
Piccole memorie storiche nel cuore delle Valli di Lanzo (di Alessandro Mella)
Una dinastia con mille anni di storia, fatalmente, intreccia le proprie vicende con il territorio in cui ha combattuto, prosperato e costruito. Seicento anni per il Ducato di Savoia, trecento per il Regno di Sardegna e ottanta per quello d’Italia. Fatti vissuti tanto profondamente, dal Piemonte e dalla Valle d’Aosta, da interessare anche i più piccoli e sperduti borghi. La Valle di Viù, abitata sin dall’antichità e già borgo romano con il nome di Vicus, conobbe i fasti sabaudi fin dal passato più remoto. Una delle prime testimonianze della presenza di Casa Savoia nella Valle è indubbiamente la Casa Coatto nella frazione del Versino di Viù. L’abitazione fu edificata presumibilmente nel medioevo ed oggi appare istoriata con scene di caccia che richiamano le atmosfere medievali. La memoria storica popolare racconta che la casa fu spesso utilizzata come luogo di sosta dai duchi di Savoia che salivano all’Orsiera, verso Lemie, per la caccia all’orso nel XVII secolo. In coincidenza con il fiorire di una Torino che Carlo Emanuele I andava trasformando in splendida capitale del suo ducato. Ma già precedentemente Emanuele Filiberto tenne numerose battute di caccia nelle Valli di Lanzo salendo a Viù nel 1575 e così fece, nel 1660, Carlo Emanuele II. (1) Gli anni che seguirono furono densi di avvenimenti molto importanti nella storia europea e videro, dopo la guerra di successione spagnola, Vittorio Amedeo II cingere prima la corona di Re di Sicilia e successivamente quella di Re di Sardegna.(2) La Valle di Viù visse con vivacità anche i grandi cambiamenti dell’ottocento ed i suoi ragazzi furono protagonisti di tutti i grandi mutamenti di quel secolo dal periodo napoleonico alle battaglie risorgimentali.(3) Del resto, Viù vantava anche numerosi reduci delle grandi campagne per l’indipendenza nazionale.(4) Questi, naturalmente, avvertivano un profondo legame con i protagonisti del Risorgimento di cui il Piemonte era stato un grande animatore. A riprova di questa radicata e profonda emotività vale la pena leggere un passaggio che “La Gazzetta Piemontese” volle citare in occasione della scomparsa di Vittorio Emanuele II:

TELEGRAMMI PARTICOLARI della Gazzetta Piemontese della Sera. ROMA, 9, ore 3,20. Continua il commovente pellegrinaggio al Pantheon, dove trovasi la salma di re Vittorio Emanuele. Fra i ricordi deposti sulla tomba del gran monarca, si distinguono le corone del Municipio di Torino e quella della Società dei Veterani di Torino. Gli Alpigiani di Viù mandarono un serto di fiori di montagna. La sospensione dei funerali in memoria del defunto Re, si attribuisce alle discipline ecclesiastiche, le quali non permettono funzioni funebri nell’ottava dell’Epifania. (5)
La morte improvvisa ed inattesa del primo Re d’Italia, quel Re galantuomo che non aveva abrogato lo Statuto Albertino ed aveva esposto sé stesso ed i propri figli al piombo austriaco in guerra, lasciò molti turbamenti. Qualche viucese, probabilmente, colse l’occasione per polemizzare ritenendo che l’amministrazione di allora non avesse mostrato sufficiente partecipazione al grave lutto. E fu probabilmente un vociare assai chiassoso se il sindaco sentì il dovere di dire la sua sulla vicenda:
