La prima fondazione per i giovani torinesi è di don Giovanni Cocchi
Don Giovanni Cocchi nasce a Druento il 2 luglio 1813 e viene ordinato sacerdote a Torino nel 1836. Divenuto vicecurato nella parrocchia della SS. Annunziata, in via Po, all’epoca unica parrocchia anche per il Borgo di Vanchiglia, si distingue per la sua attenzione ai poveri, agli ammalati e agli orfani di quella zona di Torino. Nel 1839 decide di farsi missionario e va a Roma per mettersi a disposizione della Congregazione di Propaganda Fide, disponibile ad essere inviato in qualunque terra di missione. Durante la sua permanenza a Roma, la domenica si reca in un “oratorio pei giovanetti di civil condizione, diretto da uno zelante sacerdote, nei pressi della Bocca della Verità; s’invaghì allora di quella istituzione, dolendosi che nulla di simile si avesse in Torino, e poiché, meglio consigliato, si persuase che a Torino erano le sue Indie, propose di fondare, tornando in patria, un Oratorio. Vi tornò infatti nel principio di dicembre [1839] [e …] non tardò a porre in esecuzione quanto aveva deliberato in Roma; m a anziché provvedere ai giovanetti di civil condizione, […] rivolse il suo animo ai più poveri, ai più derelitti fanciulli gironzavano scioperati e senza istruzione alcuna per le vie e per le piazze” (1).
1 fanciulli e i ragazzi che “gironzavano scioperati e senza istruzione” erano principalmente quelli della sua parrocchia della SS. Annunziata, che aveva giurisdizione su una vasta zona in quella che allora era la periferia nord della città, della quale le Memorie biografiche di don Bosco presentano una descrizione a tinte forti.
“Il vecchio borgo di Vanchiglia col suo nucleo di catapecchie le cui mura screpolate ed annerite dal tempo minacciavano di crollare ad ogni istante, era come la fortezza di uomini nemici dell’ordine, avidi della roba altrui, spinti da un feroce istinto al male, pronti a fatti di sangue. Là erano confinati il delitto, la miseria e il mercato del vizio. Là era nata, là si ramificò, là divenne grande e temuta la Cocca[…]. Vanchiglia era luogo in cui nessuno all’imbrunire volgeva il piede. Nemmeno le guardie osavano affrontare quelle fitte schiere di malfattori. Come un castello cui fosse stato alzato il ponte levatoio, a nessuno nella notte era dato libero il passo, se non apparteneva alla Cocca” (2).
E ancora: “Per smania di guerra si erano formate fra il basso popolo e in ogni borgo della città le Associazioni della Gioventù, chiamate in dialetto cocche; vi era la Cocca di Vanchiglia, quella di Portanuova, di Borgo Dora e via dicendo. Queste erano suddivise in frazioni più o meno numerose, e ora comparivano quale piccola squadra ed ora come un intero battaglione. Tenevano i loro assembramenti ed avevano i loro capi.
Ognuna di queste cocche era in guerra dichiarata contro le altre; e continue erano le risse e le battaglie a sassate o per ispirito di malvagia brutalità, o per offese che avesse ricevute dagli avversari un loro compagno, o anche per una sfida colla quale un partito voleva accrescere i vanti delle sue prodezze. Erano lotte spaventose di cui ora nessuno può farsi un’idea, alle quali con una moltitudine di giovanetti prendevano parte i giovinastri più adulti. Non c ’era poi forza umana che valesse a tenerli in freno. Né i carabinieri, né le guardie di pubblica sicurezza potevano più nulla contro di loro e non osavano porsi in mezzo per separare i combattenti. Al primo loro comparire, se erano pochi, ecco un fischio convenzionale, e tutti i proiettili in un istante erano slanciati contro i custodi dell’ordine; se altri gendarmi sopraggiungevano più numerosi, ecco un secondo fischio, e quelle turbe feroci si disperdevano e si nascondevano; se le guardie si ritiravano, ad un terzo fischio i giovani ricomparivano e ricominciava la sassaiuola” (3).
Nel Borgo Vanchiglia, nella zona del Moschino, don Cocchi apre nel 1840 l’Oratorio dell’Angelo Custode, il primo sorto a Torino. Il Moschino era un sobborgo malsano, a causa dei canali e degli scoli d’acqua che defluivano verso il Po: sbarrava verso il fiume l’odierno corso San Maurizio, nell’attuale zona dei Murazzi. Era compreso tra le vie dei Pescatori (che per casuale coincidenza divenne poi via Matteo Pescatore), il lungo Po, la via degli Artisti e via Bava.
