
Di Alessandro Mella
In tempo di cancel culture, woke ed altre deliranti follie poco progressiste, molto moderniste, altamente illusorie e visionarie; ci si lamenta spesso dei pochi monumenti femminili. Numeri dovuti ad una società che, nelle sue realizzazioni, rispecchiò i propri tempi e le sensibilità dei rispettivi momenti storici.
Ma nel nostro paese, da molti decenni, esiste un’opera altamente evocativa, piena di storia e di grande memoria. Quello innalzato in ricordo di Anita Garibaldi, la moglie fedele ed amatissima del celeberrimo eroe. Morta durante il ripiegamento verso Venezia seguito alla caduta della Repubblica Romana. Un dramma che Giuseppe Garibaldi non riuscì mai a superare del tutto, un dolore perpetuo e sempre vivo e pungente nel suo cuore.
Fu nel corso degli anni ’20 del Novecento che Ezio Garibaldi, pronipote e presidente della Federazione Nazionale dei Volontari Garibaldini, iniziò ad attivarsi per poter realizzare un ricordo da dedicare a questa grande donna.

L’appoggio del governo non fu disinteressato poiché Mussolini voleva vigilare su di una realtà reducistica che potenzialmente poteva guardare a sinistra ed entrare in odore di fronda ma su cui il regime voleva imporre una sua etichetta politica onde evitare ogni situazione equivoca. Non potendo certo agire in modo poliziesco contro quei venerati veterani non restò che tentare di assoggettarne l’operare. Pertanto, fu concesso il terreno per la statua e la sua realizzazione fu prevista in tempo per unirla ai festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario della scomparsa dell’Eroe dei Due Mondi e per il decennale della Marcia su Roma. Al regime non dispiacque l’idea di far mettere in braccio ad Anita il figlio Menotti. L’eroina, così, diventava anche icona delle madri italiane che il fascismo voleva plasmare offrendo loro un modello esemplare.
La realizzazione della colossale statua fu affidata allo scultore Mario Rutelli il cui pronipote, Francesco, divenne molti anni dopo popolare sindaco dell’Urbe.

Egli volle rappresentare la figura eroica della donna ai tempi della Guerra dei Farrapos cui aveva partecipato con il marito. A cavallo, pistola in mano, donna combattente. Ed il figlio, appunto, stretto al petto materno ed eroico ad un tempo. Nei bassorilievi Rutelli volle raffigurare alcuni momenti importanti della sua eroica vita. Lei a cavallo nel corso della battaglia di Curitibanos del 1840, prigioniera e fuggitiva dopo gli scontri, con il marito in fuga dagli austriaci nel 1849 ed infine morente.
Fu alla fine di maggio del 1932 che, riesumati i suoi resti da Nizza, essi furono condotti prima al cimitero di Staglieno e poi a Roma condotta in spalle da reduci garibaldini. (1) I giornali ne diedero, ovviamente, notizia:
II 2 Giugno si sono svolte in Italia le celebrazioni più significative ed a Roma sul Gianicolo, sono stati portati i resti gloriosi di Colei che fu la «prima» tra i suoi compagni d’arme: Anita che il Governo Fascista ha voluto eternare con un monumento dello scultore Mario Rutelli. Mercoledì, Anita Garibaldi si è avviata, dal Cimitero di Staglieno in Genova verso l’ultima tappa del suo grande viaggio. Essa è andata verso la gloria di Roma immortale, verso quel Gianicolo che a fianco del Generale contese a palmo a palmo col nemico. La cassa con le ceneri di Anita è stata tumulata nella base del monumento dedicato all’Eroina. Sulla pietra di chiusura della tomba venne posta una grande corona di bronzo con la iscrizione: «Il Governo Fascista a Anita Garibaldi». (2)

