
Un modesto suggerimento per affrontare quello che un tempo veniva eufemisticamente definito “logorio della vita moderna”.
Viviamo in un mondo difficile e scarsamente empatico, che pone al vertice delle priorità di tutti il successo, non importa se ottenuto con mezzi leciti o illeciti. Ci troviamo così costretti ad affrontare una estenuante corsa a ostacoli, nella quale i più deboli finiscono fatalmente per soccombere. Nulla di strano, in fondo si tratta di una sorta di selezione naturale, la legge che premia i migliori a scapito di chi – semplicemente – non ce la fa. Una situazione che tutti conosciamo bene e con la quale siamo costretti a confrontarci tutti i giorni. Qualche giorno, però, questo stato di cose pesa più del solito, al punto da sembrare quasi insopportabile.
È in momenti come questi che le anime più sensibili sentono con maggiore urgenza il bisogno di un sollievo, di una Bellezza trascendente in grado di elevarle – almeno per un po’ – dalle brutture di tutti i giorni. In realtà, la Bellezza (sì, quella con l’iniziale maiuscola) non è affatto difficile da trovare, anzi spesso l’abbiamo a portata di mano, ma non siamo nelle condizioni giuste per apprezzarla come meriterebbe. A volte, la cura migliore alla brutalità quotidiana può venire dalla lettura di una poesia, dall’ascolto di un’opera musicale o dalla contemplazione di un quadro, elementi in grado di strapparci almeno per un po’ da ogni preoccupazione e di accoglierci in una luce più luminosa. Per usufruire di questa cura, è però necessario sintonizzarsi su un piano più elevato.
Inopinatamente, una sera ho trovato questa cura in Franz Schubert, compositore viennese scomparso nel 1828 all’età di soli 31 anni, che nella sua vasta produzione sviluppò i temi del dolore e della gioia e delle rispettive relazioni, ossia di come si intreccino e si influenzino reciprocamente, fino a coesistere in un equilibrio difficile da immaginare per noi uomini e donne del XXI secolo. Questo binomio emerge in molte opere, come il celebre quartetto Der Tod und das Mädchen (La Morte e la fanciulla) e il Lied su testo di Matthäus von Collin Wehmut (Malinconia), di cui riporto di seguito i versi:
Quando cammino per boschi e prati
comincio a sentirmi sereno e triste
con il cuore pieno di inquietudine.
Sto bene e male quando osservo la campagna
nella sua piena bellezza
e nell’aria primaverile.
Poiché ciò che soffia nel vento sibilante,
ciò che si alza verso il cielo
e anche l’uomo, così dolcemente appagato
da tutta la bellezza che osserva,
svanisce e scompare.
Lo ammetto: sono concetti un po’ di maniera, secondo la sensibilità incline alla cupezza del primo Romanticismo, ma i versi sono di un poeta di vaglia – considerato oltralpe tra i poeti più ispirati e originali della prima metà del XIX secolo – che seppe dare voce a inquietudini che sarebbero giunte fino ai giorni nostri.
A conquistarmi è stata la scrittura musicale scabra e delicata di Schubert, che viene esaltata dal timbro morbido e sottilmente esitante del soprano inglese Elizabeth Connell, per viene accompagnata con gusto sublime dal pianista Graham Johnson, una delle maggiori autorità della produzione vocale di Schubert.
Questo brano di portata gigantesca pur nella durata di poco più di tre minuti si trova nel quinto volume dell’integrale dei Lieder del compositore viennese varata molti anni fa dall’etichetta inglese Hyperion Records, il cui programma è imperniato sul rapporto tra Schubert e la campagna.
Prima e dopo Wehmut, è possibile ascoltare altre memorabili miniature che tratteggiano con grande, impareggiabile immediatezza la tormentata interiorità di quello che chi scrive ritiene tra i compositori più moderni e coinvolgenti della storia della musica, un uomo tutto sommato normale – per quanto dotato di un talento quasi inumano – ma in perenne difficoltà ad affrontare il mondo in cui viveva né più né meno come l’albatro di Charles Baudelaire. O come molti di noi.