Il Tyrrhenian link è l’ultimo, disperato ecomostro, icona bifronte della nostra confusa, progredita società civile?
“Muovendo da una premessa socioeconomica, secondo cui passato presente dovrebbero servire a prevedere il futuro, la drammatica involuzione degli assetti geopolitici ed economici globali dimostra che presente e passato servono sempre meno a prefigurare il futuro, poco prevedibile anche quando si tratta di un futuro ormai prossimo”.
Realtà anticipata da una definizione dell’economista Kenneth Galbright nel suo libro del 77: “L’era dell’incertezza”. Poco è cambiato nel frattempo.
Reminiscenze degli anni 80, quando iniziai ad occuparmi di questioni, collegate alla dipendenza europea, da quelle energie primarie di origine fossile a basso costo, all’origine dei tanti squilibri che, da quegli anni, hanno accompagnato la storia del mondo.
Molto si sarebbe potuto fare con una corretta integrazione di tecnologie per energia rinnovabile, unitamente a un intelligente impiego della stessa, a una politica rivolta al rispetto del territorio, a una attenta urbanizzazione e molte altre cose. Non si è pensato al futuro, non allora.
Dalle crisi energetiche degli anni 70 risalenti alla guerra dei Kippur, a un crescente riproporsi di un confronto economico tra i giacimenti dei deserti arabi e la fame di petrolio e metano, sempre crescente nella nostra occidentale civiltà, il futuro è cambiato lentamente.
Ogni volta si è alzata l’asticella della necessità, in concorso con una crescente sudditanza energetica, e poi… 2022-2024: eccoci qua, europei privi del gas russo a basso costo e alle prese col riscaldamento globale, in cerca di quella transizione energetica che chiamava attenzione da un passato prossimo messo dietro la lavagna a meditare.
Nel 1992 a Rio de Janeiro si è tenuta la prima COP, la Conferenza sull’Ambiente e sullo Sviluppo più nota come “Summit della Terra”, dove si sono confrontati 172 Paesi sui maggiori problemi di un futuro da prefigurare.
Importante è stata l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, sottoscritta nel 2015 da 193 Paesi dell’Onu, allo scopo di ribadire l’impegno a garantire un presente e un futuro a noi e al nostro Pianeta.
Durante la COP 28 tenuta a Parigi nel 2023, 198 Paesi hanno stilato bilanci e progressi compiuti verso il riscaldamento globale, stabilendo ulteriori obiettivi climatici, ma difficili da mettere in atto in un clima crescente di guerra fredda.
Nel frattempo in Italia, oggi un terzo dell’energia elettrica prodotta proviene da fonti green: l’idroelettrica è sempre dominante, seguono il fotovoltaico, le bioenergie, l’eolico e il geotermico. Dunque, l’Italia è il terzo produttore di energia elettrica tramite fonti rinnovabili in Europa, spinta in ritardo e da un’etica che tende a quella transizione verso fonti energetiche rinnovabili dettata da decisioni economiche e politiche europee dalle fondamenta sbagliate.
Infatti, anziché contenere l’impiego e quindi la richiesta dell’energia elettrica indispensabile per le attività salienti, quest’ultima deve soddisfare una serie di potenzialità aggiunte, secondarie e pur remunerative per un centralismo produttivo dominante (ad esempio: Enel). Tutto questo inserito in un mercato competitivo quanto dettato da interessi economici globali che sono all’origine dello spreco e danni ambientali.
Un esempio per tutti: per illuminare una partita allo stadio San Siro occorrono 25.000 kWh, più di 10 volte il consumo annuo di una famiglia media. Fino a pochi decenni or sono, il calcio non offriva meno emozioni alla domenica pomeriggio, anzi! Eppure è un business costoso, un tempo piacevolmente radiofonico, oggi spietatamente televisivo, che vale circa altri 6kWh di energia per chi si guarda la partita e relativi, infiniti commenti da casa… moltiplicato tutti gli altri avvenimenti che nel tempo sono stati demandati in notturna…
Ecco dunque, da parte delle multinazionali la necessità di grandi superfici produttive, in molti casi sottratte anche con metodi subdoli a un’agricoltura in sofferenza, proponendo contratti di affitto e co-produzione energetica & agricola, spesse volte penalizzanti.
A questo va aggiunto un effettivo impatto sul territorio, sull’ambiente e sul paesaggio che alcune distese, soprattutto fotovoltaiche, più che eoliche, stanno pesando su certi comparti regionali, non solo in Sardegna o in altri ambiti del sud Italia. Le stesse problematiche sono oggetto di valutazione anche in molte zone agricole della pianura padana, triangolo del riso e zone delle Langhe incluse.
Le proteste in Sardegna, sono legate a numerosi fattori. La Sardegna produce già il 40% delle proprie necessità dalle rinnovabili. La questione è: dove sarebbe diretto il rimanente di un eccessivo aumento di nuovi parchi eolici e fotovoltaici?
