L’uccisione dello studente-orologiaio nel Bar Florio, a Porta Nuova
Siamo a Torino, nel Bar Florio al civico 60 di corso Vittorio Emanuele II, nei pressi della Stazione di Porta Nuova, nella notte fra venerdì 25 e sabato 26 novembre 1977, anno che ha già visto scatenarsi la delinquenza comune e la criminalità politica.
Il Bar Florio, con l’ingresso sotto i portici, all’angolo con via Alessandro Volta, è stato abituale ritrovo dei giocatori granata, ma al momento è frequentato da nordafricani, da somali e dagli abituali clienti notturni della zona, ad alto tasso di criminalità, sfaccendati e personaggi ben noti alla Questura.
Poco prima dell’una, quando il titolare sta per chiudere, gli ultimi avventori odono un colpo di pistola proveniente dal primo piano dove si trova la saletta del biliardo. Poco dopo echeggia un secondo sparo. Un giovane, giubbotto nero, maglione bianco, jeans e stivaletti, che stava leggendo il giornale uscito a mezzanotte, del quale ha appena comprato una copia, al primo sparo è accorso ai piedi della scala. Al secondo colpo, barcollando, mentre una chiazza di sangue gli si allarga sul petto, si dirige alla soglia del locale, dove crolla di schianto a terra, morto.
Dal primo piano scendono a precipizio alcuni giovani che fuggono in strada. Nella confusione, si ritiene che anche il giovane appena morto sia sceso dalla saletta del biliardo, insieme al suo assassino, che sfugge per pochi secondi ai Carabinieri. In corso Galileo Ferraris angolo corso Vittorio Emanuele, poco distante, vi è un posto di blocco. A seguito della telefonata dal Florio, i militari giungono pochi istanti dopo il delitto, ma lo sparatore si è dileguato con gli altri fuggitivi.
Il morto è identificato dai documenti come Glauco Nerone, di 31 anni, studente all’ultimo anno di ingegneria, abitante con i genitori in via Berthollet 2, che riparava orologi in un negozietto di via XX Settembre. Per questo verrà indicato come studente-orologiaio. Il medico legale afferma: «Il killer era un professionista. Il colpo ha raggiunto Glauco Nerone esattamente al cuore». I Carabinieri iniziano subito le indagini: portano al Nucleo investigativo il titolare del locale, la moglie, i pochi testimoni rimasti e, verso le tre, eseguono alcune perquisizioni a Porta Palazzo.
Ma è la Squadra Mobile, col suo capo, il dottor Fersini, e il dottor Pappalardo, che nel giro di quattro ore identifica e arresta il responsabile della morte dello studente-orologiaio: Nicola De Simone. Il dottor Pappalardo ha ricevuto per telefono una soffiata: «Andate in via Garibaldi 18, il Nerone affittava una soffitta come garçonnière. Glauco è incensurato, ma in certi ambienti è noto come “l’ingegnere”; un tipo molto strano».
Quattro volanti circondano il palazzo di via Garibaldi; i poliziotti salgono nelle soffitte, sfondano la porta della garçonnière: rannicchiato in un angolo vedono un mulatto con le mani alzate. È Meeki Ali Mohamed. Accanto a lui una finestrina è spalancata. Gli agenti si lanciano sui tetti, vedono un’ombra che scappa. Sparano raffiche di mitra in aria, l’ombra si ferma e viene catturata. È Nicola De Simone, tarantino di origine, di 28 anni, senza fissa dimora. In Questura, confessa e indica altri presenti al delitto. «Sono su una Renault bianca – dice – stanno andando in Francia».
Parte l’allarme: in piazza San Carlo è intercettata la Renault: a bordo ci sono Stefano Occhipinti, nato a Vittoria di Ragusa, 32 anni, e Vincenzo Di Membra, 28 anni, entrambi residenti a Lione. I quattro arrestati, alcuni ospitati da Glauco Nerone nella soffitta, sono denunciati per omicidio: De Simone come diretto responsabile e gli altri tre per concorso. Inizialmente vengono descritti come personaggi della Torino-nera che vive nei vicoli della città vecchia: la Polizia ipotizza che siano implicati nel traffico dei «Tir» rubati perché una delle centrali di quel traffico è Lione, ma non emergeranno prove.
