Mercoledì 3 maggio si è celebrata la Giornata mondiale della libertà di stampa.
Mercoledì 3 maggio, in tutto il mondo si è celebrata per il trentesimo anno consecutivo la Giornata mondiale della libertà di stampa, indetta dall’Onu per richiamare i valori di indipendenza e autonomia dell’informazione, al riparo da intromissioni della politica e degli altri poteri.
Pe evitare che scorra via come una delle tante e qualsiasi ricorrenze, è bene soffermarsi sulla sua portata e significato. I soggetti a diverso titolo interessati e coinvolti sono i giornalisti, lo Stato che emana le Leggi e regola la materia, la Magistratura, gli editori ed i cittadini che per molti aspetti dipendono dalla qualità dell’informazione che riescono a ricevere.
La libertà di stampa è un bene prezioso per tutte le democrazie e il grado di libertà dei media è direttamente proporzionale alla capacità di uno Stato di realizzare la sua missione al servizio dei cittadini.
Se le notizie circolano poco e sono contaminate da altri interessi, l’esercizio degli altri diritti garantiti dalla Costituzione e dalle leggi vigenti sarà limitato. Viceversa, se i media saranno liberi di raccontare la realtà dei fatti, senza paraocchi e pregiudizi, anche la qualità della vita delle persone sarà migliore e ciascuno sarà in grado di realizzare la sua personalità sia come singolo sia nelle formazioni sociali, secondo quanto prescrive l’art.2 della Costituzione.
I giornalisti sono chiamati a mettere al centro la persona e la sua dignità, non convenienza o calcolo opportunistico, ma anche i governi devo esercitare un ruolo imprescindibile.
Gli Stati, dal canto loro, anzitutto attraverso le leggi, devono blindare il corretto esercizio del diritto di cronaca al servizio della collettività e impedire che i mezzi d’informazione vengano utilizzati per finalità subdole e per veicolare verità precostituite e funzionali alla conservazione delle élite di potere.
Questo punto fermo non riguarda solamente i paesi a regime dittatoriale, ma anche per quanto concerne l’Italia, c’è purtroppo molto da dire.
A parole sono tutti maestri e paludati da nobili intenzioni, anzi bisogna dare credito a quanti celebrano con sincerità d’animo questa ricorrenza che anche quest’anno, il 3 maggio, è stata accompagnata da proclami solenni e appelli ufficiali alla libertà di stampa.
Come accennato, ci sono Stati nei quali essa è una chimera perché i regimi autoritari imbavagliano l’informazione soffocando il dissenso e impedendo ai cittadini di manifestare liberamente le loro opinioni.
Tuttavia, anche negli Stati come il nostro, che nei loro ordinamenti giuridici contengono numerose garanzie a presidio della libertà di manifestazione del pensiero anche attraverso i media, ci sono criticità che ciclicamente si appalesano e che fanno dubitare della effettiva applicazione dei principi di correttezza dell’informazione.
E gli esempi non mancano.
Ricordiamo i lunghi mesi di pandemia, contrassegnati dal chiacchiericcio scomposto dei talk show dominati dai virologi che giocavano a spararla grossa in contrasto tra di loro, alimentando di fatto, confusione e disorientamento.
Questo spettacolo indecoroso ed avvilente, è stato spacciato come libertà di stampa ma era esattamente il suo contrario: cioè un chiassoso e caotico monumento alla retorica che ha finito per disinformare e disorientare i cittadini-utenti negando alla radice l’essenza stessa del bene pubblico -informazione, che dovrebbe essere neutrale e al servizio di tutti, attraverso la divulgazione di notizie bilanciate, equilibrate, rispettose del contraddittorio soprattutto in assenza di evidenze scientifiche.
Il vissuto sconcertante si è ripetuto nelle fasi più convulse della guerra russo-ucraina, quando l’informazione ufficiale si è appiattita sull’informazione dominante e ha rinunciato spesso ad approfondire le reali ragioni del conflitto, offrendo una sua visione predeterminata e incentrata esclusivamente sulle ragioni occidentali.
Un conto, infatti, è valutare opportune le decisioni prese dal governo italiano in materia di sostegno all’Ucraina, altra cosa è rinunciare a priori ad offrire all’opinione pubblica (si pensi in particolare ai doveri del servizio pubblico radiotelevisivo) una lettura equilibrata della guerra, partendo soprattutto dalle origini.
Non da meno si è comportata la vulgata faziosa dei giornaloni che nei giorni scorsi di sono macchiati di lampanti errori commessi a proposito di inchieste e scandali del passato.
Per entrare nel vivo, la trattativa Stato-mafia ha incendiato per anni il mondo dei media, ottenendo uno spazio spropositato su molti giornali ed emarginando e rovinando la vita a persone per bene.
Ora che tutto si è sgonfiato e che la Cassazione ha messo la parola fine su ogni sospetto a carico di protagonisti delle istituzioni dell’epoca, anche dell’Arma dei Carabinieri, nessuno si sente in dovere di chiedere scusa e così il mondo dell’informazione, ossessionato dalle rivendicazioni di libertà anche quando essa non è in discussione, dimentica di scusarsi e vergognarsi degli abusi di quella libertà che tanti giornalisti hanno certamente commesso.
Analoghe considerazioni si potrebbero fare sul Russiagate e lo scandalo che per anni ha visto nel mirino di alcuni media, con un accanimento davvero fastidioso, Matteo Salvini e alcuni suoi collaboratori.
Tutto finito in nulla, ma il fango mediatico, spacciato all’epoca per libertà di stampa, ha certamente violato i diritti della personalità dei soggetti coinvolti senza che, neppure in questo caso, nessuno si sia sentito in dovere di recitare il mea culpa.
E allora il significato della Giornata per la difesa della libertà di stampa non può essere quello generico di rivendicazione di spazi di libertà per chi fa informazione.
Fare informazione significa anche quotidiana assunzione di responsabilità da parte dei giornalisti, chiamati a mettere al centro la persona e la sua dignità, che deve sempre prevalere su qualsiasi convenienza o calcolo opportunistico. Sempre che costoro possano definirsi giornalisti e non diffusori di “veline inquinate” abilmente diffuse ed imposte alla marea dei bacherozzi.
Soffermiamoci invece, a ridosso della ricorrenza, nel reverente pensiero alla memoria dei tanti giornalisti (quelli veri) che anche nell’anno decorso, per cause belliche o di mal affare, hanno perso la vita nell’esercizio della loro missione.
Francesco Rossa – Editorialista
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