Ci stiamo avviando verso la rottura degli equilibri istituzionali?
La settimana scorsa ci ha presentato tre momenti per certi versi collegati, ma con conclusioni diversissime. L’assemblea pubblica 2024 dell’Unione Industriale di Torino, il rifiuto di John Elkann di presentarsi alla convocazione del Parlamento, l’annunciato sciopero generale della CGIL.
A Torino con un messaggio del Presidente del Consiglio e alla presenza dei Ministri Tajani e Pichetto Fratin, un collegamento con il ministro Urso e con la partecipazione del governatore del Piemonte Alberto Cirio e del Presidente della Confindustria Emanuele Orsini, si è svolta l’assemblea pubblica 2024 dell’Unione Industriale di Torino.
Il presidente Marco Gay, ha ribadito che nel binomio industria e innovazione c’è l’impegno per aiutare lo sviluppo economico e sociale della comunità in chiave sostenibile, accompagnando e supportando il tessuto imprenditoriale locale verso le nuove frontiere della competitività.
«Le sfide che abbiamo di fronte – ha sottolineato Gay nel suo discorso – richiedono la partecipazione di tutti gli attori istituzionali, economici, sociali. Abbiamo il dovere di ritrovarci comunità. Di sentire, insieme, la gravità e l’importanza del momento per rinsaldare le convinzioni e tirare fuori le nostre migliori energie. Facciamolo partendo dai nostri luoghi, dalle nostre aziende e dalle nostre persone. Partiamo da Torino, dalla nostra volontà di trasformazione e miglioramento con l’obiettivo di diventare un punto di riferimento solido, coraggioso e responsabile»
Un intervento il cui leitmotiv risiede nel concetto che lo stesso presidente ha definito “l’intelligenza industriale” di questo territorio.
Proprio l’intelligenza industriale, nella visione di Gay, costituisce la risorsa essenziale grazie a cui poter determinare un cambio di passo in ogni ambito produttivo, come dimostrano i risultati di quelle che rappresentano oggi le nuove eccellenze cittadine, dall’aerospaziale al biomedicale, dal digitale alla meccatronica: «Dobbiamo crescere nei settori a più alto valore aggiunto e maggior contenuto di creatività e tecnologia. Crescere nella dimensione delle imprese. Crescere nelle aziende capaci di proiettarsi internazionalmente, ossia di esportare, anche nei servizi»
Aggiungendo la considerazione che «la crisi dell’automotive non si risolverà mettendo a disposizione incentivi, salvaguardie temporanee, piccoli palliativi di fronte a una sfida esistenziale. C’è bisogno di guardare con serietà al contesto e ritornare a investire nella ricerca e nell’innovazione, con una politica industriale concreta, seria e duratura per la transizione. Proiettare Torino nel futuro non vuol dire abbandonare l’auto. Ma mettere insieme il nostro enorme capitale di conoscenza nel settore con l’innovazione tecnologica in cui ancora possiamo e sappiamo dire molto».
Si è respirato un clima positivo, conclusosi anche con l’impegno a rivedere in Europa, con il governo, i limiti angusti del diktat alla conversione repentina all’elettrico che penalizzerebbe irrimediabilmente le nostre aziende dell’indotto auto.
A stretto giro si è manifestato il gran rifiuto di John Elkann.
Oggi non è di moda rinvangare il passato, ma vorremo ricordare, come premessa che sin dagli albori della nascita della Fiat, l’azienda ha sempre tenuto rapporti di rispetto con i governi in carica. Oggi i due organi di stampa del gruppo Gedi, per compiacere la CGIL e le sinistre non perdono occasioni di criticare il governo e demolire ogni sua iniziativa e il vertice del gruppo non è da meno.
La vicenda Stellantis è assai eloquente dello scollamento tra il mondo produttivo e i decisori istituzionali mentre le continue agitazioni promosse dai sindacati CGIL e UIL, che hanno addirittura indetto uno sciopero nazionale per il prossimo 29 novembre, confermano l’incapacità delle organizzazioni di tutela dei lavoratori di dialogare efficacemente con il governo e di uscire dalle consuete gabbie ideologiche.
John Elkann, presidente di Stellantis, con il suo rifiuto, è riuscito in un miracolo: unificare le forze politiche nelle critiche alla sua azienda per le condotte giudicate all’unanimità irriguardose nei confronti del Parlamento.