Da Viù, 7 febbraio 1878. Ci si prega d’inserire la seguente lettera: «L’autore anonimo della corrispondenza inserta nel n. 36 del suo giornale, o che non è nostro compatriota, o, se lo è, non conosce Viù, oppure, se lo conosce, non è di buon conto ed è per secondi fini che così sparla. Sfido il caustico corrispondente a denunziare un solo fatto, durante l’interregno, che possa interpretarsi sotto l’aspetto da lui ideato, si è già provvisto alla pubblica salute, all’istruzione, ai lavori pubblici, a tutto, ed appena avuta l’infausta notizia della morte del più popolare dei monarchi si è di botto fatto sventolare dalla casa comunale, velato a bruno, il vessillo tricolore; si sono ordinate pubbliche preci, ed un solenne funerale con l’intervento di tutte le Autorità, la scolaresca, e quanto ha di meglio il paese, ebbe tosto luogo, ed unanime il Consiglio comunale ha votato e spedito un indirizzo di condoglianza e fedeltà a S.M. Il municipio di Viù non è mai stato secondo nelli atti di patriottismo e di devozione alla gloriosa Casa Sabauda. Pelle scuole, cardine essenziale d’ogni società, spende il Comune aldilà delle sue forze, e se fra le sue maestre ha anche suore di Sant’Anna, ciò non è appuntabile, avvegnanché le stesse sono pure ricercate in luoghi ben più cospicui. Fra i consiglieri havvi un prete, è vero, fu eletto la legge lo assiste e sta, ma adempie solo il suo mandato e nulla più. Non so chi sia l’articolista, e non posso misurarne la portata; ma se, secondo lui per essere liberale e patriota è necessario d’essere ateo, autocrate od indebitato, allora mi vanto di non essere liberale; ma se per liberale intende l’uomo onesto, amante del pubblico bene, ed affezionato alle patrie istituzioni, allora tale io sono, e tali sono pressoché tutti i miei colleghi. Faccia del resto pur voti a piacer suo, ma non dileggi un intero Comune, e si persuada, che può esservi qui, come altrove, qualche clericale con o senza l’ultra, gli onesti liberali sono però in grande maggioranza. Il sindaco Garmagnano Battista». (6)

Cose che accadevano nei piccoli paesi e che ricordano, a pensarci bene, le novelle di Guareschi in francoprovenzale piuttosto che in emiliano-romagnolo. Da qualche anno il secondogenito del sovrano defunto, Amedeo di Savoia primo Duca d’Aosta, era rientrato dalla Spagna. Vi aveva regnato come “Amadeo I” dal novembre 1870 al gennaio 1873 in un clima di grandi fermenti tra fazioni in costante contrapposizione in una Spagna lacerata e logorata. Tentò di fare del suo meglio ma non gli fu possibile arginare i rancori e l’odio crescenti attorno a Madrid ed alla sua corona. Posto di fronte all’alternativa di venir meno al suo giuramento di fedeltà alla costituzione spagnola, preferì abdicare. Tornò a Torino e qui venne a mancare, onorato quale ex sovrano ed eroe delle guerre risorgimentali in cui si era guadagnato una brutta ferita ed una medaglia d’oro, stanco e probabilmente un poco disilluso, nel 1890. Centinaia di cerimonie funebri in suffragio del defunto si tennero in tutta Italia. Ed anche i bravi montanari di Viù non furono da meno:
VIÙ. — Funerali pel compianto principe Amedeo. – Ci scrivono: Ieri, 27 andante mese, alle ore 10 ant, per iniziativa di questo molto reverendo vicario ebbero luogo nella chiesa parrocchiale solenni funebri pel l’illustre, valoroso e magnanimo principe Amedeo. Assistevano alla mesta cerimonia il Municipio in Corpo, una rappresentanza della R. Pretura, il consigliere provinciale signor Rastelli avv. Giovanni, i maestri coi propri alunni, la società dei reduci, il conciliatore, la Congregazione di Carità, le guardie forestali ed un concorso straordinario di popolo. I funebri riuscirono assai decorosi e nella circostanza questa popolazione dimostrò quanto si accuori davanti alle sventure nazionali e di Casa Savoia e come non vi sia distinzione di animi per commemorare la perdita del principe Amedeo, che è sempre più sentita da questi valligiani affezionatissimi e fedeli alla Casa regnante. (7)

