Quando l’immaturità o la decadenza cognitiva si svelano attraverso l’uso delle parole.
Milioni di anni di processo evolutivo dell’essere umano naturale hanno prodotto uno strumento materiale, il suo corpo fisico, estremamente raffinato e capace di fare grandi cose, la maggior parte delle quali in modo automatico. Ma mentre per “l’hardware” questo è un dato di fatto facilmente riscontrabile, per esempio nella sua capacità di auto ripararsi dai danni che il suo uso può contemplare, oppure nella possibilità di intervenire su di esso dall’esterno per la medesima finalità di ripristino delle funzioni fisico-chimiche di base, lo stesso non si può dire per “il software” che ne controlla l’operatività e ne stabilisce coerentemente i parametri funzionali. In poche parole si è prodotta una macchina sofisticata dal potenziale infinito, controllata e guidata da una centralina ancora largamente in fase di sperimentazione delle sue capacità di autoapprendimento mediante le esperienze. Nonostante o grazie agli sforzi di tutte le parti che concorrono alla possibile integrazione, coerente o compatibile, tra hardware e software, ci troviamo ora a fare i conti con lo stato dell’arte di questo duro lavoro che l’universo materiale contiene nel suo seno in una fase ancora di gestazione. Da questo processo in atto, ma non ancora maturo per partorire un essere umano sufficientemente autonomo, intelligente e responsabile, emergono le caratteristiche comportamentali che possiamo osservare in questi tempi. Esse sono quindi correttamente definibili come “emergenze”.
Che a queste emergenze si cerchi di reagire in modo isterico-compulsivo o strutturato razionalmente non cambia molto. Sia che si tratti di una pandemia virale, di un conflitto atomico mondiale, di una carenza di energia dai costi esagerati o da una nuova e imprevedibile circostanza, sembra che una grande parte, la quasi totalità dell’umanità invero, non sia ancora in grado di elaborare strategie coerenti con la finalità della sua esistenza, ma si limiti a sperare di cavarsela in qualche modo anche quando agisce evidentemente e perniciosamente in modo perverso.
Che questo sia un dato di fatto è sancito inequivocabilmente perfino nell’uso di una parola piuttosto di un’altra per indicare uno stato d’essere, presente e tendenziale, per esempio nella scelta della parola “resilienza” anziché “perseveranza” per definire il sentimento che dovrebbe istruire e guidare il nostro modo di agire in situazioni complesse, pericolose o dolorose.
Infatti se esaminiamo i vari significati assunti dalla parola resilienza possiamo notare che essi si riferiscono alla capacità, più o meno grande, di assorbire i colpi (da qualsiasi parte, evento o persona provenienti) e rimettersi in sesto dopo averli ricevuti. Più uno è resiliente e più colpi potrà assorbire senza soccombere.
Se invece esaminiamo la parola perseveranza ed i suoi significati potremo rilevare che essi si riferiscono alla capacità di perseguire i propri propositi e scopi nonostante gli accadimenti.
Di conseguenza a queste considerazioni minime se ne possono trarre alcune più specifiche. Alcuni tipi di resilienza, per esempio quella psicologica, possono riscontrarsi anche in assenza di coscienza, semplicemente come caratteristica intrinseca presente in un determinato individuo come aspetto caratteriale che qualche volta rasenta l’ottusità, come nel caso di alcuni pugili che continuano a prendere pugni senza poter reagire in alcun modo o in chi persiste nell’errore a dispetto dell’evidenza.
Nella capacità di perseverare troviamo caratteristiche coscienti ed intelligenti di costanza e fermezza nel perseguire un obiettivo seguendo la propria strada senza farsi (troppo) condizionare dagli ostacoli e dalle difficoltà che si possono incontrare lungo il percorso. Ovvero la perseveranza richiede coscienza dell’obiettivo (e di conseguenza esige un lavoro coerente con le necessità di perseguirlo).
Fatte queste premesse e precisazioni dovrebbe risultare più facile comprendere perché uno slogan come “andrà tutto bene” è completamente fuori luogo e richiama inconsapevolmente proprio ciò che si vorrebbe evitare mediante il meccanismo attrattivo gravitazionale a polarità inverse (ovvero richiama il simile attraverso il polo contrario a quello che esercita tale attrazione in prima battuta, per cui risulta difficile comprenderne la coerenza con quanto richiesto). Si tratta infatti della stessa medaglia le cui due facce non possono essere disgiunte.
Andrà tutto bene è uno slogan che sintetizza un aspetto della resilienza che non ha niente a che vedere con le aspettative di chi sviluppa resilienza. Infatti anche se tutto sta andando bene, cioè secondo l’essenza e il senso di ciò che sta accadendo, per esempio il ciclo di una pandemia, ciò può non essere buono per chi ne rimane coinvolto poiché non riesce a comprendere perché le cose non vadano bene come egli si aspetterebbe coerentemente con il proprio modo di vedere, sentire, desiderare ed agire.
Possiamo opinare che siano differenze cavillose ma, mentre possono essere poco utili e significative per chi ha bisogno di comprendere più praticamente cosa fare, sono invece importanti per colui che ha il compito, la consapevolezza e la responsabilità, di mettere in moto le interazioni tra le persone per stabilire intimamente a quale scopo lo stia facendo.
Per fare un esempio più pratico di cosa ciò significhi, se durante un viaggio in autostrada un “resiliente” incontra una grandinata, cercherà immediatamente un ponte sotto cui ripararsi fino al termine dell’evento (senza considerare che, nel frattempo e per la stessa causa per cui ha dovuto cercare un riparo, il ponte possa crollargli addosso), mentre un “perseverante” proseguirà, magari con maggior cautela, il suo viaggio, scoprendo, spesso con sua grande sorpresa, che un metro dopo il ponte, non grandina più e il sole splende.
Si tratta evidentemente di diversità di prospettive e di scale di valori di riferimento che fanno una grande differenza nel perseguire, più o meno chiaramente, l’obiettivo della propria vita. In un caso infatti si baderà principalmente alla salvaguardia della propria esistenza e della propria auto, mentre nell’altro sarà più importante il raggiungimento dell’obiettivo, costi quel che costi.
Allora: resiliente o perseverante?
Ad ognuno la sua strada!
grafica e testo
pietro cartella
Perseverante