Gianluca Ruggiero: “Una proposta ragionevole?”
Le recenti proposte di parte della politica di aumentare a dieci il numero dei senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica, in un’ottica di contrastare un futuro (improbabile) presidenzialismo, pone una serie di questioni che andrebbero attentamente esaminate, soprattutto perché affondano le proprie radici in un dibattito antico, forse poco conosciuto dai proponenti.
A norma dell’art. 59, comma II, della Costituzione vigente, il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti in campo sociale, scientifico, artistico e letterario.
Una prima questione che si pose a questo riguardo è se ciascun Presidente può nominare cinque senatori a vita oppure sino cinque, di modo che il numero complessivo dei senatori di nomina presidenziale venga imputato, rispettivamente, al titolare dell’ufficio ovvero, impersonalmente, all’ufficio presidenziale. La consuetudine interpretativa prevalsa e che ha accompagnato per trentasei anni l’applicazione della norma era in quest’ultimo senso, fino a quando il Presidente Pertini, nel luglio del 1984, nominò Carlo Bo e Norberto Bobbio senatori a vita, superando così il numero indicato dall’art. 59, comma II, della Costituzione, toccando punta di undici senatori con la nomina, da parte di Francesco Cossiga, di Spadolini, Agnelli, De Martino, Andreotti e Taviani, cui si aggiunsero di diritto gli ex Presidenti Cossiga e Leone.
Ora, se la prassi costituzionale è stata più volte violata, molte perplessità sorgono se tale numero di cinque viene elevato a dieci, soprattutto se si tiene conto della drastica riduzione dei senatori elettivi da 315 a 200 operata con la legge costituzionale dell’ottobre 2020. Se, con la previsione al momento in vigore dell’art. 59, comma II, Cost., rapportata all’attuale numero dei senatori, il rapporto proporzionale fra eletti e nominati è stato alterato, con l’elevazione a dieci del numero dei senatori vitalizi, si assisterebbe , all’interno del Senato, alla formazione di una sorta di “partito del Presidente”.
Non solo. Se la prassi interpretativa dovesse continuare nel senso che il Presidente della Repubblica può nominare fino a cinque senatori a vita oltre quelli già nominati o di diritto, il numero di dieci ben potrebbe essere superato, instaurando un pericoloso squilibrio politico/istituzionale all’interno del Senato (aggravato dal minori numero di senatori eletti), fornendo al Presidente della Repubblica un potere di molto superiore a quello attuale, sino a trasformalo da formale “Capo dello Stato” a sostanziale “reggitore dello Stato”, contrapponendolo al vero detentore del potere politico che è il Presidente del Consiglio.
Ora, la spinta politica verso il presidenzialismo (sempre se questa sia la via da percorrere in uno Stato come il nostro) dovrebbe ri-stabilire una serie di equilibri istituzionali, al momento attuale già alterati dalla inopportuna riforma del 2020 che ha ridotto drasticamente il numero dei parlamentari, lasciando inalterata la norma dell’art. 59 della Costituzione e i dubbi interpretativi che storicamente suscita.
La recente proposta, concretizzata dell’art. 1 del ddl Casellati, approvato con 94 voti a favore, di abrogazione della facoltà del Presidente della Repubblica di nominare fino a cinque senatori a vita, rappresenta una forte controspinta verso le tendenze ampliative da parte di talune correnti politiche, lasciando, di contro, inalterata la parte relativa all’assunzione di diritto della carica per i Presidenti della Repubblica cessati dal mandato.
Gianluca Ruggiero
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