L’iniziativa della Corte penale internazionale contro Putin: è permesso qualche dubbio?
A leggere i giornali di sabato, 18 marzo, abbiamo un nuovo Matteo Messina Denaro in circolazione che però, a differenza del Capo dei Capi, non è in carcere ben guardato dalle forze dell’ordine ma addirittura siede alla presidenza di una delle superpotenze politico-militari del pianeta.
Si tratta ovviamente di Vladimir Putin che, a detta della Corte Penale Internazionale e di coloro che la prendono molto sul serio, è un criminale di guerra perché -a differenza del suo quasi omologo siciliano- non ha sciolto i bambini nell’acido ma li avrebbe deportati dall’Ucraina in Russia, accusa che peraltro, in un mondo ferocemente infestato da fake news, andrebbe forse approfondita.
A scanso di equivoci, e per pararci dall’onda di indignazione che queste parole potrebbero sollevare, diciamo subito che Putin non è certo la persona che vorremmo avere come amico, e magari neppure come vicino di casa. Si tratta di uno spregiudicato e cinico uomo di potere con fortissime aspirazioni dittatoriali, ma sulla qualifica di criminale di guerra sarebbe opportuno fare qualche seria riflessione.
Potremmo innanzitutto avanzare una banalissima considerazione, evidente per ogni persona normale (escludiamo dunque piddini, pentastellati e altra sinistreria assortita), secondo cui andrebbero considerati criminali di guerra un gran numero di capi di stato o di governo del presente e del passato, a partire dai presidenti americani, Biden ovviamente compreso e Trump decisamente escluso, i cui eserciti hanno spianato intere popolazioni civili con napalm e bombe più o meno intelligenti in Vietnam, Afganistan, Serbia, Libia e altri posti ancora, aiutati da volonterosi carnefici inglesi, francesi e, almeno per quel che riguarda i bombardamenti su Belgrado nel 1999, anche dagli italiani governati da Massimo D’Alema e dal suo vice-presidente di cui sarà bello tacere il nome.
E questo per limitarci solo agli interventi militari diretti più recenti e più conosciuti. Se poi volessimo aggiungere alla compagnia anche lo stato di Israele…
Questo non significa certo che Putin possa essere considerato al di sopra della giustizia penale internazionale, ma forse si dovrebbe guardare anche al pulpito giudiziario da cui viene la predica, un pulpito che, pur dall’alto della sua funzione etico-giurisdizionale, appare affetto da un leggero strabismo, o, peggio, da sospette influenze politiche.
Tralasciamo il sogghignante compiacimento della comunicazione mediatica atlantista, soprattuttto italiana, cosa a cui siamo abituati, e andiamo a vedere la sostanza di questa notizia, in cui è stato inserito anche un fantomatico mandato di cattura, il quale non può che indurre al sorriso qualunque persona un po’ avveduta e che Medvedev, con un certo comprensibile disprezzo, ha paragonato a quella carta che abitualmente si usa per più nobili scopi igienici.
Tutti sanno che la Corte Penale Internazionale dell’Aia ha una giurisdizione limitata: può cioè operare solo in e verso quei paesi che l’hanno riconosciuta ratificando esplicitamente lo Statuto di Roma del 1998, e fra quei paesi non compare la Russia, ma non compaiono neppure gli Stati Uniti, la Cina e Israele, nazioni con qualche coda di paglia in fatto di crimini contro l’umanità.
Sarebbe pertanto ridicolo pensare che la Russia possa essere in qualche modo impressionata da un provvedimento emanato da un organismo internazionale che essa non riconosce; ma sarebbe ancor più ridicolo pensare che quel provvedimento possa essere approvato e utilizzato, in senso materiale e sopratutto propagandistico, dal paese capofila dell’antiputinismo mondiale, cioè dagli Stati Uniti che, esattamente come la Russia, non hanno mai riconosciuto l’esistenza e l’autorità della Corte Penale Internazionale.
Un tribunale, peraltro, che rischia di seguire pericolosamente la sorte di quello di Norimberga e di quello di Tokio, di essere cioè qualificato come tribunale dei vincitori, anche perché finora, a quanto risulta, ha condannato gli sconfitti, come Slobodan Milosevic. Agli altri grandi sconfitti -Saddam e Gheddafi- ci hanno pensato alcuni sedicenti tribunali nazionali o una qualche indefinita giustizia popolare, magari opportunamente guidata dai servizi segreti occidentali.
Quell’ipotetico mandato di cattura è pertanto simile a un cannone di carnevale caricato a coriandoli, e giustamente Putin potrà disinteressarsene in quanto, anche supponendo l’improbabile presenza del Presidente russo in un qualche paese estero per scopi diplomatici, si dovrebbe comunque superare il principio internazionalmente riconosciuto dell’immunità dei capi di stato stranieri e, probabilmente, anche quello dell’immunità diplomatica.
E poi, arrestato Putin, con chi tratterà l’Occidente? Con Medvedev? Con il patriarca Kirill? Con un qualche sconosciuto falco psicopatico dal dito appoggiato sul bottone nucleare?
E forse bisognerebbe anche ricordare ai nostri entusiasti sostenitori dell’azione penale contro il Mostro del Cremlino che fino a prova contraria vige ancora il principio, riconosciuto da tutti i civilissimi sistemi giuridici occidentali, della presunzione di innocenza, proprio quel principio che i loro sostenitori invocano per ogni ladruncolo di strada ma sembrano negare a un capo di stato che -ripetiamo- non piace a nessuno ma che comunque ha diritto anch’egli al beneficio del dubbio sulla sua colpevolezza.
Colpevolezza che invece i forcaioli nostrani danno per scontata, e fosse almeno sulla base del “non poteva non sapere”, ma che per loro appare invece un dato inequivocabile, scontato, accertato al di là di ogni ragionevole dubbio. Un Putin, insomma, con la pistola fumante ancora in mano.
Leggerezza giuridica? Ignoranza giuridica? O addirittura scempiaggine giuridica? E proprio da parte di chi invoca i sacri principi della giustizia e dello stato di diritto contro la barbarie putinana?
A meno che non si accolga la prospettiva di chi, e non sono pochi neppure da noi, raccomanda per Putin una soluzione “alla Sindona”, e cioè un caffè avvelenato che sostituisca la corda del boia.
Ma siamo proprio sicuri di essere “noi”, in tutto e per tutto, migliori di “loro”?
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