I quattro appaiono impauriti: al momento del delitto erano un po’ brilli. De Simone ripete che non l’ha fatto apposta e la Polizia lo denuncia per omicidio semplice, non volontario. È ancora da chiarire la personalità della vittima e quale legame avesse con gli arrestati, ma dall’una di notte alle quattro, la Squadra Mobile ha fatto piena luce su un delitto in apparenza insolubile.
In assoluta autonomia, per non dire in rivalità con la Questura, hanno indagato anche i Carabinieri. A mezzogiorno arrestano Giovanni Santuoso, di 29 anni, nato a Reggio Calabria e abitante a Torino, noto nella mala come Gianni il calabrese. È stato notato mentre scappava dal Florio impugnando una pistola, ha attraversato di corsa piazza Carlo Felice, ha raggiunto l’edicola all’angolo con via Lagrange. Qui ha consegnato l’arma all’edicolante, suo cugino. I Carabinieri hanno accertato che l’edicolante ha portato la pistola in un bar di via Cuneo, dove la padrona l’ha nascosta in una stufa del retrobottega. I Carabinieri l’hanno trovata e identificata come arma del delitto, poi hanno trionfalmente annunciato di avere arrestato l’uccisore di Glauco Nerone.
Una situazione paradossale, che il giornalista Alvaro Gili così commenta su Stampa Sera del 28 novembre: «A questo punto il cronista ha il dovere di fare una osservazione: per qualche ora, sabato, polizia e carabinieri sostenevano di avere nelle loro mani il «vero» omicida dello studente-orologiaio. Una situazione, a dir poco, grottesca. Aveva ragione la squadra mobile […] E allora il cronista si domanda: è questa la tanto invocata, e sospirata, collaborazione tra forze dell’ordine? È proprio necessario in un momento così drammatico e delicato, che gli inquirenti si perdano in piccole rivalità che non giovano a nessuno? Un magistrato ha osservato amaramente in proposito: “È tale l’escalation della criminalità, che c’è “gloria” per tutti, polizia e carabinieri. Occorre però impegno e volontà di lavorare insieme”».
Osservazione quanto mai opportuna: la cronaca deve registrare sempre nuovi episodi di criminalità comune e politica, mentre Polizia e Carabinieri incontrano difficoltà operative che Alvaro Gili evidenzia nel suo articolo.
Nel ricostruire la morte di Glauco Nerone sulla base delle cronache giornalistiche coeve stupisce la quantità di scritti che si contrappone alla scarsità di elementi certi. Le prime ricostruzioni a caldo ipotizzano un regolamento di conti malavitoso per questioni di soldi o di donne e additano Nicola De Simone come un malavitoso. Poi si parla di un litigio fra amici alticci, causato dalla prolungata permanenza di Glauco nella toilette che ha scatenato l’ira di De Simone. Come si è detto, le prime ricostruzioni collocano Glauco nella saletta del biliardo al primo piano.
I genitori e i cinque fratelli lo descrivono come un ragazzo tranquillo, alle soglie della laurea, inventore di un deflettore per auto, inviato in Germania, del quale attendeva il pagamento di 14 milioni di Lire. Aveva riparato un orologio antichissimo, con le marionette che si muovevano. Secondo loro «Non aveva amicizie cattive», era a contatto con cattivi soggetti perché nella zona di Porta Nuova dove vive la famiglia, «un ragazzo che esce la sera trova solo certa gente in giro. Ma non è detto che sia come loro». Spiegazione un po’ semplicistica, visto che alcuni degli arrestati erano ospiti di Glauco nella soffitta di via Garibaldi, dove sono state trovate alcune pistole (*).
Dei quattro inizialmente accusati dell’omicidio, Meeki Ali Mohamed scompare subito dalle cronache. Vincenzo Di Membra è il possessore della Beretta calibro 9 usata da De Simone. Nella residenza di Stefano Occhipinti sono state trovate due pistole. Non si parla più di traffico dei «Tir» rubati.
