“Nasce nell’acqua del Sesia e del Ticino, e un tempo… moriva nel vino”
Il dubbio e la curiosità sono i migliori ingredienti che portano alla ricerca della verità. Consentono una verifica di quanto viene diffuso dalla voce della propaganda che tende a rassicurare e a promuovere se stessa.
Errori del passato riproposti con la transizione Green
Per chi scrive, dal 1980 pioniere delle fonti rinnovabili oggi chiamate a una transizione ecologica in ritardo storico, alcune cose non tornano. In primis il seguito di una politica economico-energetica concentrata in grandi impianti, perlopiù fotovoltaici costruiti su fertili terreni agricoli, anziché perseguire la produzione locale collocata su tutte le superfici piane costruite, con moltissimi vantaggi.
L’elettricità è destinata a una distribuzione puntiforme, verso ogni presa di corrente. Le grandi centrali erano obsolete anche nell’era delle fonti non rinnovabili, non tanto per le perdite nel trasporto, quanto per la necessità di garantire i picchi di richiesta territoriali, quindi, di essere sempre al massimo del potenziale, abusando di fonti primarie e inquinando anche inutilmente.
L’ingordigia di energia elettrica, dal 2011, è stata accelerata dalla quarta rivoluzione industriale; la crescente fusione tra mondo fisico, digitale e biologico suddiviso tra: IA, robotica, Internet delle Cose (IoT), stampa 3D, ingegneria genetica, computer quantistici e ora, le auto elettriche.
Qualche dato: uno smartphone consuma circa 15 Watt al giorno, un PC varia da 65 fino a 250 WH all’ora, a cui si somma quello del monitor, compreso tra 15 e 70 Watt circa. Dati relativi al 2020 pubblicati sul sito di statistica OurWorldInData, indicano che ogni italiano consuma circa 4.554 kWh all’anno.
L’agricoltura, la questione del clima, l’attacco alla terra
Veloce premessa energetica utile per introdurre un altro scenario che, per plurimi motivi, molti dei quali energetici, ha scatenato la recente protesta degli agricoltori in tutta Europa.
Il contesto è vasto e articolato, per addentrarsi occorre essere disposti ad accettare anche l’ipotesi di complotti orditi dalle lobby industriali che detengono il monopolio della produzione e della distribuzione di tutto ciò che può procurare profitto nel mercato globale. Ovviamente, cibo ed energia inclusi.
Dagli OGM alle importazioni sdoganate, i metodi implicano anche azioni di geoingegneria per la rettifica del clima, più volte segnalate e isolate nel limbo delle “scie chimiche”. Fenomeni notati dapprima negli USA a fine ‘900, e poi in Europa, più volte dichiarati attorno al 2007, poi il silenzio.
Come si può reagire? Una proposta: occorre togliere il segreto di Stato sulle irrorazioni di microparticelle del cielo, prima di tutto passando dai sindaci.
Argomenti trattati da una conferenza di Variante Torinese del 4/2/2024, dal titolo: Attacco alla nostra terra, dove alcuni imprenditori e lavoratori del riso prodotto nel vercellese, esponevano le loro singolari esperienze.
Ragionando su riso e terreno italiano
Interessante l’intervento di Simone Ippolito, giovane osservatore climatico che, da 10 anni lavora il riso in ambito industriale, prima che sia immesso nel mercato e nella distribuzione: “l’importazione della materia prima è in continuo aumento, causando una metamorfosi nella lavorazione del riso stabilita dalle multinazionali del cibo”.
Dal 2018 nell’UE sono aumentate le importazioni di riso da Pakistan, Bangladesh e soprattutto Myanmar; con varietà asiatiche prodotte a costi inferiori e gestite dalle multinazionali, generando una concorrenza sleale.
Dal 2019, con l’istituzione di dazi doganali sul riso lungo, in Italia le cose sono migliorate, ma altre qualità restavano a pedaggio zero, così che, nel 2020, l’allora ministro dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, aveva chiesto ai referenti di Bruxelles di introdurre i dazi anche su altre varietà.
A tal proposito, Emanuele Occhi, responsabile del riso per Coldiretti spiegava: “L’Europa con le imposte ha bloccato l’arrivo del riso Indica, ma il Myanmar è anche un gran produttore di varietà Japonica” (emula dell’arborio).
Le risaie distribuite nel cosiddetto “triangolo d’oro” tra le province di Novara, Vercelli e Pavia, fanno dell’Italia il primo produttore di riso in Europa (il 50%), sia come quantità che come qualità, quali l’Arborio e il Carnaroli. Eccellenza a economia circolare, mentre per i chicchi asiatici è un’altra storia.
Simone Ippolito segnalava che qualsiasi varietà di riso asiatico subisce già uno stress termico alla partenza da regioni calde del globo, chiuso in sacchi di plastica e stoccato nei container, prima di essere imbarcato per un lungo viaggio. La crisi del Mar Rosso infine, sta peggiorando la qualità del cereale.
Sulla nave il prodotto affronta temperature esterne anche di 45° e l’attuale rotta attorno all’Africa aumenta i costi e peggiora le sorti della merce, esposta a varie fasce climatiche prima di arrivare in Mediterraneo. Da qui risulta che molto del riso che arriva sulla tavola è di bassa qualità, poiché il 50% di quello italiano è miscelato con quello di importazione.
