Le due visioni
instein era un convinto determinista, una sorta di ponte tra due nuove visioni di una Fisica che stava cambiando pelle.
La Teoria della Relatività aveva sostituito il concetto di Gravità con quello di curvatura spazio-temporale, determinato dalla massa di un corpo. La Terra ruotava intorno al Sole non perché fosse da questi attratta ma perché l’immensa massa solare agiva sullo spazio deformandolo e trasformandolo in una sorta di imbuto con il Sole al centro e la Terra sul bordo che percorre ruotando intorno alla stella.
La Fisica di Galileo e di Newton stava entrando in una fase puramente storica, diventando testimonianza di un tempo che non apparteneva più alla reale concezione del mondo. Tuttavia il determinismo sembrava essere ancora salvo.
Il convegno che propose l’interpretazione più eretica della Fisica si svolse a Copenaghen nel 1927 e vide come protagonisti due autentici geni della Fisica Quantistica: il danese Niels Bohr e il tedesco Werner Heisenberg .
La sconcertante conclusione dell’inter-pretazione di Copenaghen fu la seguente:
se prendiamo, come esempio, il lancio di un dado, secondo la Fisica Classica noi saremmo in grado, conoscendo l’altezza da cui viene lanciato il dado, la velocità, l’angolo d’inclinazione e tutte le altre possibili variabili, di calcolare il risultato, cioè conoscere a priori quale faccia del dado si poserà sul tavolo: si tratta solo di prevedibili leggi meccaniche.
Per contro l’interpretazione di Copenaghen sostiene che in meccanica quantistica i risultati delle misurazioni di variabili coniugate sono fondamentalmente non deterministici, ossia che anche conoscendo tutti i dati iniziali non sia possibile prevedere il risultato di un singolo esperimento.
In pratica pur avendo tutti i dati possibili non siamo in grado di sapere se, ad esempio un fotone, durante particolari esperimenti, si comporterà come un’onda o come una particella.
Estrapolando da questo contesto unicamente questa ultima affermazione, si potrebbe concludere che in Fisica Quantistica valga un Principio di Indeterminazione in grado di sconvolgere, con le proprie gravi conseguenze, i precedenti paradigmi deterministici.
Tornando alle posizioni deterministiche Einstein nel 1926, rispondendo al fisico tedesco Max Born, uno dei padri della Fisica Quantistica, scrisse:
“La teoria funziona, ma difficilmente ci si avvicina al segreto del Grande Vecchio e comunque sono convinto che Lui non giochi a dadi”.
Born sosteneva: “Il cuore della nuova teoria della meccanica quantistica, palpita in modo casuale e incerto, come se soffrisse di aritmia. Mentre la fisica prima dei quanti consisteva nel fare questo per ottenere quello, la nuova meccanica quantistica sembrava dire che quando facciamo questo, si ottiene quello solo in base a una certa probabilità. E in alcune circostanze potremmo ottenere altro.”
Albert Einstein nel 1927, al congresso di Solvay, affermò che Dio non gioca a dadi. Si espresse in questo modo per contestare i nascenti postulati della Fisica quantistica che mettevano in discussione la validità di alcuni aspetti della Fisica classica.
Neils Bohr, presente al convegno, gli avrebbe risposto: « Einstein, smettila di dire a Dio cosa deve fare! ».
In seguito, lo stesso Bohr, aggiunse: « Da parte sua, Einstein ci chiese scherzando se potevamo credere effettivamente che la Provvidenza divina fosse ricorsa al “giuoco dei dadi”, al che io replicai antichi facendo osservare che già gli pensatori avevano ammonito di essere molto cauti nel definire gli attributi della Provvidenza col linguaggio comune .» Anche Werner Karl Heisenberg, presente in quell’occasione, ricorda la battuta: « Al che Bohr poté soltanto rispondere: “Ma non tocca a noi dire a Dio come deve far andare il mondo. “»
Einstein, come si è detto, accettava con reticenza i nuovi aspetti di un mondo disegnato secondo altre regole. Un mondo che non si spiegava intuitivamente, che sembrava contraddire le fondamenta sulle quali poggiava tutto il castello costruito pietra su pietra da fisici illustri come Galileo, Newton, e tutti coloro che non si erano ancora misurati con quelle bizzarre finestre aperte sulla Meccanica quantistica.
Una Fisica controintuitiva era quanto di peggio, o di meglio ci si potesse attendere dalla Scienza.
Un esempio di concetto stravagante descritto dalla Fisica quantistica venne fornito dall’entanglement. Letteralmente intreccio, ingarbugliamento o identificazione quantistica.
“Entanglement” (in inglese, “groviglio”, “intreccio”) è un termine coniato da Erwin Schrödinger nel 1935 e in meccanica quantistica indica una relazione fra particelle.
È definita da una funzione matematica, che mette in relazione le proprietà delle particelle come fossero un unico oggetto. Il fatto straordinario è che la relazione è indipendente dalla distanza tra le due particelle, ed è influente lo spazio che le divide.
