Il 22 maggio si celebra la festa della “Santa degli Impossibili”
«Un santuario Parrocchia dedicato a Santa Rita da Cascia sarà eretto in Torino
perché anche in Torino la Santa degli Impossibili abbia degna glorificazione,
per dare assistenza religiosa a una vastissima zona di Torino, deserta di chiese,
perché Santa Rita moltiplichi le grazie e le consolazioni ai suoi devoti».
(dal Bollettino n. 2 del marzo 1926)
Il 22 maggio 1457 muore Santa Rita da Cascia; a Torino vi è un luogo caro a molte persone: il Santuario che prende il nome dalla “Santa degli Impossibili”. Andiamo a ritroso nel tempo, in cerca della storia di questo luogo sacro torinese.
Nel 1916, nel pieno svolgimento della Prima Guerra Mondiale, don Giovanni Baloire è un giovane sacerdote in divisa che viene a contatto con la zona della Barriera di Orbassano (prima del Concordato del 1929, anche i religiosi espletavano il servizio militare di leva). In quell’anno egli si prepara, presso l’Ospedale Militare di Torino accasermato alla scuola Mazzini, a partire per il Carso come aiutante di sanità; conosce, in questo modo, i dintorni dell’ospedale e la precaria assistenza religiosa degli abitanti delle cascine e delle case operaie del territorio.
Nel 1919, congedato, è nominato vice curato nella parrocchia di San Secondo, che contiene un altare dedicato a Santa Rita, presso il quale si raccoglie la Compagnia dei Divoti di Santa Rita. Don Baloire studia la vita di questa donna, a partire dalla santità accesa e visionaria, ed i segni straordinari che ne accompagnano da secoli una radicata devozione.
Sei anni dopo, nella primavera del 1925, torna sui luoghi della sua preparazione militare si spinge oltre la vecchia barriera daziaria di Orbassano: nasce quel giorno il suo proposito di erigervi una chiesa, dedicandola alla Santa degli Impossibili.
Tra i suoi appunti troviamo la descrizione del territorio a quell’epoca.
«A sud ovest della città di Torino, alla periferia, si estendeva una vastissima zona profonda 5 chilometri e larga quasi altrettanto, dipendente dalle lontane parrocchie della Crocetta e del Lingotto. Un gruppo di case popolari isolate in corso Sebastopoli angolo via Tripoli, la scuola elementare Giuseppe Mazzini, l’Ospedale Militare, alcune caserme e poi la campagna verde sconfinata disseminata di piccole abitazioni, vera terra di missione. Ma era facile prevedere che ultimato l’interramento della ferrovia di Genova e di Francia, lo sviluppo della città sarebbe straripato, avrebbe inondato tale zona di costruzioni. Conoscevo bene il posto, che prima della guerra mi aveva visto in grigioverde nella 1a Compagnia di Sanità nell’Ospedale Militare. Mi fu facile un buon orientamento ed una scelta conveniente.
Accenno a un solo fatto. Nelle due case operaie di corso Sebastopoli, immensi alveari umani, sono 313 famiglie, con 1200 persone: ora quelle case sono lontane dalla parrocchia della Crocetta e dalla parrocchia del Lingotto 2100 metri, quanto dista la stazione di Porta Nuova dalla stazione della Cirié – Lanzo. Per quanto si moltiplichi lo zelo instancabile di dette parrocchie, è evidente la condizione difficile di tale regione, e la necessità di farvi sorgere una chiesa parrocchiale: Santa Rita stenderà su quella popolazione il suo manto di celeste protezione. Migliaia di fanciulli ed adulti vivendo in una grande lontananza dalle chiese solo con grande difficoltà e buona volontà possono adempiere i loro doveri cristiani».
