Una targa “sbagliata” ricorda le sue imprese
Aristide Faccioli nasce a Bologna il 20 novembre 1848. Nel 1883 brevetta un motore a gas a doppio effetto. Dopo la laurea a Torino in ingegneria industriale, nel 1891 consegue un brevetto per l’applicazione di motori a idrocarburi su motori automobili e, nel 1895, ne ottiene un altro concernente i motori a combustione interna. In quello stesso anno, nel libro Teoria del volo edito a Milano, descrive la sua idea e progetto di motore a scoppio, che si concretizzerà, agli inizi del 1898, con la costruzione della sua “vetturetta” Welleyes per la G. B. Ceirano, di Torino, i cui brevetti, come il loro inventore, passano alla neonata Fiat, della quale l’ingegnere è tra i soci fondatori. Il 30 aprile 1899 la Welleyes partecipa alla corsa Torino-Pinerolo-Piossasco-Avigliano-Torino, classificandosi seconda nella sua categoria con il tempo di 3h 10′ 9”.
In FIAT, Faccioli progetta i primi modelli di auto prodotti, come la celebre Fiat 3,5 HP del 1899. Egli diventa il primo direttore tecnico della FIAT, ma il 29 luglio 1901 deve lasciare la l’azienda per contrasti con G. Agnelli; tenta dapprima la creazione in proprio di una fabbrica di automobili, poi si accontentò di una modesta officina per la costruzione di radiatori (vedi scheda Treccani, curata da Enzo Pozzato).
Non solo: Fiat, per oltre un secolo sinonimo di “Fabbrica Italiana Automobili Torino”, era l’acronimo che fino ad allora l’ingegnere bolognese aveva stampigliato a chiare lettere sulla porta dell’ufficio e sui suoi biglietti da visita: “Faccioli Ingegner Aristide Torino”. Nessuno ha ancora indagato questo “cambio” anomale di intestazione, a favore del nascente colosso automobilistico torinese. Un mistero della storia si cela nelle origini di una dinastia?
Abbandonate le auto, Faccioli rivolge la sua attenzione alle costruzioni aeronautiche. Già nel 1895 aveva pubblicato a Milano il volume Teoria del volo e della navigazione aerea. Ricerche sperimentali sulla resistenza dell’aria. Teoria dell’elica e del timone. L’opera suscita l’interesse di molti studiosi in Italia e all’estero, tra i quali si può ricordare Gaetano Arturo Crocco (Napoli, 26 ottobre 1877 – Roma, 19 gennaio 1968), studioso autorevole di aeronautica, allora allievo dell’accademia militare. Nel 1911 Faccioli pubblicherà a Torino il Trattato di aviazione: dell’equilibrio degli aereoplani, che approfondisce gli argomenti trattati nel precedente volume. La costruzione del primo aereo da lui progettato, il triplano SPA, sarà lunga e laboriosa. Esso ha una apertura alare di 6,70 m, lunghezza 3,50 m, altezza 2,20 m.; mosso da un motore orizzontale, con due pistoni, ha una potenza di 25 CV. Particolare curioso: sull’aereo il pilota deve stare in piedi!
Facciamo un passo indietro. Siamo nel 1909, nello stabilimento torinese S.P.A. (Società Piemontese Automobili), in corso Ferrucci 122: è qui che Aristide Faccioli costruisce il primo aereo italiano. Apparecchio e motore vengono collaudati dal figlio Mario, che per la prima volta guida un aereo. I rullaggi preliminari durano settimane, poi, nell’agosto, l’aereo si stacca da terra ed effettua alcuni voli di prova. Alla fine della terza prova, quando l’aereo è in fase di atterraggio, un improvviso colpo di vento lo fa cadere al suolo, con gravi danni, impedendogli di partecipare al primo circuito internazionale aereo di Brescia a cui era iscritto.
Il biplano Faccioli, derivato dal precedente, si alza sul campo di aviazione di Cameri, il 20 luglio 1909, ad oltre 15 m di altezza; il successivo giorno 24, effettua due voli ad oltre 35 metri di quota pilotato dal figlio Mario. Il biplano partecipa a Firenze, dal 28 marzo al 5 aprile 1910, ai “Primi esperimenti di aviazione”, secondo spettacolo aviatorio realizzato in Italia.
Viene richiesto al ministero delle Poste di annullare la corrispondenza con un timbro recante la dicitura “Posta Aerea”, che materializza il primo esemplare di affrancatura italiana per posta aerea, cn un ufficio postale sul campo fiorentino. Il comitato organizzatore della manifestazione fa coniare un limitato numero di esemplari di una medaglia commemorativa in bronzo, la prima ad essere dedicata a manifestazioni aviatorie.
