
Due modi di vedere e gestire la cultura nel nostro paese
Il Ministero della Cultura è senza pace: prima la vicenda boccaccesca di Gennaro Sangiuliano e della Dama Pompeiana, con tanto di lesione del cuoio capelluto del ministro, poi l’avvento di Alessandro Giuli detto l’Oscuro, come Eraclito, e le polemiche sulla sua formazione ideale.
Due eventi e due persone che hanno dato alimento ai giornali di sinistra per ironie e battutacce, e fornendo loro l’occasione per dimenticare, e far dimenticare, i guai di quella parte politica.
Giuli in particolare, non potendo per ora essere attaccato sotto l’aspetto della vita privata (ma c’è sempre tempo), è stato comunque messo sul girarrosto mediatico per alcuni suoi vezzi piuttosto appariscenti: l’eloquio forbito ai limiti dell’ostentazione, un certo dandismo esibito senza troppi complessi, una cultura personale decisamente difforme da quella corrente e woke che tanto piace all’intellettualità nazionale.
Lasciamo da parte le vicende burocratiche e amministrative -in fondo di assai poco interesse- che hanno coinvolto i suoi capi di gabinetto Gilioli e Spano, vicenda su cui si sono gettati famelici i critici del governo e i loro scrivani, e soffermiamoci invece sul risvolto più propriamente culturale che coinvolge il nuovo ministro, tema peraltro in sintonia con l’ambiente che lo ospita.
Partiamo dal presupposto che non dovrebbe neppure esistere un Ministero della Cultura (tutt’al più un Ministero dei Beni Culturali che gestisca i luoghi dell’arte) dal momento che la cultura, in un paese libero, dovrebbe a sua volta essere libera e lontana da ogni attenzione della politica, e soprattutto da quella dei governanti. Sappiamo molto bene che cosa era la cultura sotto i regimi autoritari e totalitari del passato: un vero e proprio instrumentum regni nelle mani spregiudicate del potere.
Giuli si è però insediato proprio nel luogo di elezione del potere culturale, un potere poco intellettuale e molto materiale fatto di soldi e carriere e da sempre monopolizzato dagli “elevati”, cioè da coloro che si auto-attribuiscono una irritante superiorità intellettuale e che, nella quasi totalità, militano a sinistra.
Grande scandalo: un uomo di cultura, nato e cresciuto a destra, che entra nel tempio etico ed estetico della sinistra. Un brivido di orrore è trascorso immediatamente nelle anime belle della cultura dominante, che si è subito mobilitata per evidenziare la formazione anomala e pericolosa del ministro, una formazione venata di spaventose tracce fascio-naziste, evoliane, spiritualiste, antimoderne, e -scandalo nello scandalo- addirittura “esoteriche”.
Questa estraneità di Giuli alle categorie di pensiero della sinistra ha prodotto in quest’ultima un cortocircuito cerebrale per cui certe caratteristiche culturali del ministro non sono state comprese, non solo per ignoranza di un grande e nobile filone di cultura ma anche per un radicato, testardo e pietroso pregiudizio ideologico che ha da sempre un terrore primordiale di certe parole, di certi pensieri, di certe scelte intellettuali.
Ad esempio, un articolo dell’ANSA del 28 ottobre definisce Julius Evola -uno dei riferimenti culturali di Giuli- “filosofo del nazismo, animatore negli anni 30 della scuola di mistica fascista”; uno svarione imperdonabile per l’autorevole agenzia la quale dimostra anche una certa perplessità di fronte al concetto di “pensiero solare”, perplessità molto simile a quella di un turista qualunque di fronte al Grande Vetro di Duchamp.
La cultura di sinistra ha sempre diffidato del pensiero tradizionale, spiritualista ed esoterico, un po’ semplicemente per incapacità di comprensione e un po’ per avversione verso un mondo ideale che fugge dal materialismo dell’età moderna, dai suoi schemi scientisti, dalle sue rigidità ideologiche, comuni peraltro alla prassi intellettuale liberale e capitalistica come a quella marxista e post-marxista.
Wouter Hanegraaff, professore di storia del pensiero ermetico all’università di Amsterdam e probabilmente il massimo studioso contemporaneo del fenomeno esoterico, ha sostenuto invece che accanto ai tre pilastri dell’identità culturale europea, e cioè tradizione religiosa giudaico-cristiana, filosofia razionalista e scienza moderna, ve n’è un altro quasi completamente ignorato: il pensiero esoterico o, come è stato definito più di recente, l’”esoterismo occidentale” (Western esotericism. Londra, 2013).
Ignorare poi la reale portata del pensiero di Evola -definendolo nazista o fascista, senza sapere che egli contestò entrambi i regimi alla luce di una filosofia idealistica indifferente alla politica e che alcune sue concezioni apparentemente vicine a quelle ideologie si reggevano su presupposti del tutto spirituali- significa solo stare sulla superficie di una divulgazione mediatica approssimativa e più che popolare. E Ranucci, con la sua trasmissione inconsistente e farlocca, insegna molto in proposito.
Purtroppo la modernità ha escluso dal suo orizzonte tutto ciò che è tradizionale, a partire dalla religione per giungere alle grandi tradizioni filosofiche e sapienziali del passato, e l’idea che un uomo come Giuli –che in quelle tradizioni si è formato- possa oggi essere il gestore di una qualche politica culturale nel nostro paese solleva tutta la rabbia repressa del mondo di sinistra, dove la parola “cultura” è sempre stata legata alla propaganda ideologica e, soprattutto, alle cospicue disponibilità finanziarie che lo stato metteva a disposizione di artisti opinabili, registi senza pubblico, organizzatori di eventi effimeri e produttori di fuffa mediatica.
L’idea che qualcuno possa accostarsi alla mangiatoia a cui attingeva, e attinge tuttora, questo mondo vanesio, parolaio, avido e autoreferenziale, sottraendo un po’ di biada ai produttori di inconsistenti narrazioni teatrali, cinematografiche, pittoriche, risulta assolutamente intollerabile per chi non ha altro mestiere.
Ci aveva provato anche il povero Sangiuliano a piantare qualche paletto attorno a questo popolo famelico, ed è finito come è finito, certamente anche per sua insipienza; e ora tocca a Giuli fronteggiare quel mare di ostilità rancorosa che gli si volge contro e i mille interessi materiali che girano attorno al ministero che dovrebbe gestire una cosa alta, delicata e ineffabile come la cultura.
Staremo a vedere. Intanto chiediamo al nuovo ministro di spiegare per bene ai suoi critici che cosa sia il “pensiero solare”, magari consigliando loro qualche libro che non hanno mai letto. Ne trarranno sicuramente beneficio.