Giorgio di Challant, Maître Colin, il Maestro di Wuillerine e il mistero di Buronzo
Nel mese di luglio di quattro anni fa visitavo per la prima volta il Castello di Issogne, con una guida straordinaria, Antoine Casarotto, ad accompagnarmi alla scoperta di ogni ambiente, in uno splendido maniero di fondovalle. L’edificio sorge sui resti di una villa romana, è appartenuto ai Vescovi di Aosta, come documentato in una Bolla di Papa Eugenio III del 1151; passa, quindi, nelle mani di Ibleto di Challant, Balivo di Susa e Governatore di Nizza, nel 1372.
Sarà Giorgio di Challant-Varey, Priore e ideatore della Collegiata di Sant’Orso ad Aosta, a unificare i fabbricati preesistenti, a farvi eseguire gli affreschi e creare il giardino all’italiana; grazie a lui, titolare di importanti cariche politiche ed ecclesiastiche, vero “uomo del Rinascimento” per formazione, cultura, gusti ed interessi, il complesso si trasforma in una lussuosa residenza rinascimentale.
Durante gli anni del suo splendore il castello ospita personaggi illustri, come l’Imperatore Sigismondo di Lussemburgo, durante un viaggio di ritorno in Germania nel 1414, o il Re di Francia Carlo VIII nel 1494.
Nel cortile, la Fontana del Melograno risale al 1502: è un dono di nozze dallo spirito rinascimentale e rappresenta un auspicio di prosperità per la casa Challant, sospesa fra pensiero simbolico e suggestioni alchemiche. Nei beccucci a forma di drago che gettano acqua, Giorgio si identifica e lascia una firma ai posteri.
Gli affreschi sono stati incisi con molte scritte e graffiti: date, firme degli ospiti, sembra un “guest book” voluto dagli Challant stessi per ricordare gli ospiti che sono passati di qui, in omaggio alla loro casata.
Ancora nel cortile, si susseguono sei lunette affrescate da Maître Colin, un pittore anonimo, documentato ad Aosta dal 1499, chiamato ad operare nella Collegiata di Sant’Orso da Giorgio di Challant (sulla provenienza del “maestro Colin” è stata formulata l’ipotesi che provenisse da Ivrea, dove nel 1493 aveva dipinto il fondale e la predella dell’ancona contenente le statue di una Adorazione dei Magi nella Cappella dei Tre Re, ora presso il Museo Civico Garda).
Le lunette di Maître Colin rappresentano: armi e armature appese, con scene di vita al tavolo sottostante (è una rappresentazione della pace sociale ottenuta dagli Challant nella loro regione?); il pâtissier; un mercato con i prodotti agricoli in uso prima della scoperta dell’America; il tintore; lo speziale; una bottega alimentare. L’insieme delle pitture potrebbe essere una rappresentazione delle Corporazioni.
Anche i dipinti nella cappella al primo piano sono di Maître Colin, con uno scenografico altare tardogotico voluto da Giorgio.
Sempre guidato da Antoine, salgo al secondo piano, attraverso una scala a chiocciola di novantanove gradini che rende il passo leggerissimo.
La stanza di Giorgio ha un oratorio attiguo, nell’affresco egli è inginocchiato di lato a Gesù, insieme a Maria e Maria Maddalena.
Nella Sala d’Armi (o Chambre de Savoie), usata come segreteria e per i ricevimenti, il pittore torinese Vittorio Avondo ha riprodotto una lunetta del cortile.
Lo stesso Avondo rinomina la Sala Bassa come Sala della Giustizia, anche se qui non vi è stata mai emessa una sentenza, in quanto il diritto di giustizia era esercitato soltanto dai Savoia e dai loro Tribunali itineranti. È una sala misteriosa, per il ciclo di affreschi che contiene: il giudizio di Paride, con un mulino a travature estraneo alla mitologia; in un riquadro si vedono colonne materiali e colonne eteree e trasparenti; paesaggi con fiumi navigabili (niente a che vedere con la Dora Baltea conosciuta); Gerusalemme con il Golgota; nei paesaggi dipinti sulla parete opposta qualcuno identifica Giorgio di Challant. Gli affreschi di questa stanza sono da attribuire al Maestro di Wuillerine, attivo ad Aosta fra il 1500 e il 1514: egli deve il suo nome ad un ex voto realizzato per la Collegiata di Sant’Orso, che raffigura la guarigione della storpia Wuillerine avvenuta davanti alla chiesa, e oggi conservato nella sacrestia della Collegiata.
