Quando anche alla scienza medica conviene non sottovalutare l’evidenza di fatti inconsueti.
Tra le varie esperienze pratiche fatte da giovane ve ne sono alcune che sono rimaste in me come riferimenti esemplari. Eccone una tra tante.
Avevo deciso di riverniciare il telaio di una vecchia bicicletta. A tal fine avevo predisposto tutto il necessario su balcone di casa e, dopo aver pulito i tubi metallici avevo cominciato a spruzzare la vernice utilizzando un particolare aspirapolvere dotato di una funzione che permetteva di invertirne il moto alimentando di aria una pistola a spruzzo, dotata di serbatoio in vetro per contenere la vernice. Terminata la prima carica di vernice mi accinsi ad aprire il contenitore per rifornirlo, senonché non ci riuscii perché la vernice aveva incollato il coperchio.
Allora applicai una forza più grande e finii per stritolare fra le mani il serbatoio le cui schegge mi tagliarono la mano sinistra in più punti. Insieme con la vernice blu residua apparvero nel palmo della mano fiori rossi di sangue.
Feci appena in tempo a pulirmelo con diluente per vernice, a tamponare il tutto con un asciugamano e a chiamare mia madre che era in cortile; mi diressi verso la mia camera e svenni sul letto.
Mia madre arrivò lesta mentre rinvenivo, ma non c’era verso di arrestare il sangue che intanto continuava a fuoriuscire copioso. Ella chiamò la portinaia che da ex mondina era piuttosto pratica di tagli e ferite varie.
Questa venne mi ripulì bene la mano, disinfettò il tutto, ma intanto constatò che la punta della falange del dito anulare della mano sinistra era stata scoperchiata e il pezzo mancava; per giunta dai capillari recisi continuava ad uscire sangue senza che si riuscisse a fermarlo.
Corse allora in portineria e tornò rapidamente con una cipolla. Usando uno degli strati esterni come una seconda pelle lo posizionò sui capillari e il sangue si arrestò immediatamente. Quindi mi suggerì di andare al pronto soccorso dell’ospedale più vicino.
Così feci e guidando la mia 850 con la sola mano destra, accompagnato da mia madre, mi recai al pronto soccorso dove mi prestarono le cure del caso. Subito mi chiesero cosa fosse quella cosa sulla punta del dito ed io feci presente come era intervenuta la portinaia. Scoppiarono tutti a ridere ed iniziarono con sua rimozione e ad una nuova pulizia e disinfezione della zona.
Quando si trattò di terminare l’opera di fasciatura del dito però cominciò ad apparire chiaro che non sarebbe stato semplice arrestare il sangue che nuovamente scorreva oltrepassando i vari strati di benda che, fra la costernazione dei medici, erano ormai giunti ad un volume di 5 o sei volte quello del dito. Poi finalmente lo spessore delle bende ebbe la meglio, bloccando l’emorragia.
A quel punto fui dimesso, ma nel congedarmi, non senza un sorrisetto ironico, uno dei medici mi disse:
“Per adesso lo tenga così; però quando farà la medicazione rimetta pure la buccia di cipolla”.
La falange del mio anulare, che è rimasta impercettibilmente più corta e piatta, è ancora lì con la sua cicatrice a ricordarmi come a volte la saggezza e la prontezza popolare arrivi al dunque in modo magari poco ortodosso, ma comunque efficacemente pragmatico, in luogo delle cure mediche convenzionali, certamente più appropriate, ma non sempre disponibili immediatamente.
Per velata ammissione anche di alcuni addetti ai lavori di fronte all’evidenza riscontrata.
© 2023 CIVICO20NEWS – riproduzione riservata.
Scarica in PDF