La Russia zarista acquista un esemplare del biplano, sarà il primo aereo italiano venduto all’estero.
Persino il Vate D’Annunzio si innamorerà delle sue creazioni volanti, ammirato dalla complessità del lavoro dell’ingegnoso meccanico: Era là, Aristide Faccioli, attorcigliato in se stesso dal calcolo difficile.
Riprendiamo in esame il secondo mistero riguardante Aristide Faccioli. La lapide posta sulla facciata della palazzina di corso Ferrucci 122 ricorda oggi, ai passanti che alzano gli occhi, un avvenimento storico, ma con una errata indicazione. Un approfondimento su questo tema è stato curato da Milo Julini, durante la stesura del libro Giardini di Torino. Storia, Incontri & Leggende nei Parchi della Città, edito in self-publishing e tiratura limitata a cura dell’Associazione Monginevro Cultura e dell’ANSMI, come lo stesso ricercatore storico ha raccontato sulla testata CIVICO20NEWS in data 8 giugno 2021 col titolo “Il primo volo di un velivolo italiano“.
Leggiamo, infatti, nella targa:
1909 – 1959
In questo stabilimento della S.P.A.
L’ingegno di Aristide Faccioli
Progettò e costruì motore e velivolo
Che il figlio Mario portò in volo
Nel lontano 1909
Sui prati di Venaria Reale
Cinquantenario del primo volo
Di pilota e velivolo italiani.
Essa, collocata nella ricorrenza del cinquantenario del primo volo, si trova ancora su quel muro, oggi facente parte di un palazzo convertito ad altro uso.
Torniamo a quel primo volo italiano, avvenuto il 13 gennaio 1909, i cui particolari sono diventati nebulosi. In realtà, il campo di volo che ha ospitato il pionieristico velivolo non era a Venaria Reale, come indicato nella lapide commemorativa, ma era il prato dell’Ippodromo di Mirafiori, come dichiara lo stesso ingegner Faccioli nell’intervista rilasciata il giorno seguente al giornalista sportivo Giulio Corradino Corradini.
La notizia appare sul quotidiano La Stampa del 14 gennaio 1909, sotto il titolo “Un aeroplano italiano ha volato a Torino”. Il cronista specifica di non aver assistito all’evento, ma di averne appreso i dettagli presso la ditta di costruzione del prototipo, la Fabbrica Automobili S.P.A. di corso Ferrucci. Il volo in questione è stato coraggiosamente effettuato dal figlio dell’ingegnere, Mario, privo della benché minima esperienza di volo. Dall’articolo di giornale apprendiamo che Mario ha collaborato alla realizzazione delle parti meccaniche, lavorandovi con la forgia ed il tornio. Una leggenda vuole che la mamma, la signora Anna, abbia cucito le telerie del rudimentale aereo.
Il mezzo, secondo la citata cronaca, si leva in aria fino a sei-sette metri d’altezza e percorre circa un centinaio di metri; a causa della rottura di un comando dei freni, si impenna, gira su stesso e precipita al suolo. Mario rimane illeso, protetto dall’intelaiatura dell’abitacolo e dalla buona sorte.
A Venaria Reale, dove l’autorità militare ha concesso l’uso della locale piazza d’armi, nel febbraio dell’anno successivo, avviene un secondo volo, sempre su di un velivolo progettato da Aristide Faccioli e pilotato dal figlio Mario, che si conclude senza incidenti. A questa seconda impresa assistono esponenti di Casa Savoia, il fatto viene raccontata ed enfatizzato da Gabriele d’Annunzio.
Al successo di Venaria Reale ne seguiranno altri, nazionali e internazionali. Non sappiamo, allo stato attuale, quale motivo abbia indotto l’errore della targa commemorativa.
L’ingegner Faccioli nel 1913 mostra interesse per il movimento Futurista, pubblica il libro dal titolo criptico Iddio! Saggio di una psicologia futurista.
Il 24 marzo 1915 Mario Faccioli muore, appena trentenne. Il padre, consumato dal dolore, morirà suicida a Torino il 28 gennaio 1920.
Torino lo ricorda con una via nel quartiere di Mirafiori Sud: nelle targhe viarie è definito «Pioniere dell’Automobilismo e dell’Aviazione». Faccioli ha dato anche il nome ai giardini che vi sorgono, polmone verde per gli adiacenti insediamenti abitativi.
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