La calda estate di Giorgia Meloni
E’ trascorsa una settimana dall’elezione del Parlamento Europeo. Giorgia Meloni ha potuto, con orgoglio presentarsi al G7 dinanzi a leader europei un po’ tanto ammaccati dall’esito elettorale, ma le carte sono ancora tutte da giocare.
Il centrodestra ha tenuto con poche novità di peso. Forza Italia e Lega recuperano qualche decimale rispetto alle politiche, ma restano ambedue confinate al ruolo di attendenti da parte di FDI. Tajani si conferma così leader dei post berlusconiani, smentendo i detrattori mentre Salvini deve gestire la rottura clamorosa di Bossi e il malessere dei leghisti storici stanchi del loro suonato segretario e per nulla entusiasti della novità Vannacci.
Il generale con i suoi cinquecentotrentamila voti di preferenza ha catalizzato gran parte dello scontento destrista verso le politiche moderate e atlantiste della premier e fermato così il declino della Lega, ma al tempo stesso è e rimane un corpo estraneo, un battitore libero.
La sua distanza siderale dalla prima fila del leghismo — Zaia, Fedriga, Giorgetti, Calderoli. — e la sua proclamata imprevedibilità (Vannacci non dimentica il suo passato da incursore…) pone al ministro dei Trasporti una serie di dilemmi di non facile soluzione.
A sinistra qualcosa invece si è mosso. Il PD dopo tante convulsioni e tormenti torna — anche grazie al voto giovanile, a crescere (in Europa e alle amministrative) e assieme ai compagni di AVS asfalta Conte e i resti del grillismo e cancella le ambizioni terziste di Bonino, Renzi e Calenda.
L’Italia torna così nuovamente al bipolarismo destra-sinistra con un duello tutto al femminile tra Meloni e Schlein. Ma poco cambierà.
Sulle questioni fondamentali — rapporti con l’UE, guerre, atlantismo, economia — le distanze tra i due schieramenti sono minime.
La politica e i media torneranno ad affliggerci con “riforme” più o meno possibili, tormentoni ingigantiti da piccole questioni e scaramucce tra pretoriani. Tanto la vera partita si giocherà in Europa e/o oltre Atlantico.
Guardiamo perciò verso Bruxelles. In primis c’è il problema Von der Leyen. La signora tedesca benchè detestata da molti, compresi importanti segmenti del PPE, vuole tornare sul suo scranno ad ogni costo e, sotto sotto, confida in un appoggio da parte del primo ministro italiano, anche se si è già mossa perfino verso i Verdi tedeschi per ottenere la loro benevolenza.
Per Meloni si profila un’opportunità importante a due facce, se saprà giocarsela con accortezza. Un accordo politico con Ursula fornirebbe a Giorgia la piena agibilità in Europa, ma oltre a spaccare il gruppo conservatore, rischierebbe d’incrinare seriamente la sfiducia della destra politica italiana verso la tecnocrazia europeista.
Se poi a luglio il duo Le Pen-Bardella conquistasse Parigi — cosa non improbabile — ogni scenario verrebbe stravolto.
Una Francia lepenista scardinerebbe equilibri pluridecennali e aprirebbe con l’appoggio del nuovo governo olandese, dell’Ungheria di Orban e, visto il formidabile balzo delle forze euroscettiche a Vienna e nelle Fiandre, presto dell’Austria e, magari, del Belgio, una imprevista e imprevedibile tempesta politica.
Sullo sfondo vi sono anche le elezioni americane a novembre. Giorgia Meloni dovrà saper gestire con accortezza e preveggenza questa partita, senza nulla sottovalutare, altrimenti rischia di bruciare il suo inziziale vantaggio.
Il resto si riduce a ordinaria amministrazione.
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