Anche la guerra italo turca del 1911-1912 e la grande guerra del 1915-1918 videro numerosi valligiani tra le sabbie della Tripolitania e della Cirenaica e tra le trincee, le nevi ed il fango. Numerosi non tornarono a casa, altri lo fecero ed alcuni con il nastro azzurro delle medaglie al valore militare sul petto. L’Italia del 1919, pur avendo completato l’anno prima la propria unità territoriale, era comunque una nazione delusa, scontenta, con una grave crisi politica ed economica. Le grandi conquiste riformiste della brillante stagione giolittiana erano un ricordo lontano e via via più opaco. Le grandi tensioni sfociarono nell’incapacità dei partiti politici di reagire al logoramento istituzionale in atto. La poca lungimiranza con cui si mossero e la loro litigiosità endemica spianarono la strada all’autoritarismo ed all’ascesa di Benito Mussolini a Palazzo Chigi. In un governo che inizialmente fu di coalizione e raccolse il voto di fiducia anche di deputati come De Gasperi. Viù e dintorni, pur ferme nel loro legame storico con casa Savoia, accolsero con freddezza il nascente fascismo e ne diedero prova nelle contestatissime elezioni del 1924:
Elezioni amministrative. Vittoria amministrativa antifascista a Viù. Viù, 23, notte. Domenica 21 corr. in questo Comune si svolsero, senza incidenti, le elezioni amministrative. Il blocco antifascista (combattenti, popolari, unitari) riportò una brillante vittoria, conquistando tutti i posti di maggioranza. Il capolista riportò voti 514; il primo della lista fascista, con gl’immancabili fiancheggiatori, non raggiunse che 225 voti. (8)
Matteotti era stato assassinato pochi mesi prima. Sappiamo come andarono successivamente i fatti, come il regime andò consolidandosi, dal 1925 in poi, prendendo negli anni successivi a costruirsi un consenso. Grazie al quale, occorre aggiungere, gli fu possibile aggirare lo Statuto e spogliare sempre di più la corona delle sue prerogative dato che il Quirinale non poteva congedare il Capo del Governo senza un voto istituzionale contrario. Ma non è questa la sede per analizzare questi meccanismi e queste vicende di ampio respiro, almeno rispetto al tema di questo studio. Viù, Lemie, Col San Giovanni ed Usseglio tornarono agli onori delle cronache, anche mondane, nei primi anni ‘30 quando (come le altre Valli di Lanzo) iniziarono ad essere molto frequentate dal principe ereditario, il Principe di Piemonte, Umberto di Savoia. Bello, affascinante e raffinato ma di animo buono e generoso, questi era nato nel 1904 a Racconigi. Viù pareva segnata ed incisa nella sua stella fin dal suo primo brillare:
La nutrice. Racconigi, 16, ore 16,45. Secondo una voce, che posso ritenere fondata, la balia per il nuovo nato sarebbe di Viù (nelle valli di Lanzo), paese famoso per la tradizione di aver sempre date ottime balie. Essa sarà certamente in giornata a Racconigi. (9)

Molti anni dopo, soprattutto tra il 1930 e 1931, Umberto frequentò moltissimo le nostre valli. Numerosi sono i documenti, gli articoli dei quotidiani, le testimonianze, le fotografie e le notizie relative a queste visite spesso legate al suo ruolo di comandante del 92° reggimento di fanteria. (10) Una documentazione sterminata, un vero fiume carsico, ampliamente e fortunatamente analizzato dagli storici negli ultimi anni. A Villa Covino di Col San Giovanni, nell’ormai cadente chiesa di frazione Richiaglio di Viù e perfino sulle rovine del Castello del Versino esistono ancora targhe a ricordo delle visite del giovane Umberto. A Viù e nei comuni circostanti egli lasciò il ricordo di un uomo buono, generoso, sobrio e premuroso facendosi molto amare. Ci piace ricordare un aneddoto poco noto. Scrive, infatti, nel suo benemerito pezzo Vanni Cagnotto:
