Caro candidato, cara candidata al Parlamento europeo.
Non ho ancora deciso del tutto a chi dare il mio voto alle prossime elezioni europee dell’8 e 9 giugno; o meglio non ho ancora deciso il partito e i candidati meritevoli del mio consenso nell’ambito del centrodestra, dal momento che escludo sin d’ora le forze politiche e le persone che mi verranno presentate dal centrosinistra, un po’ per antica e radicata avversione verso quel mondo, un po’ perché la loro Europa non è -e non può essere- la mia. E, se vogliamo essere più sinceri, anche perché non mi piace proprio l’Europa in sé, così come si è venuta costruendo in questi ultimi decenni.
Immagino che questa mia posizione un po’ maleducata non toglierà il sonno a nessuno: né a quelli che di Europa vivono, né a quelli che di Europa vorrebbero vivere, e cioè ai candidati al Parlamento di Strasburgo.
Naturalmente andrò a votare, non tanto perché lo ritengo un imperativo assoluto in questi tempi di progressivo restringimento e svilimento della democrazia, ma anche e soprattutto perché detesto l’inutile qualunquismo di chi non vota, mascherando la sua pigrizia con le solite considerazioni “tanto non serve a nulla”, “tanto sono tutti uguali” e altre simili banalità. Il non-voto è proprio ciò che nascostamente desiderano le oligarchie che ci sovrastano: un atteggiamento che consente loro di sfruttare l’indifferenza politica della gente per raggiungere scopi che non ci appartengono, e appartengono solo ai loro ambienti, e senza dover spendere grandi risorse ed energie nell’inseguire il consenso elettorale.
Siccome le forze di sinistra e di sinistra-centro sono oggi quelle più sensibili ai desideri delle oligarchie intellettuali, economiche, politiche, e le più permeabili ai loro grandi interessi sovranazionali, è evidente che non possono chiedere e ottenere il mio voto. Anche qui senza la presunzione che quest’ultimo significhi qualcosa nel gran gioco politico di un intero continente.
Non mi resta pertanto che rivolgere il mio interesse elettorale e le mie aspettative politiche verso i partiti di centrodestra (o destra-centro) che, pur nel rituale e talvolta un po’ servile ossequio alla retorica europeista, sanno comunque esprimere qualche critica nei confronti di un’Unione Europea che ormai è una pallida ombra di quella concepita e cresciuta nel secondo dopoguerra.
Qual è la mia richiesta di euroscettico a queste forze politiche? E’ semplicissima: meno Europa.
Immagino gli ipotetici sussulti di Emma Bonino, di Benedetto della Vedova, di Riccardo Magi e di chi si riconosce nello slogan antitetico al mio, ma sono convinto che questa Europa affetta da gigantismo burocratico, da ideologismo bigotto, da bulimia di potere, da bellicismo crescente, da invadenza normativa, da lobbismo famelico, da basso ragionerismo contabile vada in qualche modo fermata e ridimensionata, riportata all’ideale originario di semplice e libero strumento di cooperazione fra popoli.
Nel 1999 Bruno Frey e Reiner Eichenberger (The New Democratic Federalism for Europe – Functional, Overlapping and Competing Jurisdictions, Amsterdam, Edward Elgar) proposero un modello di sviluppo europeo di grande originalità e, soprattutto, di grande qualità democratica consistente nelle “giurisdizioni funzionali sovrapposte in concorrenza” (GAS). L’idea consisteva in ulna serie did trattati, differenziati per materie, chef avrebbero potuto essere sottoscritti solo dagli stati effettivamente interessati ad esse tenendo conto delle esigenze dei rispettivi corpi sociali, facendo venir meno l’eccesso di potere decisionale degli apparati politico-burocratici europei e stimolando una positiva concorrenza fra paesi.
Una struttura molto più snella, agile, rispettosa delle identità nazionali che si contrapponeva frontalmente a quegli Stati Uniti d’Europa che oggi molti sembrano auspicare senza rendersi conto di quale gigantesca sovrastruttura di poteri, di organismi, di personale, di risorse economiche essi avrebbero bisogno.
