
Di Alessandro Mella
Da pochi giorni il proclama radio del maresciallo Badoglio, l’8 settembre 1943, aveva sconvolto gli equilibri ed il paese si trovava in grandi difficoltà.
I tedeschi, fino a pochi giorni prima infido alleato, si erano trasformati in palesi nemici, in occupanti, intrisi di rancore e di rabbia. La popolazione delle città italiane era costretta a vederli marciare per le proprie vie non più da cobelligeranti ma da stranieri ostili.
Anni di guerra e distruzione, poi, avevano lacerato ed esasperato gli animi di militari e popolazione e la tensione era comprensibilmente alle stelle.
Anche a Torino, ormai, erano arrivati i nazisti ed in particolare i panzer della 1. SS Panzer-Division “Leibstandarte SS Adolf Hitler”.
Ai torinesi quella presenza non piacque e mentre i primi sbandati del Regio Esercito davano vita alle prime formazioni partigiane anche loro fecero sentire ai tedeschi tutta la propria ostilità. Tra quella gente un giovane che, con coraggio, urlò tra i primi ridando fiato alla voce del riscatto e pagando un prezzo altissimo.
Vittorio Comba era nato il 13 maggio del 1925 a Coazze in provincia di Torino, figlio di Michele e di Filomena Rolando. Si era poi trasferito nella vicina Bruino dove viveva. (1)

Il nostro bravo Vittorio lavorava, tuttavia, a Torino e questo lo costringeva ad un pendolarismo quotidiano e così gli capitò di trovarsi di fronte alla stazione Porta Nuova quando, la sera del 10 settembre 1943, i carri armati germanici si avvicinarono con al seguito colonne di militari appiedati.
Ma la gente, come abbiamo detto, non li amava. Già si era capito che non sarebbero stati indulgenti, che, come al tempo del Risorgimento, quella lingua germanofona sarebbe tornata a suonare come ostile. La popolazione nei pressi della stazione, quindi, iniziò a dileggiare i soldati tedeschi, a schernirli, a mostrare palesemente il proprio disappunto.
Secondo alcune fonti fu dalla vettura di un tram che alcuni presero a fischiare con energia verso gli occupanti vicini al la folla di pendolari e sfollati. In gran numero presenti nei pressi del grande presidio ferroviario.

I nazisti non poterono accettare la provocazione ed alcune raffiche di mitra vennero indirizzate prima verso la carrozza tranviaria e poi verso la popolazione che iniziò a fuggire. Ai colpi si unì probabilmente il lancio di qualche bomba a mano. (2)
Nei pressi del tram cadde in terra l’anziano Amadio Levi ed accanto al suo cadavere, purtroppo, anche quello di un giovane. Quello di Vittorio Comba da Coazze.
Ma oltra a Levi e Comba morirono anche Ivo Maccapani (apprendista macchinista a suo volta ventenne) ed il milite Giovanni Carenzi. Undici persone, nella folla, restarono ferite.
L’evento dovette impressionare, comprensibilmente, moltissimo la città ed anche questo spinse i tedeschi ad usare i giornali per provare a calmare gli animi con una serie di menzogne al limite dell’imbarazzante:
Nella mattinata di venerdì una colonna di SS germaniche si era attestata nei pressi di Brandizzo di fronte allo schieramento delle truppe della Difesa Territoriale di Torino (…). Nella serata stessa le truppe germaniche, quasi tutte SS reduci dal fronte orientale, prendevano possesso dei principali edifici pubblici, fra cui le Regie Poste, il Telegrafo, le stazioni ferroviarie e alcune fra le principali fabbriche cittadine. Tale presa di possesso avveniva senza incidenti e fra la calma della popolazione (…).
Il Comandante tedesco ha dichiarato alle Autorità Civiche che l’occupazione della città non deve assolutamente essere intesa come atto di ostilità, ma come una logica conseguenza degli avvenimenti che si sono prodotti negli scorsi giorni. Le giornate di sabato e di domenica sono trascorse in piena normalità. Il servizio dei tram e delle tranvie interurbane ha funzionato regolarmente; similmente il servizio ferroviario in arrivo e partenza dalle varie stazioni cittadine. (3)
Ed ancora il giorno dopo si insistette nel voler negare l’evidenza dei fatti con rara sfacciataggine:
Torino è da venerdì sera occupata da truppe germaniche. Le Forze Armate italiane sono state disarmate. Ma il Comando delle truppe occupanti ha ripetutamente dichiarato, e ha dimostrato con i fatti di non aver alcun proposito ostile verso il popolo torinese (…).
È altresì intendimento del Comando germanico che la vita cittadina si svolga con la più perfetta regolarità e che nulla venga a turbare il ritmo delle attività produttive, a cominciare da quelle da cui dipende il sostentamento della popolazione. (4)

Ma qualche velato riferimento, nondimeno, sui giornali filtrò. Certo non riferito solo a Porta Nuova ma indubbiamente anche agli altri gesti violenti che in città non mancarono in quelle ore ed in quei giorni:
Il Comando germanico da parte sua smentisce tutte le voci corse in questi giorni su pretesi atteggiamenti e misure ostili delle truppe tedesche nei confronti della popolazione civile. Esso riafferma che le proprie truppe sono nella città soltanto per mantenere l’ordine pubblico che, dati gli avvenimenti. potrebbe essere facilmente turbato, come in qualche caso è avvenuto. (5)
Finita la guerra, passati i mesi terribili della lotta clandestina, il coraggio del Comba non fu dimenticato ed il Comitato di Liberazione Nazionale, viste le ragioni della sua morte e ricordando la sua partecipazione al dileggio dei nazisti, gli conferì la qualifica di “partigiano caduto” indicandolo come membro della 4 Divisione SAP fin dall’8 settembre 1943.
Un riconoscimento postumo e ben meritato per un ragazzo che, di fronte alla caduta di Torino nelle mani di un nemico furente, alzò la sua voce con gli altri per rinnovare un grido di libertà da troppi anni sopito e muto. Quel giorno cadde un bavaglio ed iniziò la lotta per la liberazione torinese e nazionale.
Alessandro Mella
NOTE
1) Commissione regionale piemontese per l’accertamento delle qualifiche partigiane, scheda Vittorio Comba tramite il portale Partigiani d’Italia.
2) Adducci, Nicola, Gli altri – Fascismo repubblicano e comunità torinese (1943-1945), Franco Angeli, Torino, 2014, p. 70.
3) La Stampa, 218, Anno LXXVII, 13 settembre 1943, p. 2.
4) Ibid., 219, Anno LXXVII, 14 settembre 1943, p. 1.
5) La Gazzetta del Popolo, 218, Anno XCVI, 13 settembre 1943, p. 1.
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