
Di Alessandro Mella
Erano i primi giorni di gennaio del nuovo anno e la neve calava con una generosità che non si vedeva da molto tempo. Non avevo avuto alcuna alternativa e mi ero trovato costretto a risalire a piedi un lungo tratto in salita. Faticosamente, appoggiandomi al bastone, con la neve fin oltre le ginocchia e il tabarro che accarezzava quel candore sfregandolo. Solo per spirito morigerato non avevo immaginato alcuna imprecazione contro quella situazione disagevole ed alla fine mi scappò anche un sorriso quando ricordai la trasposizione cinematografica di un gioioso raccontino di Guareschi. E mi rividi, indegnamente, nei panni di Fernandel che, crocefisso in spalle, va espiando i suoi peccati d’orgoglio risalendo faticosamente verso il paesello sede del suo esilio alpestre.
Ma quei 40/50 cm erano poi quella gran cosa? Per i giovanissimi di oggi forse par difficile crederlo ma tra noi, ancora nati nel Novecento, il ricordo dei tetti appena visibili tra metri di neve è cosa ancora viva. Ed ognuno, in cuor suo, conserva memoria di qualche nevicata di più metri nelle nostre valli.
I cambiamenti climatici in atto hanno reso queste situazioni assai rare ma i fatti stessi si sono presi l’incarico di dimostrare che, al netto delle varie strumentalizzazioni, un problema con il clima indubbiamente l’abbiamo. Certo le grandissime nevicate erano disagevoli, lo vedremo, con pericolose valanghe, crolli e strade inaccessibili ma esse costituivano anche riserve idriche di cui la natura soleva nutrirsi in estati che, tra l’altro, erano anche assai meno calde d’oggi. Ma come andavano le cose quando nevicava davvero? Sono state centinaia, nei secoli, le volte in cui l’inverno ha imbiancato, financo sepolto, le nostre frazioni e i nostri paeselli. Ma ne citeremo solo alcune a titolo d’esempio. Leggiamo cosa ci dice La Gazzetta Piemontese del 26 gennaio 1885:
In Val di Lanzo. – Scrivono da Viù in data 24- corrente: «A Viù la neve raggiunse l’altezza di circa due metri, altezza che va man mano progredendo a misura che si sale in alto. Il servizio postale fu interrotto fin dal 17 corrente e si riattivò solo da alcuni giorni (da mercoledì), mediante un uomo che vi giunge a cavallo.
A memoria di alcuni vecchi, la neve non raggiunse mai simile altezza. La popolazione è spaventata. Le valanghe arrecarono anche danni in questa vallata, ed oltre a non poche che recarono danni ai soli boschi di faggio, ed alle casupole pel fieno e paglia sparse qua e là, vi sono poi altre che distrussero esse.
E, per citarne le principali, di cui finora si ha notizia, alla borgata Aissuit, presso i Tornetti, una valanga distrusse parecchie case. Fortunatamente queste nella stagione invernale non sono abitate. A Pessinea un’altra valanga distrusse una o due case e si dice anche che travolse tre persone che furono poi salvate. (…)
Le notizie che giungono a Viù sono pochissime, stante la grande difficoltà di aprirsi le strade. Si discorre di disgrazie, di pericoli, di vittime, ma tutto ciò con poca certezza».
Il giorno prima la stessa testata aveva scritto che “Nel mandamento di Viù la neve caduta sale all’altezza del primo piano delle case”.
A quei tempi, tra l’altro, lungi dal lanciare satelliti modernissimi per la comunicazione, anche far avere notizie certe nel capoluogo diventava un’ardua impresa. A quei tempi poi, non che oggi non accada, la neve poteva cadere fino alla primavera inoltrata. Oggi queste cose capitano, epica quella del 1° maggio 2016 ad esempio, ma non con l’intensità di qualche decennio fa. E così ancora la Gazzetta Piemontese ci racconta di episodi simili alla vigilia della primavera ormai prossima. Siamo al 1° marzo 1888:
In Val di Lanzo. «Ci scrivono da Germagnano Lanzo, 28: Da otto giorni siamo senza notizie delle corriere di Viù e Ceres. Esso devono esser ferme in qualche sito tra la neve; ma non se ne sa altro.
Si temono molte disgrazie. A Germagnano la neve ha raggiunto l’altezza di due metri, a Traves di due e cinquanta. Dei paesi che sono più in alto non si hanno nuove.
Molte sono le case cadute a Lanzo, a Balangero, a Germagnano. Però in questi paesi, non si deplorano disgrazie. (…)
Notizie di Viù. Lanzo, 28 febbraio. Notizie giuntemi telegraficamente dicono che a Viù la neve cadde all’altezza di tre metri. Le comunicazioni delle numerose e circostanti borgate col capoluogo non sono ancora attivate, quindi ignorasi se sianvi avvenuta disgrazie.
