La fidanzata sedicenne gelosa di un autocarro
Siamo a Torino, alla Madonna di Campagna, all’alba di mercoledì 19 agosto 1959. Dall’alloggetto al piano rialzato di via Refrancore 86, dove Donato S. di 23 anni, autista di camion, convive con la fidanzati sedicenne Carmela P., verso le 3:00 si odono urla spaventose e gemiti strazianti. Nello stesso tempo, stralunata e singhiozzante, Carmela esce a piedi nudi, coperta soltanto da una corta camicia da notte, con un troncone di coltello in pugno, si precipita in strada e sparisce in una via laterale. Mentre tutta la casa si sveglia, Donato, sorretto dall’amico Guido, che da qualche tempo dorme nella cucina dell’alloggetto, ha il basso ventre insanguinato e si comprime la ferita con le mani urlando: «è stata Carmela! Sono morto! Sono rovinato!».
Sul posto giunge in breve un’auto della Polizia che lo trasporta a tutta velocità all’Ospedale Maria Vittoria, dove si riscontrano le sue gravissime condizioni: è stato ferito con una coltellata ai genitali e la lama, conficcatasi con violenza nell’inguine, si è spezzata contro l’osso. La punta, di sei o sette centimetri è rimasta nella muscolatura. L’emorragia è stata imponente e preoccupante. Quando i chirurghi estraggono il frammento di lama, rilevano le profonde, e forse irreparabili, lesioni provocate dalla ferita. Dopo la difficile operazione, Donato è ricoverato in prognosi riservata.
La feritrice Carmela è stata arrestata mezz’ora dopo la sua fuga. Si è rifugiata sotto l’androne di una casa di via Montello, per cercare un nascondiglio più sicuro nel cortile: ma, proprio dal cortile, è arrivato un aggressivo cane da guardia che l’ha bloccata in un angolo. Qui l’ha scovata il brigadiere Ciccarelli che, con alcuni agenti, stava perlustrando nel quartiere.
Ecco la ricostruzione della genesi del ferimento.
Carmela P., di sedici anni, nell’inverno passato è giunta a Torino dal paese natio, Ascoli Satriano (Foggia) ed è stata ospitata dalla sorella Maria, abitante in via Verolengo 206. Carmela, bruna, alta, robusta, di forza non comune, viene presto assunta in un’officina meccanica. Qui conosce la giovane Antonietta S., di Casacanditella (Chieti), la quale, le presenta il fratello Donato.
Carmela e Donato s’innamorano e si fidanzano. In attesa delle nozze, il 16 luglio la ragazza va a convivere col fidanzato nell’alloggetto di via Refrancore, cosa decisamente riprovevole per la mentalità del 1959. Scoppia così una lite tra Carmela e la sorella Maria, la quale, per telegramma e lettera, informa i genitori in Puglia della situazione che considera vergognosa. Maria viene presto tranquillizzata da Antonietta, sorella di Donato: «Mio fratello è un galantuomo. Ha promesso di sposare Carmela e la sposerà al più presto». Rassicurata, Maria scrive di nuovo ai genitori, sollecita i documenti per il matrimonio, che giungono a Torino ai primi di agosto, come anche la madre delle sorelle P. Ma quando il lieto fine pare vicino, i rapporti tra i due fidanzati si sono già guastati.
Su questo punto le versioni di Carmela e Donato sono in netta contrapposizione.
Nei primi interrogatori, la ragazza ha dichiarato che Donato non voleva più sposarla e lei ha pensato che non sarebbe stato di nessun’altra donna. Poi escogita una linea di difesa basata sulla provocazione e la difesa personale. Afferma che il fidanzato ha chiaramente manifestato il fermo proposito di non sposarla: il giorno prima le ha addirittura precisato di avere un’altra donna a Carmagnola, da cui, di recente, ha avuto un figlio. Alla disperazione e alla furibonda indignazione di Carmela, ha replicato con dure minacce. La sera prima si sono coricati dopo un ennesimo aspro litigio. Alle 3:00 – prosegue il racconto di Carmela – si è alzata per una necessità, ha acceso la luce e si è accorta che Donato dormiva con un coltello sotto il guanciale: «Ho pensato che volesse uccidermi, il furore mi ha fatto perdere la ragione: ho preso il coltello, ho tirato giù il lenzuolo e ho vibrato un colpo all’impazzata, con tutta la forza di cui ero capace. Poi non ricordo più nulla…».
