Un contributo del Prof Antonio Binni, Gran Maestro Emerito della GLDI.
Il tema della “decisione”, intesa come fenomeno, non è soltanto un argomento di viva attualità stante le odierne sempre maggiori possibilità di scelta, ma pure una analisi oltremodo opportuna da compiersi posto che l’approfondimento di questa questione consente di acquisire una maggiore consapevolezza del valore di ciò che è implicato in una scelta. Il che sicuramente non è di poco conto. Anche perché scomporre il processo decisionale nei suoi articolati momenti decisivi rende evidente – e nello stesso tempo censurabile! – la purtroppo invece costante meccanicità con la quale si è invece adusi adottare le scelte quotidiane.
L’uomo è un progetto. Non può pertanto sottrarsi alla necessità di decidere. Siamo infatti chiamati a decidere continuamente. Da qui la inevitabilità della scelta, che ha, dunque, natura esistenziale. La scelta è infatti la cifra dell’umana esistenza perché non c’è vita senza scelta.
Oggi, tuttavia, le scelte sono diventate sempre più difficili a causa del moltiplicarsi delle opportunità (c.d. paradosso della complessità). Il che, purtroppo, non rende la vita più semplice! Il progresso richiede infatti nuove competenze sempre più complicate, sempre di più difficile impiego. Sicché, a non stare al passo coi tempi, si finisce inevitabilmente per essere emarginati, se non addirittura esclusi dalla vita sociale a causa dell’analfabetismo nel quale, via via, si è precipitati.
Il primo dato, di valore determinante, che si incontra nell’analisi del tema, è di tutta evidenza. La scelta, per definizione, costituisce un rischio comportando il timore della scelta errata. Questa dimensione, come per primo ha notato Heidegger, genera angoscia perché ogni scelta comporta incertezza, ben potendo l’opzione sacrificata rivelarsi col tempo preferibile a quella compiuta.
Le scelte sono poi autentiche solo quando sono proprie del soggetto che le compie, quando cioè sono esclusivamente sue, originali dunque, perché strettamente personali, non cioè dettate dal “così fan tutti”.
Da qui l’importanza che riveste il soggetto, che sceglie, profilo invece del tutto pretermesso dalle pubblicazioni diffuse in ambito aziendale che valorizzano invece unicamente le procedure da seguire (c.d. prassi) per giungere nel modo migliore all’obiettivo perseguito. Nell’ottica prescelta il soggetto che decide ha invece una importanza decisiva perché, attraverso la decisione adottata, il soggetto costituisce la sua identità. Quando si decide, dunque, non si fa solo qualcosa, soprattutto, si diventa anche qualcuno perché è proprio tramite la scelta che il soggetto può costituire e riconoscere la propria identità. Il soggetto nel fare una scelta è infatti inevitabilmente coinvolto in tutta la sua totalità. È, dunque, da questo angolo prospettico che proseguirà la nostra analisi.
Il cammino che conduce l’uomo a fare una scelta è sempre un progetto confuso perché si scontrano fra loro situazioni particolari e aspetti universali, quali i valori e le norme di riferimento, chiamati comunque a dialogare con le vicende contingenti sempre uniche e originali. La decisione finisce pertanto per presentarsi sempre come complessa perché, al netto di ogni altra pur possibile considerazione, non poche volte ci si può trovare di fronte a valori anche in conflitto fra loro.
Il processo decisionale è caratterizzato dalla esitazione, dominio della paura e della speranza. Paura che il progetto naufraghi. Speranza che invece si realizzi. Questo, propriamente, è lo spazio della riflessione sul materiale raccolto, vagliato con attenzione, soppesato secondo caratteristiche e peculiarità strettamente personali, che non ignorano neppure l’azzardo quando il rischio si risolve appunto in una approfondita riflessione.
Questo è anche il luogo della prudenza – scelta sagace – che non conosce regole precostituite per essere invece affidata alle abilità valutative di chi non può non decidere. Regno, dunque, della “Arte del vivere” che è assoluta discrezionalità e imponderabilità legata come è alla sensibilità di ciascuno arricchita dalla sua formazione. Il che ha come effetto finale quello di accrescere lo spazio della incertezza e dell’ansia collettiva.
La decisione, in quanto frutto della esitazione, infine ha a che fare con il tempo. Non solo con il presente, ma pure con il futuro perché, chi sceglie, immagina scenari futuri, conseguenze che, allo stato, non sono reali, ma solo ipotetiche. Per dirla sinteticamente: nella decisione è implicita la perdita del presente comportando un vincolo per il futuro.
Il che induce a prefigurare possibili responsabilità. L’azione immaginata non può infatti non contemplare anche conseguenze estese a terzi come diretta conseguenza della interconnessione che lega gli umani, per definizione, esseri sociali.
Il processo decisionale si conclude con la scelta, che è propria ed esclusiva del soggetto che la adotta. Propriamente una azione perché acconsentire al partito preferito altro non è che una azione.
Scelta, invero, sempre dolorosa, perché implica l’abbandono di tutte le altre possibili opzioni scartate, ma sempre autenticamente performativa come il parto. Vocabolo scelto non a caso! Il termine “decidere” ha infatti la stessa radice di “recidere”, cioè tagliare. Si sceglie infatti veramente soltanto quando si compie un taglio rispetto a tutto il resto.
Un’ultima nota a pié di pagina.
L’impostazione soggettiva accolta in aperto contrasto alla prassi aziendale oggettiva abitualmente invece seguita, com’è scontato alla luce dell’autore di questo scritto, altro non è poi che il riflesso dell’insegnamento massonico acquisito in tanti anni di militanza, che tutto riporta all’uomo, che, in quanto privo di un suo specifico statuto, che lo renderebbe sempre uguale a se stesso, altro non è che mera possibilità, mero progetto, in quanto tale, costretto perciò a incessanti metamorfosi frutto delle sue continue scelte inevitabili perché l’uomo può vivere sempre e solo scegliendo. Essere, dunque, per definizione cangiante in tutte le sue manifestazioni, vivo come una primavera, ma sempre invece fermo nei suoi principi come il tronco di una quercia secolare che ormai conta più di trecento anni.