All’inizio di dicembre, Giovanni Santuoso è processato per il tentativo di far sparire la pistola. Nell’imminenza di Natale, viene arrestato un testimone basilare: Alfonso Cutaia, di 27 anni. Era lui nella toilette e non Glauco, come si è detto in un primo tempo. Ma Cutaia, per problemi con la giustizia, ha pensato bene di sparire dalla circolazione. Quando è arrestato, afferma: «È vero, abbiamo litigato per la toeletta. De Simone ha sparato un colpo, forse non voleva colpirmi. Ma il proiettile mi ha sfiorato la giacca ed ha raggiunto in pieno il Nerone. Sono scappato perché avevo paura». (La Stampa, 22/12/1977).
Nell’ottobre del 1978, De Simone è rinviato a giudizio per omicidio volontario. Per il banale litigio, voleva uccidere Cutaia, ma ha colpito Nerone: un caso classico di aberratio ictus perché ha provocato la morte di una persona diversa da quella che voleva sopprimere. De Simone si è precipitato verso l’attaccapanni, ha preso dalla tasca di un giaccone la pistola e ha sparato due volte. Il primo proiettile si è conficcato nel soffitto, il secondo ha sfiorato la giacca di Cutaia, si è infilato per la scalinata che porta al bar sottostante e di rimbalzato ha raggiunto Glauco che si era avvicinato alla scala.
Il processo si svolge in Corte di Assise dal 27 al 30 gennaio 1981.
Le cronache si focalizzano sulla figura della madre, Ermenegilda Sembiante, di 68 anni, piccola, tremante, afflitta da molte malattie. Due mesi dopo l’uccisione del figlio prediletto, il marito è morto di crepacuore. De Simone le chiede perdono: «Signora mi ascolti. Voglio chiederle perdono. Ero amico di Glauco. È stata una fatalità». La richiesta pare non ottenere riscontro: i Nerone si sono costituiti parte civile, non per questioni finanziarie, ma per difendere l’immagine di Glauco.
De Simone sostiene che, quando ha sparato i due colpi, non aveva intenzione di uccidere Cutaia, ma il 30 gennaio, la Corte d’Assise lo condanna a 15 anni di reclusione per omicidio volontario. Vincenzo Di Membra, per il porto della pistola, è condannato a 3 anni. Stefano Occhipinti è assolto: le due pistole trovate sono risultate arrugginiti catenacci incapaci di sparare.
Il processo di appello, a fine ottobre del 1981, quasi dimezza la pena per Nicola De Simone, da 15 a 8 anni, perché i giudici accolgono la tesi dei difensori che si sia trattato di un omicidio preterintenzionale e non volontario (La Stampa, 31/10/1981).
Si conclude così l’iter giudiziario del caso della morte di Glauco Nerone, episodio significativo della cronaca nera torinese dell’anno 1977 che affaccia l’enigmatico personaggio di un giovanotto dalle strane frequentazioni che coesiste con l’immagine quasi deamicisiana dello studente-orologiaio, comprensibilmente proposta dai familiari, ma probabilmente con basi reali.
(*) A questo proposito, su Stampa Sera di venerdì 16 dicembre 1977, Ivano Barbiero pubblica un articolo intitolato Radiografia della malavita a Porta Nuova. La stazione, «specialmente nella notte, è una Corte dei Miracoli». Da chi provengono le informazioni? Barbieri scrive «Abbiamo incontrato al bar della Stazione una persona disposta a dirci qualcosa di più su questo microcosmo cittadino». L’anonimo informatore dedica a Glauco Nerone queste parole: «Glauco era un bravo ragazzo ma non era nessuno ed aveva la lingua troppo lunga». Quanto alle pistole, al momento del primo processo del 1981, la madre di Glauco racconterà che ad istruttoria conclusa, le hanno consegnato gli effetti personali del figlio, compresa una piccola scatola, contenente le armi sequestrate dalla Polizia, evidentemente non significative dal punto di vista giudiziario.
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