Di Alessandro Mella
Il 3 dicembre ha procurato angoscia ed ansia la presa di posizione del presidente sudcoreano, Yoon Suk Yeol, con la quale questi ha, in diretta televisiva, proclamato la legge marziale, sprangato il parlamento (o meglio tentato di farlo) e messo fuori legge i partiti politici.
La ragione di questo atto di forza, secondo lui, stava nel porre un freno alle azioni dei movimenti di opposizione a suo dire troppo comunisti ed in specie simpatizzanti per la tirannia di Kim Jong Un nella Corea del Nord.
In principio è parso che l’esercito sostenesse tale incredibile sterzata autoritaria ma successivamente le forze armate hanno permesso ai deputati di entrare in parlamento e votare una mozione contro la legge marziale e tale da far saltare i progetti della presidenza.
Per molto tempo Seul è parsa un interlocutore serio ed affidabile per l’Occidente soprattutto in virtù della sua posizione chiave nella penisola coreana; divisa tra democrazia e tirannia socialista. Il regime del nord, infatti, rappresenta ormai uno dei peggiori totalitarismi del pianeta e non è un caso il suo solidarizzare con il Cremlino ed il suo inquietante inquilino. Questi ormai apertamente accusato di crimini di guerra di fronte all’evidenza dei fatti in seguito alla criminosa invasione dell’Ucraina.
La democrazia sudcoreana ha reagito all’atto di forza, al tentato colpo di stato, dimostrando di avere anticorpi contro il vento tirannico ed illiberale che, da Mosca passando per l’Iran, soffia verso l’Europa spinto anche con energia dai manifestanti antisemiti che sembrano sempre più diffusi nel vecchio continente.
Ma la salvezza di Seul pare una vittoria di Pirro perché un evento così grave, così imprevisto e così impattante non deve essere considerato una crisi passeggera. Chiaramente quel sistema ha subito uno scossone che avrà ripercussioni a lungo e che concorrerà a rendere più grave la già fragile situazione del territorio.
La Corea del Sud resta un amico, indubbiamente, delle democrazie occidentali ma il rischio che pulsioni antidemocratiche tornino a farsi sentire, ad allargare le crepe, non è un pericolo trascurabile. E non ci voleva affatto in questo periodo in cui l’unica democrazia mediorientale, Israele, subisce colpi bassi da ogni direzione, in cui l’Ucraina resiste coraggiosamente contro il regime postsovietico invasore, mentre l’Iran inasprisce il soffocamento violento di ogni forma di libertà di pensiero. Mentre Taiwan sembra diventare la nuova Danzica. Almeno fintanto che il regime socialista di Pechino minaccerà apertamente Formosa.
È un mondo sempre più fragile quello in cui viviamo. Nel quale ognuno di noi sarà chiamato a scegliere tra Churchill ed Halifax, tra De Gaulle e Quisling. Quello che mette ansia è che i Quisling, purtroppo, sembrano avanzare per numero. Ma di fronte a questo fenomeno conforta un pensiero: bastò un solo Churchill per fermare il male assoluto. I liberali, i libertari, lo sanno e non dimenticano.
Alessandro Mella
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