Le soluzioni inaspettate da chi non te le aspetti
Viviamo in tempi molto particolari in cui la velocità dei cambiamenti è maggiore di quella della luce, perfino di quella del pensiero.
Non riusciamo a tenere il passo degli avvenimenti.
Dopo aver cercato il benessere personale e collettivo, facendo ogni tipo di sforzo possibile e immaginabile, dopo averne assaporato i frutti per decenni in cui sembrava che l’albero da cui provenivano continuasse a sfornarne in una successione continua all’infinito, stiamo cominciando a prendere atto che qualcosa sta cambiando.
Tutti i valori su cui si è fondata la società occidentale per oltre un secolo si stanno squagliando come neve al sole; spariscono aziende secolari, si inaridiscono mercati floridi, emergono nuovi gruppi economici e paesi sconosciuti diventano poli di attrazione per sperimentare nuove prospettive di vita.
Presi dal panico che ogni cambiamento, vero o presunto che sia, induce come reazione anche nel più smaliziato degli scettici, stiamo facendo di tutto per rendere coerenti idee scompaginate e formuliamo nuove ipotesi, più o meno credibili o fantasiose, nel tentativo di trovare il bandolo della intricata matassa e riportare un po’ di calma e sicurezza nel caos che abbiamo creato con la nostra agitazione.
Tuttavia – che lo si ammetta o lo si neghi non fa differenza – ben poco è cambiato; anzi sembra che più tentativi vengono fatti per trovare soluzioni e più le situazioni si complicano.
Ormai più nessuna attività umana sfugge a questa regola.
Anche gli aspetti della educazione, informazione e comunicazione, basi delle possibilità di convivenza intergenerazionale, sono entrati in una crisi profonda nonostante la dovizia e potenza dei programmi e dei mezzi tecnologici disponibili. Si può chiaramente notare che sempre meno persone riescono a rendersi conto del significato di ciò che esse stesse dicono, e ancor meno comprendono quello che altri dicono; usano la stessa lingua come se parlassero lingue differenti e parlano in diverse lingue prescindendo dal fatto che non si comprendono neppure quando usano la stessa lingua.
Troppi stereotipi, troppe abitudini, troppi significati dati per scontati, troppa assuefazione alla facile condivisione senza verifica del valore e della veridicità di quanto si condivide.
Come stupirsi allora di ciò che accade di conseguenza?
Come stupirsi allora del caos e delle incomprensioni che si generano?
Certo, e per fortuna, non possiamo più tornare indietro – come alcuni nostalgici vorrebbero -, ad un tempo in cui ogni cosa aveva un suo ordine, quando i ricchi e i poveri erano chiaramente distinguibili e non potevano mescolarsi o confondersi. Un tempo in cui i contadini restavano tali per sempre così come altri uomini restavano legati per la vita alla propria condizione di nascita e al ruolo ricoperto in seno alla società.
Oggi, pur con tutti gli effetti collaterali relativi, viviamo con maggiore libertà e abbiamo la possibilità di poter cambiare molti aspetti della nostra esistenza più e più volte nel corso del tempo che abbiamo a disposizione.
Ma vogliamo veramente cambiare qualcosa della nostra esistenza?
Crediamo che sia possibile farlo veramente?
Abbiamo sufficiente consapevolezza di doverlo fare noi stessi?
Di avere la responsabilità diretta del nostro cambiamento?
Spesso sentiamo dire che non possiamo farci niente, perché noi siamo fatti così, la società è fatta così, i politici sono fatti così, e quindi in fin dei conti, anche se desideriamo cambiare, risulta praticamente impossibile farlo.
Ma è proprio così?
Spiacenti di deludervi!
Cambiare si può e si deve, anzi è inevitabile, che lo si voglia o no.
La differenza di quanto ci accadrà di conseguenza sta semplicemente nell’essere coscienti di tale inevitabilità accettandola responsabilmente, oppure opporsi inutilmente chiudendo gli occhi e la coscienza, finendo così per sprecare energie e risorse, testardamente arroccati in inutili tentativi di mantenere vitale ciò che deve essere lasciato al passato.
Fatta questa lunga e doverosa premessa, arriviamo ora al dunque riguardante gli aspetti della educazione, informazione e comunicazione.
Non basta essere un buon professionista o artigiano per essere anche un buon educatore o docente; infatti anche se ciò poteva valere fino a qualche decennio fa, in una società dalle caratteristiche funzionali evidentemente ancora piuttosto omogenee, oggi tutto è molto più complesso, frammisto e variegato;
quasi tutti gli abitanti del pianeta possono viaggiare, studiare e lavorare in ogni parte del mondo per periodi diversi della loro vita, mescolando e acquisendo usi e costumi. Tuttavia, pur vivendo tali esperienze cercando di adattarsi, più o meno coerentemente, alle leggi e regole vigenti nel paese in cui si trovano, inconsciamente essi mantengono praticamente inalterate le modalità funzionali del luogo e della cultura da cui provengono.
Questo contesto operativo non vale solamente per chi proviene da altri luoghi; accade anche tra i membri della stessa famiglia. Uno studia al liceo, l’altra in un istituto tecnico, la madre lavora in un ufficio pubblico, il padre fa il ricercatore in un altro paese; in sintesi, dopo un certo tempo, ciascuno si trova a vivere in un proprio specifico universo, con regole e valori propri, e quando si trovano insieme, per qualche strana ragione, fanno fatica a capirsi, a relazionarsi.
Perché?
Perché ognuno è diventato un elemento separato dal contesto generale, si è, per così dire, specializzato; è diventato una funzione specifica dell’aspetto che si trova a vivere come esperienza di studio o di lavoro.
Tali differenze, che si manifestano in modo evidente, sono così potenti e sfuggono così subdolamente al controllo cosciente, che si ritrovano facilmente trasferite nelle nuove generazioni fin dai primi minuti di vita.
Infatti questi sono gli esempi di riferimento in cui i nuovi arrivati si trovano immersi fin dal primo istante di esistenza e in cui sono costretti a perdersi, nonostante i loro sforzi per seguire un proprio piano di vita. Sono le acque agitate e torbide della realtà artificiale creata attraverso leggi e regole imposte autoritariamente per cercare un minimo denominatore di convivenza tra libertà e verità autoriferite e difese in modo aggressivo.
Allora non c’è soluzione?
Possiamo chiudere il discorso?
Forse sì, sarebbe meglio, ma … come resistere a praticare un disperato ultimo tentativo?
Come resistere a sperimentare ciò che una ennesima intuizione porta a farsi largo nella nostra mente come ultima spiaggia?
La nostra stessa essenza naturale di esseri umani ci impedisce di rinunciare ad un’ultima possibilità prima di dichiararci vinti definitivamente.
E quindi eccoci qua a sperimentare la nuova ricetta, la pozione magica che non ti aspetti, adatta a qualunque dieta e patologia. Ecco in che cosa poniamo la nostra ultima speranza…
Segue nella seconda parte
Schemi e testo
Pietro Cartella
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