Carmela, dopo l’arresto, viene trasferita alle Carceri Nuove, nel reparto femminile dei minori. Deve essere interrogata dal magistrato del Tribunale minorile. Secondo il cronista de La Stampa del 20 agosto è facile supporre che non intendesse uccidere Donato, ma infliggergli, per vendetta, un’atroce e barbara mutilazione.
Il giorno seguente, la cronaca riporta le risposte di Donato che dall’ospedale respinge le accuse di Carmela. È sempre in gravi condizioni, non è stato ancora dichiarato fuori pericolo dai medici che non sanno ancora quali conseguenze avranno le lesioni al basso ventre. Donato si è ripreso, ha letto i giornali e controbatte punto per punto la versione della ragazza. «Non è assolutamente vero – dice – che io dormissi con il coltello sotto il cuscino. A che scopo? Il coltello era nel cassetto del tavolo di cucina e là Carmela è andata a prenderlo, dopo aver deciso, a freddo, di mutilarmi».
Donato ha la conferma dell’amico e socio Guido che dormiva in cucina e, nel dormiveglia, ha sentito Carmela entrare in cucina per prendere un oggetto dal cassetto della tavola e, quasi subito dopo, è stato risvegliato dalle grida strazianti di Donato. Guido lo ha raccontato subito dopo l’aggressione.
Donato definisce un’invenzione ridicola la relazione fissa a Carmagnola e la paternità di un bambino. Non ha mai detto a Carmela di non volerla sposare, ma che sarebbe stato opportuno rimandare di qualche mese il matrimonio per mancanza di soldi. Donato, operaio in un’officina di Borgaro, ha comperato un camion usato pagandolo a rate, in società con l’amico Guido. Aveva in programma di iniziare un servizio notturno di trasporto dell’immondizia: «Avrei lavorato di giorno e di notte – dice – e certamente in breve tempo mi sarei, messo a posto. Ma intanto adesso ero pieno di debiti e di cambiali, attraversavo un periodo difficilissimo, non potevo sobbarcarmi anche spese di nozze».
Ammette frequenti liti con Carmela, che riconduce al cattivo comportamento della ragazza: «Non aveva voglia di far niente, non riordinava mai l’alloggio, spesso non mi preparava nemmeno da mangiare… Io allora m’arrabbiavo e la incitavo a diventare in fretta una buona massaia; altrimenti, le dicevo, che razza di matrimonio sarà il nostro?». Nella sera del 18 agosto, è scoppiato l’ennesimo litigio perché Donato e Guido hanno riscontrato dai conti che lei aveva sborsato più denaro del solito per le spese di casa con conseguenti rimproveri di essere troppo sbadata e spendacciona. Poi avevano fatto pace e lui non immaginava certo il feroce ferimento da parte della ragazza: «Ad ogni modo – conclude Donato – per me Carmela non esiste più. Le diano anche cento anni di carcere, a me non interessa niente».
In carcere, Carmela piange e prega: ha parlato a lungo con l’avvocato difensore, procuratole dalla madre e dalla sorella Maria. Il difensore evoca una irresponsabilità, parziale o totale, visto che si parla di una prossima perizia psichiatrica. Richiama poi i “motivi d’onore” quando sostiene come sia indispensabile valutare il grado di responsabilità in base allo sviluppo mentale raggiunto nell’ambiente di vita di Carmela, dove sussistono pregiudizi radicati specialmente su questioni di “onore” e di vendetta. E, a nostro avviso, il retaggio culturale di Carmela in tema di “onore” appare esasperato dal suo caratterino, impulsivo e stizzoso. Anche se nelle prime cronache si è scritto che Donato l’aveva convinta ad abbandonare la famiglia per vivere con lui, presto emerge come la decisione della convivenza provenga dalla stessa Carmela, la quale il 16 luglio, giorno del suo onomastico, si è trasferita a casa del fidanzato. Una decisione che probabilmente ha messo in imbarazzo l’ambizioso Donato, il quale ha investito molto per l’acquisto del camion. L’insistenza di Carmela per le costose nozze ha disturbato i suoi programmi. Certo non era facile convincerla a un rinvio, tanto più col significativo precedente della sorella Maria. Da Foggia giunge infatti la notizia che Maria, il 21 dicembre 1957, quando viveva ancora ad Ascoli Satriano, a diciassette anni, ha tentato di uccidere il suo fidanzato Domenico V., di 23anni, del luogo. Nel giugno dello stesso anno, Maria era già stata denunciata per lesioni personali a danno di Incoronata S., con la quale era venuta a diverbio. Nel timore che il fidanzato volesse abbandonarla, lo ha affrontato, gli ha sparato tre colpi di pistola e lo ha ferito alla nuca. È stata condannata dal Tribunale dei minorenni di Bari a due anni di reclusione. Domenico V., guarito, si è trasferito a Milano.
