
Il popolo palestinese usato come ostaggio nella sua guerra personale contro lo Stato ebraico
Perché insisto con questo tema, perché ancora non si sono capiti abbastanza le ragioni di Israele in questo sporco conflitto. C’è voluto quasi un anno per accorgersi che Hamas usava il popolo Palestinese come ostaggio nella sua guerra personale contro lo Stato ebraico. Ora lo hanno capito anche quelli della stampa, forse non tutta, però le dichiarazioni di Yahya Sinwar il leader di Hamas, pubblicate dal Wall Street Journal, hanno aperto gli occhi, si spera. Le vittime palestinesi sono «un sacrificio necessario»:“le parole del leader di Hamas – scrive Riccardo Cascioli – non sono soltanto dimostrazione di cinismo politico, ma esprimono quel nichilismo mortifero tipico del jihadismo”. (Il Caso.
Hamas vuole i morti palestinesi, è ora di capirlo”, 14.6.24, Lanuovabussola.it)
«Le morti dei civili sono un sacrificio necessario» e «Abbiamo portato Israele esattamente dove volevamo», indicano molto chiaramente la strategia di Hamas e il cinismo dei suoi leader. Tuttavia, ci sorprende la sorpresa di tanti commentatori. Infatti, che il modus operandi di Hamas e che la carneficina dello scorso 7 ottobre, con ostentazione dei video che mostrano la ferocia degli aggressori,“avesse proprio l’obiettivo di scatenare la reazione di Israele era già abbastanza chiaro”. Come Cascioli ero convinto anch’io di questo. Dopo la carneficina del 7 ottobre, Hamas contava proprio sulla vendetta di Israele, funzionale al disegno di far saltare tutto il Medio Oriente per poter alla fine affermare la sua legge.
“La morte di tanti civili palestinesi è musica per le orecchie dei terroristi di Hamas, che hanno sempre usato i civili come scudi umani, perché sanno che tanti morti palestinesi significano maggiore sostegno alla loro causa”. I jihadisti di Hamas, almeno con l’atto terroristico del 7 ottobre, hanno usato la stessa strategia dei partigiani comunisti tra il 43 e il 45 nella guerra contro il nazifascismo. Ricordate l’attentato terroristico di Via Rasella a Roma dei Gap (Gruppo Armato Partigiano) è stato fatto proprio col preciso scopo di scatenare la reazione dei nazisti che si stavano ritirando da Roma.
Ai partigiani comunisti interessava la rappresaglia tedesca che avrebbe innescato l’odio contro lo straniero, soprattutto dopo l’eccidio degli italiani alle Fosse Ardeatine. Di questo episodio si è occupato Vittorio Messori,che ha scritto: «i comunisti volevano attizzare l’odio della gente contro i nazisti e ottennero inoltre di eliminare molti partigiani non marxisti. […] I partigiani che colpirono in via Rasella avevano messo in conto una rappresaglia feroce come quella che poi si verificò alle Fosse Ardeatine. Così la Resistenza aveva raggiunto il suo obiettivo: l’odio contro i tedeschi si era riacceso».
Sostituite i tedeschi con gli israeliani ed è fatta. Episodi simili se ne possono raccontare diversi, come quello di Milano tra il 9 e il 10 agosto del 1944, anche qui i partigiani comunisti fecero saltare in aria un maresciallo tedesco, ben disposto verso la popolazione, chiamato dalle massaie, el Carlun. “I morti furono sette: cinque soldati tedeschi, compreso il grosso maresciallo, e due popolane milanesi. I feriti una trentina. L’attentato ruppe la tregua e fu l’inizio di una catena di lutti”. L’attentato ha acceso la rappresaglia dei tedeschi, quello che desideravano i partigiani. come a Roma, nessuna giustificazione “militare”, solo motivazioni politiche che, tra l’altro, portarono alla morte anche di due donne del popolo con le loro povere borse e delle quali nessuno ha mai parlato. Così come non si parla dei civili romani, tra cui un bambino, uccisi dalla bomba di via Rasella”.
Tornando al movimento terroristico, ad Hamas non interessa fare trattative, soprattutto non interessa fare concessioni, chiede solo la cessazione definitiva della guerra, aggiungendo che un alto numero di morti tra i civili farebbe crescere la pressione internazionale per fermare l’attacco di Israele. Chiaramente non si intende giustificare la “vendetta” di Israele, anche se si comprende che non è facile per l’esercito israeliano combattere una guerra con i civili ovunque. Ma cosa deve fare un governo a cui sono stati macellati barbaramente i suoi abitanti e per giunta catturati un alto numero di ostaggi.
