Pierina de’ Bugatis venne processata come strega nel mese di aprile 1390 e interrogata dall’inquisitore fra Beltramino di Cernuscullo, che le domandò:
“… è detto che tu Pierina, dall’età di sedici anni fino al giorno di quella tua confessione, eri sempre stata al gioco di Diana che voi chiamate Erodiade (uno dei modi ricorrenti per indicare la riunione sabbatica, N.d.a.) Dicesti inoltre che la Signora e la sua compagnia si recano in varie case di diverse persone, e qui mangiano e bevono e si rallegrano molto se trovano case pulite ed ordinate, la Signora dà la sua benedizione alla casa. Dicesti poi che voi di questa compagnia non nominate Dio, quando vi trovate insieme né quando decidete di recarvi alle riunioni. Dicesti che la Signora insegnava a voi della compagnia i poteri delle erbe, e che da i segni che le presentate, vi fa vedere tutte le cose che le chiedete riguardo malattie, furti e malefizi. E così vi insegna a fare, e trovate che ogni cosa da lei mostrata è la verità. Dicesti poi che la Signora non vuole che voi facciate sapere in giro niente su queste cose, e perciò non ti sei mai confessata quantunque il prete ti avesse specificatamente interrogata al riguardo; e non pensavi che nascondere in confessione tali argomenti fosse peccato”.
Pierina, bruciata sul rogo a Milano, è una delle medichesse o herbarie finite nel gioco dell’Inquisizione, nel quale la misoginia e forse il fanatismo, oltre a una spinta ad uniformarsi al potere, da un certo punto in poi mischiano tra loro culti, tradizioni, paganesimo, dicerie e un certo odio per il diverso.
In Piemonte non si sono conservati molti documenti relativi ai processi che si sono svolti, ma alcuni sono incredibili, come quello delle streghe di Levone, nel Canavese, che richiama una storia quasi da film, dove non manca neppure il mistero, visto che una delle streghe è sparita nel nulla, probabilmente aiutata nella fuga dai suoi concittadini.
Apprendiamo nel Pactus Alemannorum, del VII secolo che herbaria è la strega che vagava di notte per compiere i propri malefici. Il termine è di grande interesse poiché collega inequivocabilmente la figura della strega alla donna che pratica esperienze erboristiche. Dal punto di vista culturale, l’herbaria ci consente di guardare la cosiddetta strega con occhi diversi, slegandola dall’esclusivo ambito connesso al culto del diavolo.
Le pratiche legate alla cura, agli antidoti contro i malefici e l’incanto, le fatture e gli incantesimi sono da sempre prerogativa della figura femminile e il Piemonte non si differenzia in questo quanto nel territorio, in gran parte montuoso e scosceso: un luogo per spiriti duri, intagliati dal freddo e con un certo burbero modo di isolarsi. Ed è proprio questo l’atteggiamento che la donna riconosciuta come strega, o l’herbaria, tiene. Ricercata ma spesso isolata dalla stessa comunità, riconosciuta come diversa, come depositaria di conoscenze e di rapporti con il mondo altro, utile ma anche pericolosa, sicuramente da perseguitare.
Alcune ricette della medicina “alternativa” di un tempo ci fanno sorridere, come ad esempio il mal ‘d San Giôan (epilessia), che nel medioevo era curato con polvere di cranio umano e in alcune valli delle nostre Alpi si consigliava persino di fiutare polvere di rospo oppure i rimedi per le emorroidi, per le quali si consigliavano cataplasmi a base di fiôr ‘d luviôn, (tasso barbasso), oppure di scrofolaria il cui nome dialettale non lascia dubbi sull’efficacia contro il disturbo che curava: erba dël daré.
Nei ricettari figuravano scorpioni, rondini, lombrichi, lumache, ostriche, granchi, denti di vipera, fegato di lupo, testicoli di lepre, fiele d’aquila, polmoni di rondine, testicoli di castoro, unghie d’asino, corna destre di capra, pelle di serpe, ecc. ecc.
Si tenga inoltre conto che tra gli ingredienti trovarono uso lo “sterco di fanciullo, di piccione e di cane”, oltre a urine, sudori, salive e altri prodotti “naturali”…
Nella metà del XVI secolo la specieria dell’Ospedale Maggiore di Torino aveva in bella vista barattoli contenenti Stercum diabuli, Ossa cranei humani, Polvere di mummia, Ongia dla gran Bestia…
E ancora verso la fine del Settecento, in un documento firmato dal magistrato del Protomedicato, tra “le robbe d’uso medicinale” sulle quali era stata applicata una tassa particolare, troviamo: “occhi di granchio, mandibole di luccio, denti di capro, Adipis hominis, Bufonis usti, olio di volpe, unguento di unicorno, olio di lucertola, perle orientali, rubini, giacinti, smeraldi e lapislazzuli”.
Un po’ tutti si affidavano alla medicina popolare, che utilizzava piante, prodotti particolari e ritualità, con una buona dose di scaramanzia.
In un documento del 30 marzo 1799 del Comitato di Giustizia di Torino, in cui si comunicano le modalità per la collocazione del patibolo nelle piazze cittadine è esplicitamente detto: “Invece della prerogativa all’esecutore di giustizia di estrarre il grasso dal corpo dei giustiziati, gli si accorderà lire 24 per ogni testa, ovunque abbia luogo l’esecuzione”.
Infatti, il boia aveva il diritto di prelevare il grasso dai corpi dei condannati, che era poi venduto e utilizzato come vera panacea per alcuni preparati tipici della magia e già noti nell’antichità.
Di certo le 24 lire “per testa” non cancellarono istantaneamente l’uso del grasso umano: lo si continuò a estrarre e utilizzare come potente antidoto contro i veleni e inserirlo in diversi preparati presenti in vari ricettari fino alle soglie del XIX secolo.
Ma non sbeffeggiamo troppo, poiché anche se la medicina popolare è giunta sino a noi, perdendo fortunatamente per strada alcuni elementi inquietanti (per citarne alcuni: i testicoli di lepre contro l’impotenza, la polvere di mummia, varie code di lucertole, liquidi corporei e via dicendo…) è tutt’ora viva e vegeta nell’utilizzo di erbe e piante che sono alla base non solo di prodotti fitoterapici, ma anche della farmacopea tradizionale. Senza contare che la medicina omeopatica reca in sé tracce antiche, anche se solo in “informazione”, come nel rimedio Lac Caninum (latte di cagna), il Crotalus horridus (serpente a sonagli), il Bufo (rospo) o la Blatta Orientalis (scarafaggio). E che dire della figura della strega oggi? Torino è la capitale della magia e il luogo dove troviamo il maggior numero di scuole di naturopatia, senza contare gli “operatori” del settore magico: lettori di tarocchi, di sfere, di mani, di fondi di caffè… le nuove mode modificano ma non eliminano il passato, a volte si sovrappongono e le streghe hanno da sempre un loro fascino, che la letteratura e il cinema hanno saputo valorizzare, creando spesso stereotipi entrati nella quotidianità.
Bibliografia:
“La medicina dimenticata. Magia e medicina popolare in Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta” e “Stregoneria. malefici, eresia e culto del diavolo”, di Massimo Centini
Fotografie di Marino Olivieri ph