“Umberto II era suo padre (si riferisce alla Principessa Maria Gabriella nda) e fu lui ad iniziare una collezione di opere sindoniche che conservò, sino agli inizi degli anni ‘30, in Val di Viù e precisamente nella chiesetta di Biolaj, una borgata oggi abbandonata, sopra Richiaglio lungo l’antica mulattiera un tempo principale collegamento interno alla Savoia quando le Terre di Margherita erano le uniche rimaste al Ducato”. (11)
Dopo il trasferimento a Napoli le sue presenze, ovviamente, si ridussero ed i valligiani lo rividero tornare nel 1939 soltanto. Di quel periodo fu anche la comparsa del Re Vittorio Emanuele III. Si diceva che andasse a caccia nelle Valli di Lanzo e vi soggiornasse frequentemente. Certo passò da Viù nel 1939 di ritorno dalle grandi manovre del Regio Esercito ad Avigliana:
(…) La macchina del Sovrano è stata vista passare velocemente da Viù ed è stata fatta segno delle più entusiastiche manifestazioni di affetto. Lungo tutti le vie della alta e bassa valle di Lanzo le popolazioni sono uscite per le vie ed hanno detto al Sovrano con le loro acclamazioni tutta la fedeltà delle genti piemontesi alla Augusta Casa Regnante (..). (12)
Mancavano pochi mesi alla grande tragedia collettiva. La guerra, la caduta del regime, l’armistizio e la guerra civile. Le Valli di Lanzo vissero quegli anni di violenza, ferocia e distruzione con un profondo e comprensibile tormento materiale ed umano. Molte ferite si aprirono, molte si perpetuarono nel tempo. Dopo l’8 settembre erano stati moltissimi i viucesi che avevano dovuto scegliere se nascondersi nella zona grigia, rispondere alla chiamata alle armi della Repubblica Sociale Italiana od unirsi alle nascenti formazioni della Resistenza. La guerra partigiana fu un fenomeno multicolore, politicamente trasversale con formazioni azioniste, repubblicane, socialiste, cattoliche, comuniste, liberali ed anche monarchiche nei mesi in cui Umberto si esponeva al fuoco tedesco risalendo l’Italia con il Corpo Italiano di Liberazione del Regno del Sud. Ci andrebbero pagine per spiegare come i fatti segnarono le coscienze, le manovre più o meno occulte di chi doveva rifarsi un’immacolata immagine politica e via discorrendo. I fatti corsero, come la storia è abituata a fare. Con il referendum del 2-3 giugno 1946 la repubblica ottenne un paio di milioni di voti in più rispetto alla monarchia con tre milioni almeno di persone che non avevano potuto esprimere il proprio voto. Ci volle un inedito vulnus interpretativo della questione “schede nulle e bianche” per giustificare il colpo di mano del governo nella notte tra il 12 e 13 giugno 1946. La repubblica prevalse con un ordine di scuderia in un referendum tecnicamente nullo, nacque minoritaria con il 48% circa delle preferenze. (13) Di fronte al pericolo di una nuova ed ancor più sanguinaria guerra civile, Umberto di Savoia, da poco Re d’Italia con il nome di Umberto II, scelse di allontanarsi dal Paese per stemperare gli animi. Pur logorata, come gran parte del nord Italia, dalle tragedie d’una lunga guerra fratricida, anche la Valle di Viù conservò memoria di quell’uomo buono e generoso. Certo, vi convivevano opposte idee e valori, molti avevano militato nelle formazioni garibaldine accanitamente repubblicane, ma molti altri ancora rivendicavano il proprio legame con la Casa di Savoia. (14) Fu probabilmente per questo che Viù ebbe un sindaco dichiaratamente monarchico e dirigente del Partito Italiano d’Unità Monarchica dal 1970 al 1975 nella persona di Nicola Dardino. Singolare e meritevole di citazione è un aneddoto relativo ad una visita al Re, in Costa Azzurra, nel 1970:
«(..) Ama (Dardino nda) raccontare, con malcelato orgoglio, un significativo episodio che si riferisce al 1970 quando Dardino era stato da poco eletto sindaco. Il deputato monarchico Ferraris indicandolo al Re, disse: “Maestà, le presento un sindaco monarchico!”, al che Dardino fece notare, quasi scusandosi, di aver dovuto giurare fedeltà alla repubblica, ma il sovrano bonariamente lo apostrofò: “Non importa. Fai sempre il tuo dovere!”. Rafforzando così in Dardino il convincimento che il primo pensiero di Umberto era sempre e solo stato il bene degli italiani». (15)