Ricordate il governo americano dopo l’11 settembre 2001? Tuttavia,“le parole di Sinwar non sono soltanto una dimostrazione di cinismo politico, ma anche l’espressione di una cultura che esalta la morte, che la vuole: per gli altri ma anche per se stessi”. Sono anni che gli stessi jihadisti ce lo dicono e facciamo finta di nulla. Dovremmo ricordare il “teorema” di Osama bin Laden: «Noi vinceremo perché amiamo la morte più di quanto gli occidentali amino la vita». Più di uno studioso del terrorismo islamico, ci ha messo in guardia, al cuore del jihadismo c’è una concezione nichilista, un istinto di morte e «non la costruzione di un’utopia». Il portavoce di Hamas, Ghazi Hamad, in una intervista alla tv libanese, dopo il 7 ottobre, aveva esaltato l’azione terroristica, annunciandone anche altre:
«Israele è un Paese che non può avere posto nella nostra terra. Dobbiamo rimuovere quel Paese che costituisce una catastrofe politica, militare e per la sicurezza per gli arabi e le nazioni islamiche, e deve essere finito. Non ci vergogniamo a dirlo, con tutta la nostra forza». E preannunciando altre azioni clamorose fino al raggiungimento dell’obiettivo, spiegava: «Dovremo pagare un prezzo? Sì, e siamo pronti a pagarlo. Siamo chiamati una nazione di martiri, e siamo orgogliosi di sacrificare i martiri». È con questa perversa concezione di martirio che dobbiamo fare i conti, la stessa che ha prodotto attentati suicidi in Europa e negli Stati Uniti, sempre colpendo innocenti. Se davvero si ha a cuore le sorti del popolo palestinese, “si deve prendere atto una buona volta che anche Hamas ne è il carnefice e non il difensore”. Con lo stesso tono c’è un interessante fondo su atlanticoquotidiano, (Daniele Biello, “Così Hamas massacra anche lo ius in bello, nell’indifferenza occidentale”, 15.6.24, atlanticoquotidiano.it)
E’ una strategia nota da decenni. “Sinwar trae profitto dalla morte dei civili di Gaza, definendoli “sacrifici necessari”. Nonostante questa consolidata evidenza l’ineffabile professore Alessandro Orsini – e con lui legioni di “anime” tanto “belle”, puntano il loro dito affermando: “i soldati israeliani sono terroristi, sono la feccia del mondo”. Interessante le riflessioni del giornalista di atlantico sulla guerra asimmetrica e sulle sue regole, le Le convenzioni di guerra nel passato a cominciare dall’antica Grecia, la differenza tra la comunità combattente e quella “civile”. Ricordare i limiti ai quali la guerra è sottoposta: rispetto per le persone (distinzione tra belligeranti e non belligeranti); rispetto dei mezzi (proibizione di utilizzare determinate armi o determinati usi delle armi); rispetto alle cose; rispetto ai luoghi (delimitazione dei teatri operativi, creazione di zone franche ecc.).
Poi ci sarebbe la convenzione dell’Aia, il diritto di rappresaglia. Biello fa riferimento al “combattente popolare”, asimmetrico istituzionalmente, cioè privo della livrea di una forza armata giuridicamente riconosciuta, “si rende forte mediante la consapevole e cercata violazione del principio della separazione tra militari e civili, al fine di gettare in confusione il nemico in uniforme, costringendolo a commettere gesti che da un lato l’opinione pubblica dei Paesi “civili” non riesce a legittimare, dall’altro sono funzionali agli elementi militari della guerra “asimmetrica”. Su tutto questo si staglia la strategia di Hamas che è totalmente criminale. L’uso sistematico della popolazione e delle strutture civili come scudi. “Tralasciando la profonda e ripugnante viltà insita in questi sedicenti combattenti, si manifesta la più netta razionalizzazione del crimine a dispregio del diritto stesso”.
Come noto se una struttura civile sensibile diventa rifugio e deposito di soldati ed armi, questi edifici perdono il loro status e diventano obiettivi legittimi. L’attaccante è tenuto ad avvisare che un attacco a determinate strutture è imminente, al fine di favorire l’evacuazione della popolazione. Dopo di che … fuoco! Hamas ha sempre impedito una vera evacuazione dei civili, bloccando anche le vie di fuga verso l’Egitto, rendendosi, de facto, rea di quei reati che, vasti strati dell’opinione pubblica, imputa alle forze di Gerusalemme.
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