Elkann era stato convocato in audizione davanti alle Commissioni Attività produttive della Camera e Industria del Senato su Stellantis e la crisi del mercato dell’auto, segnato dal crollo vendite e dalla concorrenza cinese sull’elettrico, ma ha rifiutato.
Elkann ha declinato l’invito, anche se poi, nelle ultime ore, ha avuto dei contatti telefonici con il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, al quale ha ribadito «l’apertura al dialogo con tutte le istituzioni». Il prossimo 14 novembre dovrebbe presentarsi al Ministero delle Imprese e del Made in Italy per alcuni importanti incontri. È stato infatti convocato il tavolo Stellantis, a cui dovrebbero partecipare i rappresentanti dell’azienda, delle Regioni sede di stabilimenti produttivi, delle organizzazioni sindacali e dell’Anfia (Associazione nazionale filiera italiana automotive).
Giorgia Meloni ha attaccato Elkann («Ha mancato di rispetto al Parlamento. Gli sfuggono dei fondamentali, le Camere sono diverse dal governo») e anche le opposizioni si sono dette indignate per questo gesto ritenuto inopportuno, vista la delicatezza della situazione. La situazione è paradossale, se si pensa che per decenni la Fiat ha goduto di innegabili aiuti pubblici, ha socializzato le perdite e privatizzato i profitti e ha preteso di orientare le vicende politiche. Il gruppo Stellantis ha goduto del costante sostegno dei nostri governi e dunque non può ora far finta di nulla e continuare a perseguire pervicacemente i suoi obiettivi aziendali senza tener conto del contesto in cui il suo business si è sviluppato.
«Poi noi dei tavoli con Stellantis li abbiamo fatti», ha rincarato Meloni, «ma proponevamo accordi di sviluppo, cioè davamo dei fondi per aumentare la produzione, e invece la produzione veniva diminuita. Ma così non funziona, sono soldi degli italiani. I soldi degli italiani si investono quando vanno a beneficio degli italiani».
Il presidente di Stellantis, rispondendo all’invito del presidente della commissione Attività produttive della Camera, il leghista Alberto Gusmeroli, aveva detto di non avere «nulla da aggiungere rispetto a quanto illustrato dall’amministratore delegato Carlos Tavares» in Parlamento l’11 ottobre, dopo il forte calo di vendite per Stellantis che si era registrato a settembre, e dopo la comunicazione della proroga della sospensione della produzione della 500 elettrica a Mirafiori, che è rimasta ferma per tutto il mese di ottobre.
Stellantis è in forte crisi, avendo registrato, nel terzo trimestre del 2024, un calo dei ricavi del 27% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. E ora vorrebbe battere nuovamente cassa, chiedendo al governo di rivedere i tagli al fondo automotive (4,6 miliardi), presenti nella bozza di manovra finanziaria in discussione. Si vedrà.
Nel frattempo il quadro socioeconomico generale si incupisce perché i sindacati si preparano alle barricate contro il governo perché non condividono i contenuti di quella manovra. In particolare, Cgil e Uil hanno proclamato per il 29 novembre uno sciopero generale che però vede contraria la Cisl.
La decisione crea dunque un’ulteriore frattura sul fronte sindacale e inasprisce il braccio di ferro tra Cgil, Uil e governo. Meloni parla di «pregiudizi», visto che la notizia della protesta arriva prima della convocazione dei sindacati a Palazzo Chigi prevista per martedì 5 novembre.
Se si va a ritroso si scopre che i sindacati hanno fatto lo stesso sciopero nel dicembre 2021, quando c’era il governo Draghi, e negli ultimi due anni, contro il governo Meloni.
Se, dunque, un’impresa come Stellantis rifiuta di fare l’impresa, boicottando il dialogo con le istituzioni e invocando solo altro assistenzialismo oltre quello di cui ha già beneficiato per decenni. Se i sindacati, anziché difendere i lavoratori, che da tempo li hanno abbandonati per manifesta incapacità, puntano solo alla propria sopravvivenza puntando sull’odio preconcetto verso tutti i governi. Se, infine, i partiti di opposizione, anziché manifestare il loro dissenso in Parlamento, fomentano i media, i magistrati e le piazze in funzione antigovernativa, ce n’è abbastanza per essere pessimisti sulla possibilità che in Italia si possano ricreare quegli equilibri istituzionali che per decenni hanno garantito al Paese una crescita solida e stabile.
Se l’argomento è di interesse, ogni commento è gradito, e altrettanto la sua condivisione