Il fatto più sconcertante è che le due particelle sembrerebbero influenzare una vicenda, comunicando il proprio stato ad una velocità superiore a quella della luce. Questo fenomeno entrerebbe in contrasto con la Teoria della relatività che fissa nella velocità della luce nel vuoto, il limite massimo raggiungibile.
Questa grande e sconcertante osservazione creò una crisi fortissima nel mondo dei fisici degli anni ’30.
Una prima corrente di pensiero fu guidata da Niels Bohr, il grande pioniere della meccanica quantistica. Questa corrente proponeva un concetto assolutamente incredibile: veniva affermato che le particelle nascessero quando osservate e che solo la loro funzione d’onda del sistema fosse reale prima dell’osservazione.
In altre parole affermava che le particelle si manifestassero come tali solamente quando, in fase di esperimento, erano osservate dagli studiosi.
L’unico fatto veramente reale e osservabile era la Funzione d’onda, ovvero un complesso valore matematico ottenuto risolvendo l’equazione di Schrödinger della particella.
Si oppone fermamente a questa visione tre scienziati di grande fama: Albert Einstein, Boris Podolsky e Nathan Rosen. Gli studiosi erano convinti che le particelle nascessero già con le loro caratteristiche ( realismo locale ), in quanto la relatività, come accennato, aveva dimostrato che nessuna informazione poteva trasmettersi istantaneamente, viaggiando più veloce della luce.
L’entanglement, definibile come un fenomeno istantaneo, doveva quindi essere soggetto delle variabili nascoste, a noi sconosciute, le quali avrebbero definito le qualità intrinseche delle particelle prima ancora di effettuare l’osservazione.
Dalle iniziali dei nomi dei tre scienziati, Einstein, Podolsky e Rosen, venne formulato il Paradosso EPR .
La vexata quaestio prese la forma di una vera e propria guerra di intelletti, tuttavia mancavano ancora le tecnologie per dirigere i fatti ed assegnare la palma di vincitore a una delle due fazioni.
Dovremo attendere fino al 1964 quando il matematico John Bell identificò un metodo basato sulle probabilità, chiamato Teorema di Bell. L’oggetto della discussione era comprendere se lo stato quantico delle due particelle correlate tra loro definito “entangled”, fosse tale fin dall’inizio (seguendo l’idea di Einstein, Podolsky e Rosen) o se si rendesse noto solo al momento dell’ osservazione (come nell’ipotesi di Bohr).
A causa di difficoltà tecnologiche, per riuscire a verificare sperimentalmente il teorema di Bell si dovette aspettare fino al 1982, quando Alain Aspect misurò il comportamento di fotoni entangled e validò la teoria di Bohr.
Einstein aveva quindi torto.
Fintantoché le due particelle non vengono osservate, le loro “qualità” rimangono indefinite, ovvero entrambe le particelle, ad esempio, hanno al tempo stesso spin positivo e negativo, secondo il principio di sovrapposizione degli stati. È la sola presenza dell’osservatore ad interferire con il sistema ea calarlo nella “realtà”.
Quando la qualità di una particella cambia, istantaneamente cambia anche quella della sua compagna, indipendentemente dalla distanza tra le due.
Per quanto possa apparire strano o controintuitivo l’entanglement ci permette di conoscere istantaneamente il comportamento della seconda particella, senza assumere per vero che le informazioni tra le particelle viaggino ad una velocità maggiore di quella della luce, ma perché le due particelle fanno parte di un unico campo quantistico.
Una causa esterna come la presenza di un osservatore non altera solo il comportamento della prima particella, ma influenza tutto il sistema, e di conseguenza definisce lo stato quantistico anche della seconda.
Facendo un salto concettuale che ci permetterà in futuro di comprendere meglio il nuovo Paradigma proposto da Federico Faggin, potremmo ipotizzare che sia la coscienza dell’osservatore ad intervenire nell’esperimento per trasformare uno stato di sovraesposizione di due situazioni in una forma di collasso in grado di rivelare la qualità corpuscolare di una determinata particella.
Ben si comprende quale possa essere la portata di una tale concezione e di quanto possa cambiare la visione del mondo introducendo i nuovi concetti della Fisica Quantistica.
Mi rendo conto di aver semplificato in modo imprudente concetti e studi che meriterebbero l’appoggio di formule e dimostrazioni ben più serie e confortanti, ma lo scopo è solamente quello di puntualizzare che la Scienza sta assumendo un volto nuovo, addentrandosi in territori sconosciuti e forse per qualcuno addirittura inquietanti.
Per confermare l’importanza di questi studi aggiungerò che i tre scienziati che hanno vinto il Nobel per la Fisica del 2022: Alain Aspect, John Clauser e Anton Zeilinger sono i fisici sperimentali che hanno dimostrato l’esistenza dell’entanglement.
Ogni commento sarà gradito.
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