Una domanda dai molteplici aspetti che qui andrebbe rimandata a un convegno non solo di scienziati, di economisti e di politici, ma anche di esperti agricoltori, di intuitivi teorici e di intellettuali attenti a quegli effetti domino che smantellano la logica, la natura e l’etica di molte cose che, per effetto farfalla ne moltiplicano altre.
Nella fattispecie, in Sardegna, le richieste di nuovi impianti presentate dal Gestore Nazionale, al 31 marzo 2024 erano 524 per parchi fotovoltaici capaci di quasi 23 GW, 254 richieste per parchi eolici installati a terra e capaci di 16,86 GW, e infine, 31 richieste di impianti da fonte eolica costruiti a mare, per 17,82 GW (soluzione quest’ultima molto apprezzata nei paesi del Nord Europa).
Il totale di 57,67 GW significa una produzione quasi 30 volte gli impianti esistenti in Sardegna fino al 2021, prima dell’emergenza della guerra in Ucraina, che fornivano una potenza complessiva di 1,93 GW.
Per voce di Alessandra Todde, presidente della regione, le opposizioni al progetto, hanno presentato un esposto contro quell’eccesso di energia “pulita-insostenibile” (per molteplici aspetti), che oltretutto non potrebbe esser consumata sull’isola e neppure immagazzinata, ma solo indirizzata verso il verso l’Europa attraverso il Tyrrhenian Link (progetto Terna).
Si tratta di un triplo cavo sottomarino per il trasporto dell’energia elettrica prodotta in Sardegna e in Sicilia, verso il continente. Un impianto in linea con la transizione energetica di stampo europeo, elaborato dal Piano Nazionale Integrato Energia & Clima.
Da un punto di vista ambientalista, l’opposizione all’incremento della rinnovabile sarda è un ossimoro bifronte. Dal lato più logico e motivato, il progetto è un’opera distruttiva per l’ambiente, e che fa di conto solo alle multinazionali del business. D’altro lato invece, la Sardegna rischia di rimanere in ritardo con il futuro, con quella transizione energetica scaturita da plurimi accordi europei, e non solo.
L’obiettivo dell’opposizione, è comunque ragionevole e malleabile. Nel suo voler frenare la modifica irreversibile del territorio sardo, intende riesaminare le zone e le regole, per negoziare con lo Stato la mappa delle aree idonee e stabilire la quantità più logica di impianti da destinare al Tyrrhenian Link.…
…E se noi, nottambuli consumatori di “luci della città”, si prendesse l’abitudine di non voler vedere più il calcio in notturna, e non solo? Certe decisioni volte al futuro possono anche nascere al presente e partendo dal basso!
Io preferirei lasciare le terre coltivabili agli agricoltori, anziché lasciare che le multinazionali, con i loro soldi ed interessi, si approprino di esse facendone scempio con enormi aree destinate al fotovoltaico o peggio, all’eolico. I nostri orizzonti sono cambiati ovunque, si vedono questo orrori, che anche Sgarbi tempo fa denuncio’, che rovinano le nostre campagne e paesaggi. Non dimenticando che basterebbe una piccola centrale nucleare per dimezzare queste brutture. Io continuerei ad includere tutte le nostre Università nello studio di nuovi strumenti per creare energia dai moti marini. Saluti
come ho scritto nell’articolo alla base del problema c’è una richiesta di energia “inutile” alle reali necessità, ma purtroppo il nostro stile di vita si sta sempre più allontanando dalla consapevolezza di essere degli esseri viventi in un mondo vivente con ritmi naturali. Detto questo, è anche indicato il peccato originale: il monopolio delle multinazionali che devono creare profitto. Dal 1980 studio e pubblico sulle energie rinnovabili. Vanno installate come risposta alle necessità del territorio adiacente, non per diventare nuove fonti inquinanti. Vento e sole sono sempre stati i motori energetici della società antecedenti alla scoperta del petrolio. In conclusione, riproporre l’energia nucleare è un discorso talmente giurassico-scientifico che fa rabbrividire. Abbiamo perso l’etica e la grammatica, e siamo sempre più manipolati. Continuerò a scrivere di questi ed altri paradossi del nostro modo di vivere finché avrò vita. È una missione ormai quasi exoterica nata molto tempo fa. Leggete con attenzione. Grazie a tutti
Ogni fonte di produzione energetica, alternativa e non, porta con sé pro e contro e soprattutto paure. Non siamo disposti a cedere, convertire o ridurre. In mezzo a tutto questo, il “fascino” del nucleare sembrerebbe essere una risposta…terribile anche solo immaginarlo.
Per chi non conosce la fisica ed il nucleare nel 2024 sicuramente è una parola terribile, ma molto meglio di strutture sottoposte a stres atmosferici che si fanno e faranno sempre più catastrofici. Prima di essere contrari è meglio informarsi, e magari studiare, da fonti non ideologicamente travisate.
L umanità è un entità incontentabile