Attacco ai terreni e la lusinga del fotovoltaico
Nel corso del congresso, stabilito che la geoingegneria è in grado di interagire col clima, al di là del riscaldamento globale si faceva notare che, comprovati rilasci di ossidi da velivoli N.N., non sono mai cessati e nella Pianura Padana, in pochi anni il crollo delle precipitazioni è stato del 200%.
Fenomeni estremi a parte, veniva denunciato un poliedrico piano per portare allo stress i coltivatori, anche attraverso una politica delle acque “imposta” da leggi europee in ambito Green, mettendo gli agricoltori con “l’acqua alla gola”.
La politica è al corrente di certe alterazioni del clima, così come dell’obiettivo delle multinazionali del cibo, di imporre i loro prodotti. Per ridurre la fertilità dei cereali, il mezzo è controllare l’acqua. In seguito a siccità ed eventi estremi, in certe zone della Pianura Padana la produttività si è ridotta anche del 70%. Siccome in quest’area si produce l’80% del prodotto agricolo italiano il quadro è doloroso. Ed è qui che si inserisce la lusinga del fotovoltaico.
In Italia il potenziale fotovoltaico installato è di 20.000 MW. In quest’area padana sono 1500; il progetto è di aggiungere 3500 MW, quindi servono 5000 ha di terre. Se sottratte all’agricoltura, mancheranno 90.000 t di alimenti sulle nostre tavole. Un prodotto che sarà importato dall’estero; mestiere delle multinazionali del cibo. Troppi interessi, un solo lembo di pianura.
Gli espropri e l’attacco al cibo DOP made in Italy
Forte intervento di Andrea Maggi, risicoltore e osservatore ambientale, sui metodi delle aziende energetiche per acquisire la terra e come evitare gli espropri, per ora legittimi solo per installare stazioni elettriche ed elettrodotti. Per evitare altre insidie, Maggi ha invitato gli agricoltori a giocare d’anticipo, cercando tutti i documenti utili che tutelano la terra; sia nazionali che regionali e locali, soprattutto se relativi all’impatto ambientale.
Serve prudenza, perché le aziende dei parchi fotovoltaici agiscono in modo ambiguo. Dapprima affittano i terreni, lasciando l’agricoltore a coltivare sotto i pannelli secondo un piano agricolo-voltaico, che prevede i pannelli fotovoltaici installati a un’altezza che consente il transito di macchine agricole. L’intento è generare colture ed energia allo stesso tempo e senza conflitti, ma in molti casi il raccolto consentito non si rivela più redditizio.
Andrea Maggi spiegava che, a quel punto ci si trova davanti a contratti capestro senza recesso e al proprietario che ha ceduto l’uso dei terreni, non resta che venderli alla multinazionale. In questo caso, Maggi consiglia di affidarsi a un notaio molto preparato, poiché altre sorprese sono in agguato.
Un altro elemento avverso è stato il decreto europeo sul deflusso minimo ecologico delle acque destinate al pesce. Un valore che, a causa della siccità è stato triplicato, impedendo di fatto l’uso delle acque del torrente per rifornire le risaie. Coperta corta, lotta sleale: “quando fanno energia prendono i fondi del PNRR e noi paghiamo gli interessi”.
Sagace un intervento sulle fabbriche per fissare la CO2: “è una stupidaggine, le piante lo fanno gratis e fanno pure ombra, abbassando la temperatura”.
Sull’esproprio, un messaggio da Cerignola: “non bastava l’olio tunisino o il grano dell’Ucraina, ora vogliono i terreni per costruire parchi eolici. La regione ha dato il permesso in un luogo molto fertile. Tramite un avvocato abbiamo bloccato il progetto”.
Stanno nascendo dei gruppi dal produttore al cittadino in tutta Italia; l’alternativa sarà il cibo sintetico e la farina d’insetti: “ogni regione deve creare un database dei gruppi di produzione di cibi sani, dal produttore al cittadino”. Medesime testimonianze dagli agricoltori siciliani.
I dispacci al Parlamento Europeo sono esplicativi: “il fotovoltaico sta occupando i terreni agricoli e l’Italia sta diventando un enorme parco fotovoltaico gestito dalle aziende dell’energia”.
Ma l’Italia non è il Texas, ha un territorio collinare per il 41,6% e il 35,2% è montuoso, solo il 23,2% è di pianura (il 7% cementificato). Per il cibo DOP made in Italy e per l’agro-voltaico lo spazio è ristretto.
È a questo punto che si ritorna al capitolo iniziale, al pretesto per questo breve excursus tra risaie & fotovoltaico da moltiplicare con quasi tutto ciò che adoperiamo.
Le grandi centrali ad energia di origine fossile erano un errore che si sta ricandidando adesso. Specie il fotovoltaico può essere prodotto a poca distanza dalla presa elettrica. La strada intrapresa a Strasburgo con la Direttiva Casa Green approvata il 14 marzo 2024, lascia aperta la speranza di una seria, seppur tardiva presa di coscienza dell’UE, per legiferare con giudizio nel molteplice scenario “sostenibile”, vitale per l’Italia e il Vecchio Continente.
Grande articolo, sempre incisivo, grande Carlo
Sì,
Purtroppo ai mali di ieri se ne aggiungono sempre altri. Gli uomini hanno perso l’orientamento, sono sempre più schiavi di un assurdo consumismo che finirà per distruggerli.
Bell’articolo, grazie Carlo.