Qualche giorno dopo, presenti i membri della famiglia Garibaldi, il re Vittorio Emanuele III, con tutta la famiglia reale, inaugurò il monumento. Il discorso commemorativo fu tenuto dal primo ministro Mussolini alla presenza di molti veterani e delle rappresentanze diplomatiche di Brasile, Francia, Uruguay, Inghilterra, Polonia, Ungheria, Cuba, Grecia, Giappone ed Albania:
Il Duce esalta l’epopea garibaldina. Sabato a Roma il Duce, alla presenza dei Sovrani, delle Gerarchie e del popolo, inaugurando il Monumento di Anita sul Gianicolo, ha esaltato l’epopea garibaldina, «Le Camicie nere, – ha detto il Duce – che seppero lottare e morire negli anni dell’umiliazione, sono anche politicamente sulla linea ideale delle Camicie rosse e del loro condottiero». «Se la difesa di Roma del 1849 fu superba e vermiglia di eroismi inobliabili, che basterebbero da soli ad illuminare di gloria un popolo intero, chi – fra gli Italiani degni di questo nome – dimenticherà mai i Mameli, i Daverio, i Morosini, i Manara, i Dandolo e i Masina? La marcia dei Mille da Marsala al Volturno – guerra e rivoluzione insieme – è l’evento portentoso che salda per sempre l’unità della Patria».

« L’Italia che ha raggiunto le sue intangibili frontiere alpine, portato le sue bandiere e la sua civiltà verso il centro dell’Africa, l’Italia che si prepara a vivere una vita ancora più ampia, ama ed esalta in Garibaldi il navigatore dei mari e degli oceani, il Generale che strappò tutte le vittorie e si piegò a tutte le rinunce, che offrì alle sue Camicie rosse non onori, né spalline, ma «per tenda il cielo, per letto la terra, per testimonio Iddio», che conobbe la solitudine di una cella e l’apoteosi di Londra; il rurale, come egli stesso si definì, che nelle soste fra le battaglie e tornito il crepuscolo amò la fatica e la gente dei campi e, prima di morire, progettò la grande bonifica dell’Agro Romano; l’uomo che disdegnò onori e ricchezze e fu povero come un asceta e generoso più di Cesare. In Lui si riassunsero e sublimarono le qualità migliori del popolo italiano e quelle peculiari della schiatta ligure, solida e coraggiosa, pratica e idealista ad un tempo».
«Se per un prodigio il cavaliere bronzeo che sorge qui vicino diventasse uomo vivo e aprisse gli occhi, mi piace sperare che egli riconoscerebbe la discendenza delle sue Camicie Rosse nei soldati di Vittorio Veneto e nelle Camicie Nere che da un decennio continuano, sotto forma ancora più popolare e più feconda., il suo volontarismo, e sarebbe lieto di posare il suo sguardo su questa Roma luminosa, vasta, pacificata, che egli amò d’infinito amore e die fin dai primi anni di giovinezza identificò con l’Italia! «Sire, finché su questo colle dominerà la statua dell’Eroe sicuro e forte sarà il destino della Patria». (3)

Fu una giornata di enorme importanza ed in cui non mancarono momenti commoventi:
Il Capo del Governo ha disposto che il 2 giugno corrente, cinquantesimo anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi, fosse osservato l’orario festivo nei pubblici uffici e fosse concessa la vacanza nelle scuole.
A questa prima commemorazione garibaldina, oggi stesso, a Roma, alla presenza del Sovrano, tenne dietro l’inaugurazione sul Gianicolo del monumento ad Anita Garibaldi, che sorge a poca distanza da quello dell’Eroe dei due Mondi.
Da Genova – ove provvisoriamente erano custoditi – giunsero giovedì a Roma i resti di Anita Garibaldi, nata Ribeira de Silva, uruguaiana, per avere solenne e definitiva sepoltura nel nuovo monumento. Alla cerimonia intervenne il Direttorio Nazionale col Labaro del Partito. Così sarà esaudito il voto degli italiani, che da tempo desideravano onorare la memoria della fida compagna di Giuseppe Garibaldi (…). (4)

Nel 1990 e nel 2011 fu necessario procedere con due distinti interventi di restauro per proteggere l’opera dal logoramento che aveva colpito sia le parti in bronzo sia quelle in pietra. Anche la corona bronzea fu sostituita a causa di sciagurati atti vandalici compiuti da facinorosi. Così furono similmente rinnovate le scritte sulle targhe.
Ed ancora oggi la bella statua di Anita Garibaldi domina Roma dall’alto, ricordando al mondo che la Storia è fatta anche di grandi, grandissime, Donne.
Alessandro Mella
NOTE
1) La Sentinella d’Italia, 129, Anno III, 31 maggio-1° giugno 1932, p. 1.
2) Messaggero di Novi, 23, Anno LXVII, 4 giugno 1932, p. 1.
3) Il Popolo Biellese, 45, Anno X, 6 giugno 1932, p. 1.
4) L’Alfiere, 23, Anno XIII, 4 giugno 1932, p. 1.
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