
Nelle numerose analogie tra Pitagora e Gesù, sia che si trattasse della loro vita sia dei loro insegnamenti, la pesca occupava un posto particolare. Pitagora incontrò un giorno dei pescatori sulla spiaggia dove essi stavano spiegando le vele; egli disse loro che avrebbe potuto predire l’abbondanza della loro pesca fino al numero esatto dei pesci. La condizione che egli pose fu che i pescatori dovevano rigettare in mare i pesci se la predizione si fosse rivelata esatta. Tutti i pesci tirati fuori dall’acqua furono tenuti in vita e il loro numero si rivelò conforme alla predizione. Pitagora li riscattò e questi furono rigettati in mare. I pescatori diffusero la storia e da allora Pitagora fu venerato come un semidio.
Che cosa facevano gli allievi di Pitagora per raggiungere il loro obiettivo? Immaginiamo un giovane che veniva accettato come allievo da Pitagora. Un periodo di cinque anni di ascolto e di apprendimento iniziava per lui. Imparava a non giudicare e a non criticare avventatamente ciò che avveniva intorno a lui e, soprattutto, imparava a tacere. Egli era cosciente che in realtà non sapeva nulla di essenziale, e apriva quindi il suo cuore agli insegnamenti di Pitagora, in modo che essi diventassero attivi nel suo essere interiore.
Nella scuola di Pitagora tale atteggiamento di ascolto e di silenzio era espresso in modo simbolico: i novizi sedevano davanti a un sipario dietro il quale, invisibile a loro, Pitagora dispensava i suoi insegnamenti. In questo modo, era chiaro a tutti che l’allievo non poteva sperimentare direttamente il mondo divino. Un sipario, un velo doveva prima essere tolto. Detto in altre parole: gli organi sensoriali e la mente non erano gli strumenti adatti per osservare le relazioni e le forze del mondo divino. A tal fine, altri organi –spirituali – erano necessari e dovevano essere sviluppati.
Da allora è stata fatta una distinzione tra essoterico ed esoterico. Gli essoterici sono davanti ai Misteri, ma ne hanno soltanto sentito parlare. Gli esoterici, invece, sono già in possesso di un certo potere di percezione spirituale e sono nei Misteri: essi li sperimentano. In questa fase di silenzio del suo pubblico, gli insegnamenti di Pitagora toccavano argomenti teorici e pratici. La teoria consisteva nella descrizione della struttura della natura originale: la natura divina e quella dell’essere umano. Pitagora affermava: «L’origine dell’esistenza è Dio, un’entità che ricopre tre aspetti:
- una volontà creatrice onnipresente, possiamo chiamarla il Padre, lo Spirito;
- una sostanza primordiale realizzatrice, una sorta di materia ed energia che riceve la volontà del Padre: la Madre, l’anima del mondo;
- poi arriva il frutto della collaborazione tra questi due aspetti, che si riflettono uno nell’altro: la Luce, il Figlio, la coscienza.
- da questi tre aspetti del divino sorgono creature, emanazioni, pensieri; microcosmi a immagine del macrocosmo: noi stessi come entità eterne».
In questa visione, all’origine della vita vi è una tetrade e un macrocosmo nel suo sviluppo. Questa non è solo una meccanica celeste guidata dalla causalità o il risultato di una possibilità dopo il big bang. Pitagora – è una caratteristica del suo pensiero – vedeva, nell’universo divino e nell’universo spazio-temporale, dei rapporti armonici in relazione ai numeri. Una delle sue espressioni era: «Tutto è numero». Per lui, il numero comprendeva non solo un concetto quantitativo, ma rappresentava anche una qualità. La fonte originale è indicata dal numero uno, Dio, l’unità che tutto abbraccia. Fin dall’inizio, egli è bipolare: il Padre, la Madre – il due.
È interessante notare che il due non è la somma di due unità, ma la divisione dell’Uno da cui nasce una nuova qualità: la polarità. La dinamica tra i due poli crea il Figlio, il tre, che è ancora una divisione armonica dell’Uno. E da questi tre procede una nuova creazione: il microcosmo, il quattro.
1 + 2 + 3 + 4 = 10. È la famosa Tetraktys di Pitagora, la tetrade, che può essere paragonata alla ottava superiore dell’Uno.
Una lunga e profonda meditazione su questo schema portava il discepolo a scoprire che esso conteneva non solo una descrizione del macrocosmo, ma anche di se stesso come microcosmo. Il Padre era attivo in lui, come Dioniso, come volontà divina inconscia o, si potrebbe dire, come scintilla di spirito. In lui, la Madre, la divinità femminile, l’anima in uno stato di sostanza divina primordiale, materia-energia ancora indifferenziata, riceveva lo Spirito. L’unione del Padre e della Madre generava il figlio, Dioniso Zagreo, la nuova luce della coscienza, l’illuminazione. Sulla base di questi primi tre elementi, il suo essere aveva la possibilità di produrre un’opera immortale: il quarto elemento della tetrade.
Al tempo stesso, il discepolo scopriva che la sua forma attuale non era più questa perfetta tetrade. In effetti, la scintilla di spirito, il Padre in noi, è quasi mai attiva. La Madre, la nostra anima originale, è sommersa dalle passioni e dai coinvolgimenti nel groviglio delle apparenze transitorie. La conseguenza è che non vi è più spazio per accogliere lo Spirito. E cosa è successo alla nostra coscienza, il Figlio?
La nostra personalità dovrebbe essere l’espressione immortale della volontà divina, un’anima divina pura, un vero Sé e, come dice la Bibbia, l’immagine di Dio. Tuttavia, al suo posto si è sviluppata una personalità mortale dall’orizzonte molto limitato; e ci si sente soli, disconnessi, persi nello spazio-tempo che ci è straniero. Ciò che essa crea, il quarto elemento, è molto imperfetto: guerre, malattie, relazioni sociali caotiche, deviazioni psicologiche… il bene e il bello stessi sono effimeri, invariabilmente annientati, come sappiamo. Siamo incatenati al mondo dei Titani, simboli di innumerevoli passioni, desideri, interessi e illusioni, ed è per questo che la divinità, l’Uno, è frammentata in noi.
Quando iniziava il suo cammino, l’allievo di Pitagora avrebbe voluto porre fine a questa spiacevole situazione. Che cosa poteva fare? Fare spazio all’anima, in modo che la Madre potesse ritornare alla sua purezza originaria onde poter ricevere coscientemente lo Spirito, il Padre ridivenuto Uno. Poi, una personalità immortale, il suo vero Sé, poteva sorgere da queste due unità, e creare le sue opere insieme con il Padre-Madre.
Articolo tratto dalla rivista Pentagramma – Edizioni Lectorium Rosicrucianum
Scuola Internazionale della Rosacroce d’Oro
https://www.lectoriumrosicrucianum.it/
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