Gli affreschi della Sala Bassa sala regalano una sorprendente illusione ottica, come se lo spettatore non si trovasse all’interno della sala, ma su una balaustra. I paesaggi illusori che si osservano oltre il parapetto immaginario sono popolati da scene lontane di vita campestre, cacce e imbarcazioni che si muovono su un lembo di lago. Si possono osservare, sfumati in lontananza, i manieri posseduti dagli Challant: Verrès, Fénis e Issogne.
Un altro mistero è in un graffito sulla parete: “21 4 1559 si partì di Buronzo piangendo e lacrimando”. Che cosa è successo di tragico a Buronzo in quella data, che è stata in questo modo tramandata per sempre? Un qualcosa che i libri di storia non ci hanno tramandato e rimane un piccolo mistero di questo castello e della storia piemontese.
Il fantasma di Bianca Scapardone, la fine degli Challant e la rinascita con Vittorio Avondo
Issogne è davvero il Castello dei Sogni, così popolato di sogni, leggende e misteri?
Un altro mistero è la provenienza del Maestro di Wuillerine. Il suo linguaggio pittorico denota un debito artistico con la tradizione miniaturistica borgognona e fiamminga, come in alcuni paesaggi con mulini a pale o edifici dai tetti molto spioventi, tipici dei paesi del Nord Europa, ma di lui non sappiamo nulla più!
Inoltre, una mano anonima ha dipinto i due piccoli ambienti adibiti ad oratori per Marguerite de la Chambre, al primo piano, e di Giorgio di Challant, al secondo piano.
A Issogne poteva mancare un fantasma? No!
Si narra che, di notte, su un loggiato del Castello, appaia il fantasma di Bianca Scapardone, nota come “La Contessa di Challant”. La storia della sua vita è bellissima e tremenda allo stesso tempo: viene offerta in sposa dal padre, a soli dodici anni, a Ermes Visconti, quando è ancora una bambina. Il matrimonio si trascina per sei anni in un clima tempestoso, fino al 22 ottobre 1519, giorno in cui il Visconti viene giustiziato per cospirazione; a soli 18 anni, Bianca si ritrova ricchissima e già vedova. Nel 1522 sposa Renato di Challant e va a vivere con lui nel Castello di Issogne. La bella e irrequieta castellana fugge verso la natia Casale Monferrato, forse a causa delle lunghe assenze dello sposo, e finirà i suoi giorni giustiziata a Porta Giovia, a Milano, il 20 ottobre 1526, con l’accusa di aver ordito l’omicidio del suo amante Ardizzino Valperga, Conte di Masino.
La sua vita avventurosa e la sua tragica fine sono state narrate e immortalate da Matteo Bandello in una delle sue novelle, tra realtà e finzione. Il ritratto di Bianca, come attestato dallo stesso Bandello, costituirà il modello per la decapitazione di Santa Caterina d’Alessandria, nell’affresco che Bernardino Luini dipinge nella “Cappella Besozzi”, nella chiesa di San Maurizio a Milano.
«E chi bramasse di veder il volto suo ritratto dal vivo, vada ne la chiesa del Monistero Maggiore, e là dentro la vedrà dipinta» (Matteo Bandello, Novella IV, Parte I).
Una tragica storia d’amore e tradimenti può riportare la bella Bianca al Castello di Issogne, da morta? È possibile che l’anima irrequieta della giovane viva ancora oggi tra le mura del maniero? Più d’uno ha affermato di avere scorto il fantasma di una balla ragazza vagare nei corridoi e sui camminamenti; nelle notti di luna piena, quando il cielo è sgombro da nuvole: lo spettro di Bianca percorre l’ala ovest del castello reggendo la sua testa mozzata tra le mani…
Riprendiamo il filo della storia del maniero. Dopo i fasti del Cinquecento, che lo hanno visto animarsi della vita sociale e privata di una vera Corte, la residenza inizia un lento declino. Alla morte di Renato di Challant, nel 1565, i suoi possedimenti passano a Giovanni Federico Madruzzo, che ne aveva sposato la figlia Isabella. Si apre un conflitto ereditario tra la famiglia Madruzzo e i cugini maschi di Isabella di Challant, che durerà oltre un secolo. La signoria di Issogne e il suo Castello passeranno ai Lenoncourt e infine, nel 1693, a Cristina Maurizia Del Carretto di Balestrino. Tre anni dopo si conclude il contenzioso e Cristina Maurizia deve restituire Issogne alla famiglia Challant.
