Indubbiamente la Divina Commedia non è tenera con il fondatore della religione islamica
Studiare Dante farebbe bene a tutti, anche ai musulmani, lo scrive il quotidiano online, atlantico. Il motivo? “Dante riapre la strada alla concezione dello Stato come Res Publica e facendosi guidare da Virgilio apre le porte all’Umanesimo, conciliando cultura classica e cristiana”. (Alfonso Piscitelli, “Più Dante per tutti: perché soprattutto i musulmani dovrebbero studiarlo”, 27.5.24, atlanticoquotidiano.it) Sullo stesso tema si è pronunciato anche un altro giornalista dello stesso giornale online.
Sul rapporto tra Dante e la cultura islamica, sono stati scritti fior di libri che hanno avuto grande risonanza sia in Europa che nei Paesi arabi, come,“La escatologia musulmana en la Divina Commedia”, di Asin Palacios (pubblicato nel 1919 e tradotto in italiano nel 1994) o “L’influenza della cultura islamica sulla Divina Commedia di Dante”, di Salah Fadl, pubblicato al Cairo nel 1980. (Rob Piccoli, “Dante e l’islam: ignoranza dietro l’ennesimo caso di Cancel Culture”, 27.5.24, atlanticoquotidiano.it)
Certamente le analogie tra l’opera di Dante e la letteratura spirituale islamica sono ormai diffusamente accettate in ambito accademico. Insomma,“contrapporre Dante al mondo islamico denota innanzitutto abissale superficialità e ignoranza, senza che ciò significhi necessariamente che si debbano accogliere in toto o in parte le tesi di Asin Palacios, di Salah Fadl e dei loro seguaci”.
Tuttavia, la complessità della materia dovrebbe suggerire prudenza e cautela. Quindi, il docente trevigiano della scuola Media, che ha censurato preventivamente Dante, esonerando dallo studio della Divina Commedia i due studenti, ha avallato“acriticamente un pregiudizio diffuso tra musulmani incolti, indottrinati da imam altrettanto incolti e ossessionati dall’odio per l’occidente, la sua civiltà e la sua storia”.
A fianco di questa notizia si può benissimo associare quella dell’Università di Torino che ha consentito di svolgere un sermone, una preghiera islamica guidata da un imam che inneggia alla jihad (e il rettore fa finta di non saperne nulla). A questo proposito faceva notare l’editoriale di atlantico che non esiste nessuna reciprocità da noi. Certo il toscanaccio Dante non le manda a dire, nel suo tempo non esisteva il concetto di inclusività.
Oggi in Occidente,“includiamo”, e quando serve tagliamo via ciò che può offendere orecchie delicate e innocenti come quelle dei seguaci del Profeta, mentre questi ultimi possono fare tutto il contrario, e se giri per strada dalle loro parti con il crocifisso al collo – una semplice catenina d’oro che quasi neanche la vedi – ti arrestano senza neppure darti il tempo di dire“amen”.
Ma questa mancata reciprocità a quelli della cultura woke non interessa, siamo noi i cattivi, siamo noi che dobbiamo vergognarci, anzi, se è possibile dobbiamo possibilmente sparire – non prima, però, di aver assassinato la nostra cultura, calpestato la nostra storia e rinnegato quelle che chiamiamo “le nostre glorie”.
Del resto sono queste cose che insegnano molti dei nostri “beneamati professori di ogni ordine e grado: dalle maestre che nel tempo libero vanno all’estero per caricare di botte (a quanto risulta) nazistelli e simili, ai docenti che a Treviso ammainano la bandiera del Padre della lingua italiana senza neppure combattere, agli accademici illuminati che teorizzano ex cathedra la nostra nefandezza incurabile (di stramaledetti occidentali), a fronte della quale le nefandezze altrui sono peccatucci veniali e senza importanza”.
Comunque sia “Aveva ragione da vendere, il compianto cardinal Giacomo Biffi, quando, parlando della immigrazione, affermava che «un ecumenismo politico astratto e imprevidente», incapace di comprendere i criteri con cui accogliere gli immigrati, avrebbe preparato per il nostro popolo «un futuro di lacrime e di sangue». E quel futuro di lacrime e sangue è arrivato.