Il sovrano non tornò mai più e passò la sua vita in doloroso esilio in Portogallo, a Cascais, morendo senza abdicare. Morendo ancora Re, seppur bandito dall’Italia e gravemente malato, il 18 marzo 1983. Non gli fu concesso, nemmeno in extremis, di morire in patria. Non rientrò nemmeno defunto e venne sepolto ad Altacomba ove giace ancora. Tra i presenti alle esequie vi furono anche l’ex sindaco Dardino e l’impresario viucese Ignazio Guglielmino:
«Quando morì il Re Umberto II, avevo deciso di andare al funerale il 24 marzo 1983, perché quando era ancora Principe di Piemonte nel 1930 ed era venuto a Viù per le manovre, mi aveva preso in braccio. Io allora avevo solo due anni ma me ne ricordo ancora ed ho sempre conservato un grato ricordo del Principe. Per non andare da solo ad Altacomba, avevo chiesto se volevano venire con me a diverse persone tra cui madama Cane, che mi aveva detto che non si sentiva. Anche altri non potevano venire, l’avevo chiesto a quelli che sapevo che giravano verso la monarchia. Allora sono andato a chiederlo a Nicola Dardino, che sapevo essere del partito monarchico. Andai su da Dardino e lui sempre complicato: “Eeeh sai gnòn” (non so). “Vedi di deciderti, perché io domani mattina alle cinque parto”. “Aleura alen” (Allora andiamo). (..) Alle cinque meno un quarto sono andato a prenderlo. Lui era pronto, tutto tirato a lucido, con il distintivo dei monarchici sul risvolto della giacca. Era ben visto e conosciuto nell’ambiente, ad Altacomba ha trovato tanta di quella gente che lo salutava, era conosciuto, benvoluto e stimato per la sua perseveranza”. (16)

È, anche questa, una testimonianza naturale, umana e serena di come alcune radici non fossero state del tutto recise da quella grande bufera che sconvolse la storia d’Italia. Al netto di qualunque ipotesi, idea, orizzonte, orientamento o riferimento, Casa Savoia resta un capitolo fondamentale nella storia italiana. L’Italia non avrebbe trovato unità politica e d’intenti se una millenaria piccola dinastia di montanari e guerrieri non avesse ad un tratto messo in gioco i propri destini per la causa dell’indipendenza italiana. Fece errori? Fu vittima di momenti di ingenuità? Ancora oggi è difficile dirlo, soprattutto se comodamente seduti nelle nostre poltrone. Fare revisionismi fantasticando nei salotti è molto semplice. Certo quei mille anni di storia restano. Restano nei documenti, nelle immagini, negli aneddoti, nella grande storia e nelle migliaia di piccole storie che ad essa si intrecciano. Restano nella memoria collettiva anche di un fazzoletto di incantevoli montagne piemontesi. Anche nella Valle di Viù, come in tutte le altre. È la nostra Storia, il nostro specchio, l’immagine di quel che siamo e delle nostre origini. (17)
Alessandro Mella
NOTE
1) C. Santacroce, Orsi e Lupi delle Valli di Lanzo in Annuario 2014 del Club Alpino Italiano sez. di Lanzo, pp.66-67.
2) Il sovrano sardo pare fosse sopravvissuto alla propria gracilità infantile ed a numerosi problemi alimentari grazie all’invenzione dei grissini da parte di un medico di Lanzo che ne suggerì la realizzazione al panettiere di corte. A riguardo si veda l’approfondimento sul volume “Le radici del sapore” di Gianni Castagneri, 2016.
3) A riguardo, l’autore ebbe modo di elencare una serie di nominativi di valligiani combattenti nelle armate napoleoniche e presenti nelle battaglie di Wagram, Essling, nelle campagne di Russia del 1812 e di Francia nel 1814.
