Nel 1919 Miguel Asin Palacios pubblicò un libro che fece scandalo e che fu considerato un terremoto letterario.
Il titolo completo del testo originale, scritto dello spagnolo Miguel Asin Palacios, è: “L’escastologia islamica nella Divina Commedia”.
Nel 1919 veniva pubblicato un saggio piuttosto corposo che metteva in discussione l’originalità dell’impianto strutturale della Divina Commedia.
I critici del tempo si scatenarono in feroci critiche, escludendo senza mezzi termini che Dante avesse potuto essersi ispirato a delle fonti islamiche.
Oggi non ci sembra di scorgere nulla di male in tale ipotesi, anzi significherebbe che la cultura di Dante comprendesse e contemplasse anche le tesi esposte nei testi arabi.
Come vedremo in un prossimo articolo, esistono alcune differenze legate a interpretazioni differenti dei testi originali, differenze che esprimono una indiscussa e originale creatività del nostro Poeta.
Quando, nel 1919, venne pubblicato i testo di Palacios non era ancora a disposizione una traduzione del “Libro della Scala”, il testo arabo che narra dell’ascensione di Maometto al Regno di Dio.
Nella seconda metà del XIII sec. re Alfonso di Castiglia fece tradurre da un sapiente medico ebreo, Abraham Alfaquim, una delle versioni in lingua araba di un Kitab al-miraj, che circolavano in Andalusia.
Sucessivamente il notaio Bonaventura da Siena, in Castiglia, produsse una traduzione in lingua latina (Liber Scalae Machometi), nonché un’altra in francese.
Lo studioso Prof Enrico Cerulli sostiene che Dante avrebbe potuto tranquillamente studiare le traduzioni del Bonaventura e trarre ispirazione sia per gli aspetti topografici che per la Legge del Contrappasso, presenti nella Divina Commedia.
L’ipotesi “eretica” esposta da Palacios nel 1919, trovò conferma nel 1944, in uno studio di Ugo Monneret de Villard su un testo di San Pedro Pascual (1229-1301), presente in un codice dell’Escurial di Madrid.
“Nel testo in questione, Maometto è destato nel suo letto alla Mecca dall’angelo Gabriele, è fatto montare sul destriero alato Buraq, condotto a Gerusalemme, e di qui fatto ascendere in cielo per la fulgida “scala” (mi’ raj) che dà nome al libro.
Egli vede l’angelo della morte, un altro in forma di gallo, un terzo metà di fuoco e metà di neve, e attraversa i sette cieli incontrando in ognuno un profeta, fino al trono di Dio; visita quindi il Paradiso con le sue delizie di natura e d’amore, e riceve da Dio il Corano, con i precetti delle orazioni quotidiane e del digiuno.
Passato poi all’Inferno, ne percorre le sette terre, e ne contempla i diversi tormenti, ascoltando da Gabriele le spiegazioni sul giorno del giudizio e la prova del ponte as-S?irat. Tornato infine sulla terra, tenta invano di convincere i suoi concittadini della Mecca (Meccani) sulla verità della sua visione, che per suo invito trascrivono e autenticano i suoi fidi Abu Bekr e Ibn Abbas”.
Particolare di grande interesse è che ognuno dei sette Cieli è presidiato da un profeta:
- Primo Cielo Profeta Adamo.
- Secondo Cielo Profeta Giovanni Battista e Gesù.
- Terzo Cielo Profeta Giuseppe.
- Quarto Cielo Profeta Enoch.
- Quinto Cielo Profeta Aronne.
- Sesto Cielo Profeta Mosé.
- Settimo Cielo Profeta Abramo.
http://it.wikipedia.org/wiki/Isra’_e_Mi’raj
Durante un suo noto intervento Umberto Eco ci ricordò che:
“È ormai assodata l’influenza di molte fonti musulmane sull’autore della Divina Commedia. Ma oggi, turbati dalla violenza fondamentalista, tendiamo a dimenticare i rapporti profondi tra la cultura araba e quella occidentale…
… Nel 1919 Miguel Asín Palacios pubblicava un libro (“La escatologia musulmana en la Divina Comedia”) che aveva fatto subito molto rumore.
In centinaia di pagine identificava analogie impressionanti tra il testo dantesco e vari testi della tradizione islamica, in particolare le varie versioni del viaggio notturno di Maometto all’inferno e al paradiso.
Specie in Italia ne era nata una polemica tra sostenitori di quella ricerca e difensori dell’originalità di Dante. Si stava per celebrare il sesto centenario della morte del più “italiano” dei poeti, e inoltre il mondo islamico era guardato piuttosto dall’alto al basso in un clima di ambizioni coloniali e “civilizzatrici”: come si poteva pensare che il genio italico fosse debitore delle tradizioni di “extracomunitari” straccioni?… “
Umberto Eco, come Enrico Cerulli, afferma che Dante avrebbe potuto conoscere il contenuto del testo arabo:
“Poteva conoscere Dante questa storia del viaggio nell’oltretomba del Profeta? Poteva averne avuto notizia attraverso Brunetto Latini, suo maestro, e la versione latina del testo era contenuta in una “Collectio toledana”, dove Pietro il Venerabile, abate di Cluny, aveva fatto raccogliere testi arabi filosofici e scientifici – tutto questo prima della nascita di Dante”.
Ritornando al testo arabo ricapitoliamo alcuni concetti per cogliere le differenze/analogie con il viaggio dantesco.
Maometto viene svegliato presso la Mecca dall’angelo Gabriele e inizia quello che viene definito “Il viaggio notturno del Profeta Maometto”.
L’arcangelo Gabriele condurrà Maometto ad attraversare il Paradiso per raggiungere Dio dopo aver percorso sette Cieli, per poi giungere all’Inferno, che nella visione maomettana si estende per sette terre.
In questa versione dell’oltretomba islamico, dunque, manca il Purgatorio. L’aldilà è diviso solamente in due regni.
Il viaggio di Dante, come tutti sanno, inizia nell’ inferno e si conclude nel Paradiso con la visione di Dio.
Nel Viaggio di Maometto, il percorso procede all’inverso: il Profeta sale al Paradiso, dove incontra diversi profeti appartenenti alla tradizione ebraica, quindi scende negli Inferi.
Un fatto curioso è che il Purgatorio è stato introdotto verso la fine del XII secolo mentre la relativa dottrina venne definita dal secondo Concilio di Lione del 1274, da quello di Firenze del 1438 e infine ribadita nel concilio di Trento, nel 1563.
Dante ha quindi ripreso i canoni del Concilio di Lione per descrivere un “Luogo“, relativamente recente, che gli arabi non avevano sicuramente ipotizzato.
Un alto fatto, ancora più curioso, è che vi sono molte narrazioni di famosissimi mistici di ambo i sessi che descrivono le proprie visioni delle anime del Purgatorio, uno tra tutti è San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), la terza e ultima guida di Dante, che con il suo noto “Elogio della nuova cavalleria” (De laude novae militiae ad Milites Templi), ispirò papa Onorio II a formulare la Regola dei Templari.
Nel prossimo articolo entreremo nel merito delle descrizioni infernali, confrontando la visione dantesca con quella araba.
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