
La libertà di stampa, d’informazione e di critica è a rischio? Molti giornalisti lamentano un comportamento oppressivo da parte delle Forze dell’Ordine.
“Civico 20 News” è da sempre impegnato a difendere la libertà di informazione e di stampa.
La professione di giornalista è normata da diverse leggi, norme e decreti. Tra queste è bene ricordare la Legge 3 febbraio 1963, numero 69 che, all’articolo 2, recita: “E’ diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di stampa, d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”.
E’ bene ricordare questo articolo di legge perché – spiace a dirlo – spesso gli uomini e le donne che indossano una divisa esercitano un’azione non corretta nei confronti di un giornalista che sta, come prevede la legge, esercitando “la libertà di stampa, d’informazione e di critica”.
Sul tema è anche intervenuta la Federazione Nazionale della Stampa Italiana “FNSI”, Sindacato unitario dei giornalisti italiani, che – dopo essersi interfacciata con il Dipartimento di Pubblica Sicurezza presso il Ministero dell’Interno – ha diramato una sofferta nota.
Alessandra Costante e Vittorio di Trapani, rispettivamente Segretario Generale e Presidente della FNSI, hanno dichiarato: “Il Dipartimento della Pubblica Sicurezza afferma che ‘non è mai stata data una direttiva operativa che preveda l’identificazione di giornalisti e operatori dell’informazione in occasione di manifestazioni pubbliche’. Ma gli atti che la Federazione Nazionale della Stampa Italiana ha registrato in questi ultimi mesi vanno in direzione ostinata e contraria”.
Purtroppo anche noi, nell’esercizio del “diritto della libertà di stampa, d’informazione e di critica”, è successo di essere avvicinati da uomini delle Forze dell’Ordine che – anziché intervenire rispetto alle violazioni che noi stavamo documentando – hanno proceduto con solerzia ad identificarci e a farci capire che la nostra azione era sgradita.
Anche noi, assieme a Costante e di Trapani, “ci rammarichiamo moltissimo per la fiducia che riponiamo nelle Istituzioni” e nelle Forze dell’Ordine di cui parliamo sempre con riconoscenza, rispetto e grande apprezzamento.
L’Unione Sindacale dei Giornalisti RAI, USIGRai, sigla autorevole e molto rappresentativa nel settore, sui cronisti fermati ed identificati sul suolo pubblico dalle Forze dell’Ordine, ha dichiarato: “La libertà di informazione ora si impedisce con i fermi di polizia. La nuova frontiera del bavaglio al giornalismo in questo Paese passa ora dal blocco preventivo dei cronisti”.
Questo è molto grave perché i cittadini hanno il diritto di sapere cosa, quando, dove e perché avviene.
E’, dunque, gravissimo che il personale delle Forze dell’Ordine, anziché intervenire nei confronti di chi sta violando delle norme giuridiche – spesse volte legate al Codice della Strada – faccia “la voce grossa” con i giornalisti che hanno l’unica colpa di dare compimento ed attuazione al dettame costituzionale che recita: “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.
L’articolo 21 della Costituzione della Repubblica Italiana è molto chiaro: il giornalista non deve chiedere autorizzazione alle Forze dell’Ordine per documentare ciò che avviene su suolo pubblico e, al contempo, non può essere censurato nell’esercizio del suo diritto costituzionale di informazione.
I padri costituenti, infatti, hanno previsto che: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Questo, ovviamente, espone chi esprime “liberamente il proprio pensiero” al vaglio della Magistratura che, in caso di denuncia querela sporta verso l’esprimente – in questo caso il giornalista – valuterà se vi siano state violazioni.
I giornalisti italiani, grazie alla puntuale formazione che gli è data dall’Ordine dei Giornalisti, sanno che devono “tutelare i minori, la dignità delle persone, i malati, la sfera sessuale della persona, la sfera privata dell’individuo”.
Per tutelare tutte queste categorie bisogna soppesare ogni parola, ogni enunciato e, soprattutto, bisogna celare, tagliare e occultare fotografie e riprese video. Il giornalista sa che la privacy dei coinvolti nelle notizie e nei fatti accaduti va sempre rispettata.
Molto preoccupante è il quadro che emerge dalle varie realtà che si occupano di giornalismo e di libertà di informazione e stampa.
L’Esecutivo USIGRai, infatti, sottolinea che “Nel giro di pochi mesi sono diverse le segnalazioni di colleghe e colleghi a cui viene negato con la forza il diritto di cronaca”.
Anche noi, come i vertici dell’Unione Sindacale dei Giornalisti RAI, esprimiamo “forte preoccupazione per questa forma strisciante di controllo e condizionamento che viola di fatto le regole democratiche garantite dalla Costituzione”.
Da mesi la trasmissione di Rete4, “Fuori dal Coro”, diretta da Mario Giordano, manda i suoi inviati in giro per l’Italia a caccia dei “ladri di salute”, ossia di quei direttori, dirigenti e pubblici impiegati del settore della sanità pubblica che non si attengono con scrupolo e diligenza, alle norme nazionali in materia di liste d’attesa per visite specialistiche ed esami radiodiagnostici.
Chi guarda la trasmissione sa che i pubblici dipendenti, spesse volte, chiamano il Numero Unico Emergenze 112 per ottenere l’invio di una pattuglia e cacciare i giornalisti.
A parte che ci sarebbe da sentire se un giornalista che fa domande possa costituire “emergenza” tale da giustificare l’intervento della Forza Pubblica ma, poi, ci si chiede: da quando il giornalista è diventato il “carnefice della situazione”?
Sembra di esser tornati al biennio 2020-2022 nel quale lo slogan più gettonato nelle piazze era: “Giornalista terrorista”, affermazione a cui la Magistratura non ha mai pensato di dar seguito, tutelando una categoria professionale che – come qualunque altra – merita rispetto e considerazione.
Sicuramente torneremo a trattare questo tema perché è sempre più diffuso il malcostume di mettere il giornalista in difficoltà nello svolgere la sua funzione sociale e nel mettere in atto la propria professionalità.