Più i livelli di potere si moltiplicano, più si sovrappongono, più si strutturano, meno i cittadini contano, meno la società civile si esprime e più la democrazia si sgretola, e più si deprime anche quel principio di sussidiarietà che un tempo sembrò essere uno dei pilastri della originaria costruzione europea.
D’altra parte basta una qualche lettura storica per capire come una vera, genuina idea d’Europa si sia concretizzata in qualche modo solo in età medievale e rinascimentale, e solo sul piano culturale, e in piena spontaneità.
Ci fu un momento nella storia del continente in cui si generò una koinè intellettuale che, dalla Normandia alla Sicilia, dalla Spagna alla Boemia, realmente accomunò i grandi spiriti europei. Gli altri tentativi di unificare il continente sotto l’aspetto politico furono effimeri e sovente disastrosi. E anche la moderna idea europeista, a partire da Coudenhove Khalergi sino al Manifesto di Ventotene, non riesce a nascondere la sua intima natura elitaria e, per molti versi, antidemocratica, com’è destino per tutte le grandi idee unitarie che vogliono costringere le differenti nature di popoli e nazioni differenti, e con l’unica probabile eccezione degli Stati Uniti d’America che però l’hanno conseguita attraverso una sanguinosa guerra fratricida.
D’altra parte, sanno i candidati di centrodestra che andranno a far parte di un Parlamento il quale -strampalata eccezione nel panorama del costituzionalismo- non ha facoltà di iniziativa legislativa e neppure una piena autonomia decisionale?
Un parlamento che non può proporre leggi autonomamente, ma può solo discutere le leggi che gli sono sottoposte dal potere esecutivo (Commissione) e, in molti casi, condividendole con altri organismi come il Consiglio.
E ancora, signori e signore candidati, come intendete affrontare un altro tema drammatico che coinvolge l’Europa? Parlo del rapporto fra normativa comunitaria e costituzioni nazionali: in che modo intendete coordinare la “costituzione più bella del mondo”, nata dalla Resistenza, e tutte le sue alte e poetiche affermazioni, con la grigia fumosità e dei regolamenti e delle direttive europee scritte spesso in modo autoritario dagli gnomi di Bruxelles, e ancor più spesso sotto dettatura delle oligarchie economico-finanziarie e dei contabili della Banca Centrale Europea? Non è una questione da poco e, come abbiamo detto in altra occasione, è già stata posta in Germania, in Polonia, in Ungheria ma non dalla nostra pavida classe politica nazionale che sembra non rendersi neppure conto del problema.
Vogliamo sorvolare sull’euro, una moneta senza stato e senza popolo che impedisce le politiche economiche nazionali? E sull’ideologia green che porterà di fatto all’esproprio delle case degli italiani? E sull’esercito europeo che combatterà non si sa quali guerre, e favore di chi, in pieno contrasto con la nostra Costituzione?
Ripeto, queste considerazioni non sono proponibili alla sinistra e alla sua classe dirigente, ormai estasiati dalla narrazione europeista e incapaci di difendere un qualsiasi interesse nazionale, ma credo che possano essere proposte a una parte politica come quella di centrodestra, e in particolare alla Lega e a Fratelli d’Italia che, almeno apparentemente, sembrano più inclini a difendere una certa italianità residua contro le astrazioni mondialiste e le tentazioni internazionaliste e, soprattutto, contro l’espansionismo di una politica europea che soffoca sempre più i suoi popoli.
Meno Europa in Italia e più Italia in Europa, ha detto qualcuno nel centrodestra qualche tempo fa. Bella frase, anche accattivante, ma da riempire con progetti veri e concreti e, tutto sommato, anche un po’ egoista e nazionalista.
Io ne suggerirei un’altra, più radicale e più vasta: meno Europa per tutti, dove per “tutti” intendiamo, appunto, tutti i popoli europei e non solo l’Italia; quei popoli che non ci stanno a farsi sommergere dalle parole e dalle imposizioni di Strasburgo e Bruxelles e vogliono finalmente riprendersi un parte dei loro destini.
Ci state? Avrete il mio voto.