Ma, occorre ribadirlo, il problema non sono innanzitutto loro, gli islamici, bensì noi, i cristiani (o, meglio, i post-cristiani), che stiamo segando con masochistico livore il ramo su cui la nostra civiltà sta appollaiata”. (Marco Lepore, “Agli islamici non piace, a scuola Dante ha i giorni contati”, 27.5.24, Lanuovabq.it)
Indubbiamente, la Divina Commedia non è tenera con il fondatore della religione islamica, ma ha le sue buone ragioni. Dante colloca Maometto all’Inferno, al canto 28esimo, tra i dannati, colpevole di non essere cristiano e per avere favorito la separazione della comunità degli uomini. Certamente non deve essere piacevole, per chi professa la fede islamica, leggere cosa ha scritto Dante.
Del resto ribadisce Lepore che bisogna “tenere presente che chi si trasferisce in un paese straniero, sede di una tradizione e religione diverse dalla propria, è tenuto a integrarsi, accettando e rispettando anche ciò che non è conforme alle proprie convinzioni. Diversamente, meglio scegliere un paese con una cultura affine alla propria”.
Invece assistiamo a un paradosso, soprattutto in certi paesi europei come Olanda e Belgio (sedi di importanti comunità islamiche), qui è stata adottata una versione della Divina Commedia curata dalla traduttrice fiamminga Lies Lavrijsen, ritradotta in modo tale da evitare di urtare i musulmani. Pertanto, l’episodio della scuola di Treviso, quello che è accaduto in occasione della fine del Ramadan e, in questi ultimi giorni, della vicenda della preghiera islamica all’interno della Università di Torino, altro non sono “che una ulteriore prova del processo di integrazione a rovescio che si sta attuando”.
Per invertire la rotta, forse è auspicabile rispolverare le raccomandazioni che il cardinale Giacomo Biffi fece allo Stato italiano e alle comunità cristiane, quanto meno, per favorire una sana riflessione. Tre sono i convincimenti nei confronti dello Stato italiano:
«Di fronte al fenomeno dell´immigrazione, lo Stato non può sottrarsi al dovere di regolamentarlo positivamente con progetti realistici (circa il lavoro, l´abitazione, l´inserimento sociale), che mirino al vero bene sia dei nuovi arrivati sia delle nostre popolazioni».
«Poiché non è pensabile che si possano accogliere tutti, è ovvio che si imponga una selezione. La responsabilità di scegliere non può essere che dello Stato italiano, non di altri; e tanto meno si può consentire che la selezione sia di fatto lasciata al caso o, peggio, alla prepotenza».
«I criteri di scelta non dovranno essere unicamente economici e previdenziali: criterio determinante dovrà essere quello della più facile integrabilità nel nostro tessuto nazionale o quanto meno di una prevedibile coesistenza non conflittuale. Un “ecumenismo politico” (per così dire), astratto e imprevidente, che disattendesse questa elementare regola di buon senso amministrativo, potrebbe preparare anche per il nostro popolo un futuro di lacrime e di sangue». Infine tre sono le persuasioni semplici ed essenziali per le comunità cristiane:
«Non è per sé compito della Chiesa e delle singole comunità risolvere i problemi sociali che la storia di volta in volta ci presenta. Noi non dobbiamo perciò nutrire nessun complesso di colpa a causa delle emergenze anche imperiose che non ci riesce di affrontare efficacemente».
«Dovere statutario del popolo di Dio e compito di ogni battezzato è di far conoscere Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio morto per noi e risorto, e il suo necessario messaggio di salvezza. E´ un preciso ordine del Signore e non ammette deroga alcuna. Egli non ci ha detto: “Predicate il Vangelo a ogni creatura, tranne i musulmani, gli ebrei e il Dalai Lama».
«Allo stesso modo, è nostro dovere l´osservanza del comando dell´amore. Di fronte a un uomo in difficoltà – quale che sia la sua razza, la sua cultura, la sua religione, la legalità della sua presenza – i discepoli di Gesù hanno il dovere di amarlo operosamente e di aiutarlo a misura delle loro concrete possibilità».
Sono raccomandazioni che risalgono a più di venti anni fa, ma conservano tutta la loro forza e ragionevolezza. Se i nostri politici e il nostro popolo avessero avuto la volontà e la forza di seguirle, forse oggi staremmo tutti meglio.
Anche gli immigrati musulmani, che magari sarebbero molto meno numerosi, ma sicuramente più integrati e con maggiori possibilità di una vita dignitosa.
Un’altra interessante riflessione meriterebbe attenzione è quella del professore Eugenio Capozzi (L’ANALISI Euro-islam, è la demografia a condannarci, 27.5.24, Lanuovabq.it) ma lo farò in un’altra occasione.
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