Dobbiamo ad Alberto Viriglio la descrizione più famosa di quel sobborgo: “Del Moschino è impossibile dire tutto il male che meritava. Ostruiva verso il Po l’odierno corso S. Maurizio, protendendosi in direzione della piazza Vittorio Emanuele con un’agglomerazione più di covili di belve che d’abitazioni umane, ricetto a banditi della peggior specie, nido di una cocca temuta, pericoloso di giorno ed inaccessibile di notte persino alla polizia che vi penetrava di rado e solo con formidabili armamenti. La via «maestra» aveva sintomaticamente nome di Contrà d’ le pules [via delle Pulci]. Raso al suolo nel 1872, disparve finalmente quel focolare di infezioni, covo di malviventi, disdoro della città e fomite di febbri perniciose, e Torino sentì come se le avessero spaccato un ascesso ed asportato un tumore” (4).
Don Reffo scrive che la prima sede dell’Oratorio fu “una casa del signor Ballesio, presso un’osteria, che dopo il 1852 fu detta dell’Eroico Vogherese; di là, l’anno seguente, nel 1841, l’Oratorio venne trasportato in Vanchiglia [,] più verso il centro, sotto una tettoia dell’orto dell’avvocato Bronzino, nel cui rustico cortile si eresse una cappella e si impiantò il teatrino e la ginnastica, che era allora per Torino un’istituzione al tutto nuova” (5).
Don Giovanni Cocchi, ingiustamente poco ricordato, è una figura nodale della santità sociale torinese ottocentesca. Oltre all’Oratorio dell’Angelo Custode, fonderà quello di San Martino, in Borgo Dora. A lui si devono le prime Colonie Agricole presso Moncucco e Rivoli, nel torinese; gli sarà affidata anche la cura spirituale dei Riformatori di Chieri (TO) e di Boscomarengo (AL). Per dare la misura del suo carisma, i suoi contemporanei torinesi parlavano dei “ragazzi di don Bosco” e dei “ragazzi di don Cocchi”.
La sua più grande opera rimangono gli Artigianelli. Il 15 ottobre 1849 don Cocchi diffonde un Avviso-Invito ai sacerdoti e ai giovani per fondare una Società rivolta ad assistere ed educare la gioventù. Sono gli inizi del Collegio Artigianelli (e dell’Associazione di carità che nasce nel 1850), da lui diretto fino al 1852. Dopo alcuni traslochi, nel marzo 1863 Il Collegio trova sistemazione nel palazzo di corso Palestro appositamente costruito, allo scopo era di accogliere, educare cristianamente ed addestrare nel lavoro i ragazzi orfani o comunque privi di mezzi economici, che imparavano un mestiere direttamente nelle botteghe artigiane per divenire calzolai, fabbri, falegnami. Da qui il nome “Artigianelli” voluto dallo stesso don Cocchi.
Bibliografia
Daniele Bolognini, Don Giovanni Cocchi fondatore degli Artigianelli, Velar, Gorle (BG), Elledici, Torino, 2013.
Note
(1) Don Eugenio Reffo, Don Cocchi e i suoi Artigianelli. Torino, Tip. S. Giuseppe degli Artigianelli 1896.
(2) MB III 561. Giovanni Battista Lemoyne, Memorie biografiche di don Giovanni Bosco. 9 voll. ed. extracommerciale. S. Benigno Canavese – Torino, 1898-1917 (dal vol. VI col titolo: Memorie biografiche del Venerabile Servo di Dio Don Giovanni Bosco).
(3) MB III 327, op. cit. La parola còca o cocca, oggi non più in uso, era un termine gergale piemontese per significare “banda, clan”. Si trattava di gruppi giovanili organizzati, dediti a “ripetute azioni violente e intimidatorie”. Cochin (cf il francese “coquin”), significava furfante, briccone. C’erano la Cocca del Gambero, quella di Po, del Ballone (Borgo Dora), del Moschino, di Santa Barbara.
(4) Alberto Viriglio, Torino e i Torinesi. Minuzie e memorie. Terza ed. integrale ed annotata a cura di Andrea Viglongo. Torino, Viglongo 1980, p. 149; la prima edizione è del 1898.
(5) Don Eugenio Reffo, op. cit.
Molto interessante!!!!! Non conoscevo don Cocchi merita una rivalutazione!!!!! Nella mia ignoranza collegavo gli Artigianelli a Don Murialdo.