Nel 1802, con la morte di Giulio Giacinto, ultimo Conte, si estingue la casata e inizia per Issogne un periodo di decadenza, durante il quale viene spogliato dei suoi arredi. Nel 1872 il Barone Marius de Vautheleret decide di vendere all’asta la proprietà.
Vittorio Avondo aveva un sogno. Nato a Torino nel 1836, quando ha 36 anni la vita gli presenta l’occasione per realizzarlo: il Castello di Issogne, degradato a causa dell’abbandono e dell’incuria, va all’asta. Il Procuratore del Re di Aosta avvisa il padre di Vittorio (Carlo, già proprietario del castello di Lozzolo, nel vercellese) e l’acquisto avviene per 20.000 lire.
Il Castello di Issogne diventa lo studio di Vittorio Avondo, che condivide con Federico Pastoris, Casimiro Teja, Piero e Giuseppe Giacosa, conosciuti nel cenacolo culturale del castello di Rivara, nel Canavese.
Avondo è considerato uno dei migliori rappresentanti del paesaggismo piemontese del XIX secolo; dopo un apprendistato avviene nella campagna laziale, nel 1865 cura il restauro del Museo del Bargello di Firenze, dal 1891 è Direttore del Museo Civico di Torino.
Durante la notte di Natale del 1872 avviene qualcosa che trascende anche la fantasia: cinque amici a cena festeggiano, alla fioca luce delle candele, l’avverarsi di un sogno. Giuseppe Giacosa vi trova ispirazione per scrivere “Una partita a scacchi” e “La signora di Challant” (ispirato dalla figura di Bianca Maria e portato in scena per la prima volta al Teatro Carignano di Torino il 14 ottobre 1891 da Eleonora Duse).
Il sogno del restauro si concretizza, in seguito, grazie ai progetti di Alfredo D’Andrade. E Vittorio Avondo crea un museo all’interno del Castello, come omaggio all’arte medievale; con il fotografo Ecclesia realizza una campagna di marketing ante litteram, con un album fotografico che avrà l’introduzione di Giacosa.
Nel 1907 Vittorio Avondo dona allo Stato il Castello di Issogne; oggi esso appartiene alla Regione Autonoma Valle d’Aosta.
Nel 2018 è stato creato un “Appartamento Avondo”; al suo interno è esposta una scacchiera da lui costruita: suggello dell’amicizia profonda che lo lega Giacosa e la chiusura di un cerchio artistico, storico e letterario.
Inoltre, un intero ambiente ospita il monumentale dipinto “Ritorno di Terra Santa” eseguito da Federico Pastoris, formatosi presso l’Accademia Albertina di Torino, amante dei castelli valdostani da lui frequentati, anche grazie all’ospitalità dell’amico Avondo.
Lo scrittore torinese Pier Luigi Berbotto ha ricordato la sua visita al castello con queste parole:
“(…) quel che non potevo immaginare era quanto di latente, d’inespresso ma pur oscuramente vivo e compenetrato nelle medievali strutture, gravitasse tra anditi e volte, come un immenso potenziale di storie ancora da scrivere, di sogni ancora in attesa di essere sognati. Il Castello dei sogni: così, del resto, non l’avevano forse chiamato l’Avondo e la sua combriccola di colti gaudenti – in primis il Giacosa – a giustificare l’infatuazione per il luogo che li aveva contagiati? E non ci fu pure chi, dovendo scrivere al Giacosa ospite di Issogne, indirizzasse le lettere semplicemente Al castello dei sogni, Valle d’Aosta senza che – come attestò il destinatario – ne andasse perduta pur una?”.
Bibliografia
Pier Luigi Berbotto – Le mille e una valle – L’Ambaradan
Matteo Bandello – Novelle
Giuseppe Giacosa – Una partita a scacchi
Giuseppe Giacosa – La signora di Challant
Ringrazio la Regione Autonoma Valle d’Aosta, nella persona del Dott. Marco Carrel, per la sua preziosa collaborazione.
Un caloroso apprezzamento e un sincero ringraziamento vanno alla passione ed alla competenza della guida Antoine Casarotto, delle quali ho beneficiato in occasione della mia visita al Castello di Issogne.