4) VIU’ – (Nostre lettere, 2 giugno) – La solennità dello Statuto. – Ieri la locale Società dei Reduci e Congedati dall’Esercito Nazionale si radunò all’Albergo della Corona a cordiale banchetto per festeggiare lo Statuto, e cosi l’unità ed indipendenza della patria, e ad un tempo per inaugurare il distintivo adottato, consistente in una spilla simbolica portante un trofeo sormontato dalla stella d’Italia con in campo lo stemma Reale contorniato dalla dicitura della denominazione della Società. Durante il simposio il vessillo sociale sventolò dal balcone dell’albergo, come sventolava il mattino dalla sede della Società. Al levar della mensa il socio fondatore cav. Martino Rastelli, presidente della Società, rivolse ai confratelli accorate parole; parlò dei diritti e dei doveri, delle varie fasi della Società, dei benefizi attuali ed attuabili, delle comuni aspirazioni; rammentò essere scopo precipuo della Società d’istillare nei figli e nel popolo sentimenti di moralità e concordia, d’onore e di rispetto verso la Monarchia e le istituzioni che reggono la nazione, ed infine li esortò di mantenersi onesti e concordi, onde col tenuissimo contributo attuale poter col tempo aumentare i fondi, e per conseguenza i benefizi d’una mutua fratellanza. Parlarono in seguito il maestro Suardi, segretario della Società, facendo un sunto storico della stessa, ed il dottore Cibrario, medico della Società, lodandone l’andamento ed augurando un progressivo sviluppo, nonché i soci Mondino e Falcherò Carlo. La Musica locale suonava ad intervalli allegre e patriottiche sinfonie. Come per incanto e per sempre rendere maggiore onore alla festa nazionale si combinò una passeggiata alla borgata Fucine colla Musica in testa e bandiera, passeggiata che riuscì benissimo sotto ogni riguardo; verso sera si ritornò alla sede della Società per la consegna della bandiera col massimo ordine e dignità. L’allegra comitiva si sciolse fra le grida d’evviva lo Statuto, evviva l’Italia, evviva il Re, evviva la Società dei Reduci e Congedati di Viù. (La Gazzetta Piemontese 6 giugno 1890 pagina 2)
5) La Gazzetta Piemontese, 10 gennaio 1878, p. 3.
6) La Gazzetta Piemontese, 13 febbraio 1878, p. 2.
7) Ibid., 28 gennaio 1890, p. 3.
8) La Stampa, 24 dicembre 1924, p. 2.
9) Ibid., 17 settembre 1904, p. 1.
10) Il lettore potrà approfondire questo tema nel magnifico volume di Claudio Santacroce dal titolo: “S.A.R. Umberto di Savoia Principe di Piemonte nelle Valli di Lanzo – Cronache, ricordi, immagini” edito dalla Società Storica delle Valli di Lanzo nel 2004.
11) La Voce, 9 ottobre 2018.
12) La Stampa, 8 agosto 1939 p. 6.
13) A riguardo, si segnala l’illuminante e documentatissimo testo del prof. Aldo Alessandro Mola dal titolo “Il referendum monarchia repubblica del 2-3 giugno 1946 – Come andò davvero?” edito nel 2016 dalla Bastogi Libri.
14) Il già citato volume del Santacroce, pur non potendo offrire un dato su Viù, ne offre uno indicativo relativo a Lanzo a pagina 111. Nel referendum del 1946 la repubblica ebbe 1466 voti contro i 1392 della monarchia. Fu, dunque, quella repubblicana una vittoria di strettissima misura a riprova di come la popolarità di Casa Savoia, seppur ridimensionata sensibilmente dal corso degli eventi, fosse tutt’altro che crollata.
15) Claudio Santacroce, S.A.R. Umberto di Savoia Principe di Piemonte nelle Valli di Lanzo – Cronache, ricordi, immagini, Società Storica delle Valli di Lanzo, 2004, p. 112.
16) Ignazio Guglielmino – La Vita di un Uomo, a cura di Donatella Cane Julini, Castellamonte 2013, pp. 376/377.
17) L’autore desidera indirizzare un ringraziamento al prof. Claudio Santacroce per la preziosa ed equilibrata opera di divulgazione storica compiuta.