
“Chi vince prende tutto”. Dagli Abba a Donald Trump. E non solo.
The winner takes it all, cantava Meryl Streep sulla musica degli Abba nel famoso film Mamma mia!, una delle commedie musicali più riuscite dei primi anni 2000.
Ma, appunto, si trattava di un musical, di uno spettacolo; l’espressione può valere anche al tavolo da gioco, ma finita lì.
Quello che è certo è che in politica non vale, o almeno dalla fine della seconda guerra mondiale fino a pochi giorni fa ci eravamo abituati a qualcosa di diverso; il presidente – o qualunque altra carica elettiva di grande potere in qualsiasi paese democratico – durante la campagna elettorale “combatteva” con l’avversario e lo considerava come un nemico da sconfiggere. Poi però, dopo l’esito del voto, il vincitore non era più solo il presidente del suo partito e di chi lo aveva eletto, ma diventava il presidente di tutti i cittadini dello stato, anche di quelli che non lo avevano votato. È chiaro che la linea politica del vincitore aveva la preminenza, ma le minoranze e le opposizioni venivano ascoltate e i loro pareri tenuti in considerazione. Questo, naturalmente, nei paesi democratici, cioè quelli in cui i risultati delle elezioni non erano “bulgari”, come si diceva, vale a dire con percentuali di vittoria vicine al 100% e gli oppositori costretti all’esilio o addirittura uccisi. Non credo che si possa parlare di libere elezioni là dove non sono ammessi osservatori internazionali o siano installate telecamere dentro i saggi elettorali per conoscere i nomi di chi si permette di non votare per il partito che di fatto ha già preso il potere con la violenza e vuole solo dare una parvenza di legalità alla propria posizione con delle elezioni-farsa.
Certo, oggi i sistemi per manipolare coscienze e soprattutto voti sono molto più sottili ed efficaci, ma questo è un altro discorso. Qui mi preme sottolineare come da un po’ di tempo a questa parte chi vince le elezioni, anche in un paese dove teoricamente esiste la democrazia, governa rimanendo perennemente in campagna elettorale e additando coloro che non lo hanno votato come nemici. Già tempo fa, e senza andare tanto lontano, ricordo la nostra presidente del consiglio in un video – perché, poi, oggi si debba far politica con video e social per me rimane un mistero – in cui se la prendeva con gli spettatori abituali di una rete televisiva, rea, a suo avviso, di non condividere le sue posizioni. Ma perché mai un’opinione diversa deve essere additata come qualcosa di pericoloso, qualcosa da combattere in ogni modo, attraverso un linguaggio che il mio caro Manzoni, campione di ironia e reticenza, considererebbe inascoltabile? Si può dire qualsiasi cosa con garbo, a meno di essere violenti e volgari nell’anima. O, peggio, di usare appositamente violenza e volgarità verbale allo scopo di parlare alla “pancia” delle persone, soprattutto le più fragili e facilmente condizionabili. Per carità, il tono della signora di cui sopra nel caso specifico era solo, a mio avviso, sgarbato e fuori luogo; ma temo che la moda della mancanza di buon gusto e signorilità sia ormai inarrestabile. Ad ogni modo, secondo me, sarebbe bene che chiunque consideri le opinioni diverse dalle sue semplicemente come pensieri su cui riflettere, magari per consolidarsi ancora di più sulle sue posizioni, alzasse la mano, si facesse vedere e dialogasse amabilmente con chi la pensa diversamente, senza mai voler convincere nessuno. Sarebbe uno spettacolo e un insegnamento per molti, soprattutto i giovani. Capita, qualche volta, di assistere a conversazioni di questo genere, ma è sempre più raro.
Al contrario sono sempre più frequenti dialoghi come quello a cui abbiamo assistito tutti, personalmente con grande disagio, tra il presidente degli USA e il presidente ucraino. Non trovo aggettivi per definire l’atteggiamento di Trump e del suo vice; sgarbato, maleducato, intimidatorio sono soltanto eufemismi e non mi va di scendere al loro livello usando termini di altro genere.
Quello che so è che Zelensky dovrà in ogni modo a breve firmare il famoso trattato sulle cosiddette “terre rare”, se non vuole vedersi privato delle armi americane, anche se il dubbio oggi nelle questioni politiche è sempre legittimo; decisione che prenderà ‒ o forse ha già preso ‒ ovviamente obtorto collo.
Perché, appunto, come dicevo all’inizio, oggi “ chi vince prende tutto”: non esistono più limiti, l’odio e la violenza sono stati sdoganati quasi ovunque e soprattutto l’idea della separazione dei poteri ‒ legislativo, esecutivo e giudiziario ‒ , sulla quale la nostra cultura occidentale si è basata dall’Illuminismo in poi, non solo è messa in discussione, ma è proprio combattuta e vilipesa anche all’interno di paesi che ne avevano fatto la loro bandiera durante le rivoluzioni per ottenere l’indipendenza e la libertà. Indipendenza e libertà: parole che un tempo erano sacre, oggi forse neanche più comprese da molti. I moti del 1848 in Italia e in Europa non portarono a risultati nel breve termine, ma alla lunga direi proprio di sì. Oggi la situazione è ovviamente diversa, i cambiamenti avvengono ad una velocità impressionante e questa è la cifra fondamentale del nostro tempo, nel bene e nel male. Quello che spero, nonostante tutto, è di vivere ancora in un paese e in un continente dove, se una mattina i carrarmati del paese vicino violassero i nostri confini, governo e cittadini trovassero normale opporsi e difendersi. E dove sia possibile esprimere un’opinione non lesiva della libertà altrui senza essere perseguitati: e neanche messi in un angolo, non considerati o addirittura additati al pubblico ludibrio, possibilmente.
Cosa dici, don Lisander, tu che ti sei impegnato perché l’Italia si liberasse dal giogo austriaco e sei anche diventato senatore del Regno, ce la possiamo fare? O dobbiamo proprio lasciare che chi vince prenda tutto ?