una certa luce, persino esecrabile…*
Il terzo equivoco di cui si occupa questo libro sta nell’aver fatto passare la Resistenza come movimento patriottico nazionale, a cui il popolo italiano in gran massa e subito aderì dopo l’8 settembre 1943, per riconquistare le libertà civili conculcate dal fascismo e così meritare il rispetto dei “popoli liberi“,
Ancora una riflessione. Il 25 luglio 1943 il regime fascista si esaurì per volontà dei suoi stessi rappresentanti, ma soprattutto grazie al golpe monarchico ai danni di Benito Mussolini. L’8 settembre 1943 lo Stato italiano venne disintegrato dalla miope vigliaccheria del re e dei suoi ministri, mentre eserciti stranieri si dividevano le spoglie del territorio metropolitano. In quei giorni di caos prese corpo la RSI come volontà di rialzare la Bandiera italiana davanti a tutti gli stranieri: con le armi, proseguendo la guerra contro gli Angloamericani, con la diplomazia e la resistenza passiva contro i Tedeschi.
Assunto il potere a guerra conclusa, gli uomini partoriti dalla Resistenza, se veramente avessero avuto mente e cuore italiani, avrebbero dovuto radunare i fratelli da essi resi nemici, riconoscerne le motivazioni ideali, invitandoli alla ricostruzione della Patria in piena parità di meriti e di intenti. Questo non avvenne, anzi, le divisioni e gli odi furono approfonditi e codificati da leggi e manifestazioni, insozzando persino i cimiteri.
Comunque, al di là e al di sopra di ogni considerazione sentimentale, filosofica e storica, esiste una realtà che io ritengo inconfutabile: quelli che inizialmente accorsero nella RSI volevano una cosa sola, indossare il grigioverde per finire dignitosamente il combattimento contro lo straniero; coloro che accorsero nella Resistenza lo fecero per ammazzare altri italiani. La differenza tra gli uni e gli altri è tutta qui.”
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