Si teme però siano rovinate delle case sotto l’ingente peso della neve, e che sia pare avvenuta qualche valanga stante la gran quantità di neve caduta.
Il servizio postale è interrotto, e per riattivarlo si procede ora allo sgombro della neve sullo stradale di Lanzo. Solo procede bene il servizio telegrafico che in questo momento ha molto lavoro».
Nel 1910 il problema si ripropose e La Stampa di Torino scrisse, il 5 aprile, che la quantità di neve nei comuni dell’alta valle rendeva impossibile ogni comunicazione e che nella piazza di Viù ancora si trovava un metro e mezzo di neve. La viabilità con Lemie era stata ristabilita esclusivamente con un camminamento pedonale scavato faticosamente da alcuni volenterosi.
Anche il 21 aprile 1918 una nevicata, seppur meno abbondante, imbiancò Viù per la gioia dei fotografi che ne trassero una felice e riuscita serie di cartoline stampate in toni di grigio ma anche con coloritura all’anilina.
Nel novembre 1933 cosa assai modesta, solo 40 centimetri a Viù. Quasi una spruzzatina in confronto alle altre! Come se non bastasse la guerra, poi, anche gli inverni degli anni ’40 non scherzarono e freddissimo e nevoso fu quello terribile del 1944/1945 quando l’odio fratricida entrava nelle case al fragoroso suono degli stivali tedeschi.
Di quel periodo mi piace ricordare un paio di aneddoti che Ignazio Guglielmino raccontò a Milo Julini e Donatella Cane alcuni fa:
«A fine febbraio 1942 ci fu una ennesima nevicata, di quella neve pesante. Mezzi di trazione non ce n’era più nessuno, la strada Germagnano Viù era bloccata, al suono delle campane tutti andavano in piazza a spalare, quello era di routine. Ma ora bisognava spalare la provinciale. Non si poteva stare isolati e poi la luce veniva da Funghera su tre fili di rame con i pali marci, così eravamo isolati per la strada bloccata e senza luce elettrica.
Per fortuna, i forni erano tutti a legna per il poco pane che si cuoceva, anche se c’erano tanti sfollati perché le farine mancavano.
I comuni da Usseglio a Viù decisero di reclutare tutti, donne e bambini, io ero già adolescente e la pala la sapevo ben manovrare. Tutti in fila e giù fino a Pian Bausano, lì ce n’era meno e il comune di Germagnano aveva provveduto, anzi ci incontrammo a Cross Murai, loro di sotto che venivano su verso le due frazioni di Castagnole e Borgo e noi da Viù e mi pare che dopo soli cinque giorni la corriera a gasogeno arrivò a Viù».
Ed eglì raccontò anche come le nevi del dicembre 1944 avessero persuaso i paracadutisti della Folgore a restarsene al “Moderno” e a lasciare in pace i partigiani viucesi almeno a cavallo dei giorni di Natale.
Poi scoppiò, per fortuna, la pace e la vita riprese il suo corso con le sue stagioni e le sue nevicate. Ancora La Stampa il 5 gennaio 1953, in un corposo articolo sulle grandi nevicate di quei giorni, scriveva che la “Valle di Usseglio” era percorribile solo fino alla nostra Viù.
Non basterebbe un’enciclopedia, forse, per elencare le tante volte in cui quel bianco spettacolo decorò le nostre valli. Con una bellezza rara che a volte ci sfugge e non cogliamo. Con quel silenzio che sembra ripulire il mondo d’ogni male. E noi dovremmo apprezzarlo più di chiunque altro. Noi che abbiamo moderni stivali, giacche a vento impenetrabili, ciaspole, fuoristrada ed auto con il 4X4 e tante altre modernerie capaci di semplificarci il convivere con poche spanne di “fiòca”.
E dovremmo, ogni qual volta la melanconia per i disagi ci assale, pensare ai nostri nonni, bisnonni, trisavoli. Con la gerla umida, avvolti nella mantella portata dal Piave o dal Cadore, con scarponi di cuoio mille volte risuolati, con i pantalonacci di velluto pieni di rattoppi, con mezzo sigaro toscano per scaldarsi un poco.
Pensare a loro, così malamente attrezzati alle meglio, mentre camminavano sotto la neve cadente con poche cose nella sacca. Con poca legna da buttare nella stufa al loro arrivo in baita, con capre e vacche che gelo o no reclamavano il loro cibo e le loro attenzioni.
Altri tempi, tempi lontani dalla dura vita di montagna. Quando nevicava. Nevicava davvero. Ed ora possiamo proprio pensarci a cuor sereno mentre, guardando alla Pasqua in arrivo, aspettiamo una primavera che tale speriamo sia riveli anche per i nostri animi alla ricerca disperata di speranza e libertà dopo mesi terribili.
Alessandro Mella
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