Con l’appoggio e l’incoraggiamento di Monsignor Giovanni Battista Pinardi, parroco della chiesa di San Secondo, il sostegno e il sostanzioso aiuto dei devoti della Compagnia, avvia i preparativi per il suo progetto. La realizzazione della chiesa è legata al movimento di persone che il teologo Pinardi ha saputo far sorgere ed animare: le “zelatrici” e le “collettrici” si adoperano per sensibilizzare i fedeli e per raccogliere offerte, che arriveranno da ogni dove. Dal canto suo, don Baloire tiene informati i devoti della Compagnia di tutte le attività e delle iniziative relative alla costruzione del santuario attraverso il bollettino “Gli esempi e le grazie di Santa Rita da Cascia”, sul quale appaiono fin dai primi numeri lunghi elenchi di offerenti, oltre a notizie sulla vita del nascente santuario.
La fantasia e l’iniziativa per raccogliere fondi si esprime in molti modi: si organizza una serata di beneficenza con proiezione della vita di Santa Rita, voluta dalle donne di Azione Cattolica della Crocetta nel giugno del 1926; una grandiosa lotteria con il primo premio offerto dal Cardinale Arcivescovo Giuseppe Gamba (consistente in una macchina per scrivere Remington) nel 1927. L’anno successivo si tiene un banco di beneficenza, iniziativa che sarà ripetuta in seguito per una decina d’anni, sempre in occasione della festa patronale.
Ottenute le necessarie autorizzazioni, il 17 luglio 1926 don Baloire firma il contratto con il Municipio di Torino per l’acquisto dei primi 5.000 metri quadrati di terreno, da pagarsi in cinque anni. Quest’area verrà in seguito aumentata fino a diecimila metri quadrati con altri due contratti, nel 1928 e nel 1938. Il terreno acquistato era posto all’incrocio di una fitta rete di strade, prospiciente la grande piazza di circa dodicimila metri quadrati già ombreggiata da una doppia fila di platani che il Conte Luigi Balbo Bertone di Sambuy, Podestà di Torino, con delibera datata 11 aprile 1928, intitola a Santa Rita da Cascia. Trovato il terreno, serve un architetto che sappia creare un “tempio monumento bello per l’arte e raccolto per la preghiera”. La scelta cade su Giulio Valotti, sacerdote salesiano, che ha progettato la chiesa di Gesù Adolescente in Torino ed il Santuario del Selvaggio a Giaveno, oltre a numerosi istituti salesiani in Italia, oltre all’ampliamento della Basilica di Maria Ausiliatrice e dell’Oratorio di Valdocco. A questo punto, don Baloire è in grado di presentare, sul bollettino del gennaio 1927, il primo disegno della facciata e la planimetria della futura chiesa (che verranno leggermente modificati durante la costruzione).
Dopo la sua morte, si allestirà sotto il presbiterio una cripta per dargli sepoltura, ove le sue spoglie arriveranno il 31 marzo 1963.
Perché Santa Rita è la Santa delle Rose?
Durante l’ultima malattia di Rita (nata Margherita Lotti, nel 1381) una cugina, discesa dalla natia Roccaporena al convento agostiniano di Cascia, prima di riprendere la via del ritorno, le domanda: “Hai qualche incarico per la nostra borgata?”. “Sì”, risponde lei. “Passando davanti all’orto di casa mia, entra, vai al rosaio, raccoglimi una rosa e portamela”. La parente, guardando la neve che copre il suolo, pensa ad un delirio febbrile, ma non la contraddice e promette. Arrivata alla borgata, si reca all’orto di Rita e alza lo sguardo verso il rosaio: sul candore della neve, spunta un tralcio verde sormontato da una rosa rossa. La cugina ritorna subito da Rita, che riceve con un sorriso di gioia e di riconoscenza la rosa del miracolo.
Anche il desiderio di Rita di avere una rosa, e la fioritura miracolosa, si ricordano il 22 maggio. Presso il Santuario, fin dai primi anni, la fioraia Vittoria Asinari, devozione della Santa, inizia ad offrire le sue rose ai pellegrini alle porte della chiesa, poi consegna il ricavato a don Baloire, come contributo per le spese del Santuario. Grazie a lei e ad alcune collaboratrici che l’aiutano, l’iniziativa si trasforma in una tradizione che ancora oggi impegna decine di volontari a preparare ed offrire le rose a quanti si recano al Santuario in pellegrinaggio e preghiera.
© 2024 CIVICO20NEWS – riproduzione riservata