
I Referendum del 2025 si concentrano su lavoro e cittadinanza. Interesseranno gli italiani? Raggiungeranno il quorum?
L’8 e 9 giugno prossimi gli italiani saranno chiamati a recarsi alle urne per esprimersi su cinque quesiti referendari che la Corte Costituzionale ha ritenuto validi e per i quali, nel 2024, sono state raccolte 5 milioni di firme.
Il primo quesito dice “STOP AI LICENZIAMENTI ILLEGITTIMI” partendo dal fatto che “nelle imprese con più di 15 dipendenti, le lavoratrici e i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi non possono rientrare nel loro posto di lavoro dopo un licenziamento. Sono oltre 3 milioni e 500 mila ad oggi e aumenteranno nei prossimi anni le lavoratrici e i lavoratori penalizzati da una legge che impedisce il reintegro anche nel caso in cui la/il giudice dichiari ingiusta e infondata l’interruzione del rapporto”.
Questa norma, in effetti, ha creato non pochi problemi in questi prima dieci anni di vita. Parlando con gli avvocati giuslavoristi emerge una grave forma di discriminazione nei confronti di quei lavoratori che, non di rado, vengono licenziati in modo ingiusto o infondato, dopo essersi rivolti ai sindacati o agli organi competenti in materia di sicurezza sul lavoro.
Anche per questo motivo i promotori del Referendum hanno tuonato: “Abroghiamo questa norma, diamo uno stop ai licenziamenti privi di giusta causa o giustificato motivo”.
Una situazione discriminante e poco consona vi è anche nelle cosiddette piccole imprese.
Il secondo quesito, infatti, dice “PIU’ TUTELE PER LE LAVORATRICI E I LAVORATORI DELLE PICCOLE IMPRESE” e sostiene che “nelle imprese con meno di 16 dipendenti, in caso di licenziamento illegittimo oggi una lavoratrice o un lavoratore può al massimo ottenere 6 mensilità di risarcimento, anche qualora una/un giudice reputi infondata l’interruzione del rapporto”.
Con queste norme il Governo Renzi ha praticamente esautorato il Tribunale del Lavoro perché quale senso ha ottenere ragione da un giudice se poi l’azienda colpevole non ha l’obbligo di reintegro del lavoratore?
I promotori del Referendum spiegano che “questa è una condizione che tiene le/i dipendenti delle piccole imprese (circa 3 milioni e 700 mila) in uno stato di forte soggezione rispetto alla/al titolare”.
In effetti si tratta di una porzione di popolazione non trascurabile. Questa disparità di trattamento, rispetto ad aziende medio-grandi, non incentiva i giovani ad accedere al mercato del lavoro in aziende piccole e poco tutelate.
Sindacati, parti sociali, associazioni di lavoratori chiedono l’aumento dell’indennizzo “sulla base della capacità economica dell’azienda, dei carichi familiari e dell’età della lavoratrice e del lavoratore”.
Il terzo quesito è relativo alla “RIDUZIONE DEL LAVORO PRECARIO” visto e considerato che “in Italia circa 2 milioni e 300 mila persone hanno contratti di lavoro a tempo determinato”.
Questo dato è veramente allarmante. Da un lato si dice che “i giovani non hanno voglia di lavorare e non hanno attitudine al sacrificio” ma dall’altro non gli si danno né garanzie né certezze per costruirsi un futuro.
Moltissime aziende, tante delle quali cooperative, instaurano rapporti a termine fino a 12 mesi “senza alcuna ragione oggettiva che giustifichi il lavoro temporaneo”. Un sistema “furbo” e comodo per “tenere sotto scacco” il lavoratore che, nella speranza della trasformazione del contratto in “indeterminato”, sottostà a tutti i vezzi e le aporie dell’azienda.
I promotori del Referendum chiedono di rendere il lavoro più stabile, ripristinando l’obbligo di causali per il ricorso ai contratti a tempo determinato.
Il quarto quesito, quello che più interessa l’opinione pubblica, parla di “PIU’ SICUREZZA SUL LAVORO” e parte dall’assunto secondo cui “arrivano fino a 500 mila, in Italia, le denunce annuali di infortunio sul lavoro. Quasi 1.000 i morti”.
Sembra un bollettino di guerra e, invece, è ciò che accade, ogni giorno, nei luoghi ove la gente si reca per portare il pane in tavola.
I promotori del Referendum spiegano: “Modifichiamo le norme attuali, che impediscono in caso di infortunio negli appalti di estendere la responsabilità all’impresa appaltante. Cambiamo le leggi che favoriscono il ricorso ad appaltatori privi di solidità finanziaria, spesso non in regola con le norme antinfortunistiche”. Solo così, a loro detta, si può “garantire maggiore sicurezza sul lavoro”.
Il quinto quesito, quello che la maggior parte del Paese proprio non concepisce, chiede “PIU’ INTEGRAZIONE CON LA CITTADINANZA ITALIANA”.
I promotori del Referendum urlano: “Riduciamo da 10 a 5 gli anni di residenza legale in Italia richiesti per poter fare domanda di cittadinanza italiana, che una volta ottenuta sarebbe trasmessa ai figli e alle figlie minorenni. Questa modifica costituisce una conquista decisiva per circa 2 milioni e 500 mila cittadine e cittadini di origine straniera che nel nostro Paese nascono, crescono, abitano studiano e lavorano”.
Questo quesito è senza dubbio il più controverso ed ideologico.
Chi lo ha scritto pare non tener conto della criminalità abnorme ed incontrollata che ha matrice straniera. Evidentemente chi propone questa variazione non sa che Milano, Torino, Bologna, Napoli, Roma, … sono assediate dai cosiddetti immigrati di seconda generazione che, non essendo italiani, talvolta si riescono a rimpatriare a casa loro.
Se costoro dovessero divenire, tutto ad un tratto, cittadini italiani ce li dovremmo tenere e mantenere, nella migliore delle ipotesi, in carcere. Il contribuente italiano, dunque, sarebbe – come dice un detto non troppo tenero – “cornuto e mazziato”.
Il voto è un diritto che ogni cittadino italiano ha e può esercitare. “Il voto è la nostra rivolta”. L’8 e 9 giugno abbiamo la possibilità di prendere un impegno non lasciando che altri decidano per noi.
Sull’ultimo punto c’è da dire un bel NO grande come una casa!!!! Sarebbe avallare l’occupazione dell’Italia in modo ufficiale!!!! Li dobbiamo mandare a casa, non addossarceli definitivamente e anzitempo!!!!Gli altri punti sono più ragionevoli, ma necessitano di approfondimenti e chiarimenti da parte di chi li propone