Nell’ultimo scorcio di agosto prosegue l’istruttoria nei confronti della ragazza, accusata di tentato omicidio. Lei persiste nella sua puerile versione: il cronista giudica più probabile che con la mutilazione volesse vendicarsi del fidanzato, esacerbata dal continuo rinvio delle nozze e offesa dall’accuse di spendere troppo che questi le aveva rivolto nella sera del 18 agosto.
La Procura esamina anche la posizione di Donato che viveva more uxorio con una minorenne, condotta contraria al buon costume, e potrebbe essere incriminato per “sottrazione consensuale di minore”, ma soltanto a seguito di una poco probabile denuncia della madre.
Questa vicenda desta una certa eco in Torino e viene analizzata a caldo dai cronisti de La Stampa: il 20 agosto, a fianco della cronaca è posto un articolo intitolato Aumenta la delinquenza tra i giovani, dove si parla anche di questo caso che insieme al suo resoconto viene a occupare l’intera pagina di cronaca.
La delinquenza minorile rappresenta un problema inquietante, evidenziato dall’aumento dei procedimenti penali a carico di minori: 510 nel 1955, saliti a 900 nel 1958. Le birbe e i ragazzacci del passato oggi rapinano le gioiellerie per avere l’automobile, a causa delle lusinghe della società moderna.
Le manifestazioni di criminalità nelle giovani appaiono più limitate: pochi furti, rari casi di complicità coi maschi in reati contro il patrimonio. Diventano delinquenti, di solito, per motivi d’amore e di «malinteso onore». Del caso di Carmela, il cronista evidenzia la convivenza a soli 16 anni, il primo amore che si è trasformato in desiderio di vendetta per il disonore da lavare col sangue secondo un’aberrante concezione della giustizia.
Così le considerazioni del giornale sull’emergente criminalità giovanile si uniscono a quelle riguardanti aspetti ancestrali della cultura dell’Italia del Sud, in particolare quel “delitto d’onore” verso il quale gli intellettuali del tempo iniziano a manifestare la loro insofferenza.
Un episodio, insomma, che dalla banale cronaca nera viene ad assumere declinazioni sociologiche e antropologiche. La sintesi di tutto questo è rappresentata dall’articolo di Gildo Carigli apparso su Detective Crimen del 22 agosto 1959, rivista a carattere nazionale, col titolo Era gelosa di un autocarro.
Gildo Carigli, cronista di razza, si allarga in analisi psicologiche di Carmela, la quale avrebbe percepito una crescente indifferenza del fidanzato, che non avrebbe saputo apprezzare il suo donarsi prima del matrimonio. Era così nata in lei una gelosia nei confronti del camion che Donato doveva pagare, nel timore che, pagato l’automezzo, questi avrebbe perso ogni interesse per il matrimonio. Il desiderio di vendetta cruenta sarebbe scaturito dall’imitazione della sorella vendicatrice, come leggiamo anche nella didascalia della foto di Carmela: «Dall’auto della polizia Carmela P. posa impassibile per i “flashes” dei fotografi. Sembra soddisfatta d’essere anche lei un “personaggio”, come la sorella, che, due anni fa, aveva ferito il fidanzato che l’aveva lasciata».
Dopo queste considerazioni – per le quale il condizionale è d’obbligo – Gildo Carigli non lesina osservazioni critiche verso la legislazione che al tempo considera il “delitto d’onore”. Sottolinea che la sorella Maria dopo aver sparato al fidanzato, è stata ammirata dai paesani ed è diventata l’eroina del paese, quando è uscita dal carcere «dopo aver scontato una di quelle mitissime condanne che molti giudici ancor oggi riservano nel nostro paese ai così detti delitti d’onore» (*).
Il 24 agosto Donato viene dichiarato fuori pericolo dai medici del Maria Vittoria, anche se resterà ricoverato ancora per un mese e la convalescenza sarà lunga.
Come sempre, la realtà riserva sviluppi inaspettati.
Carmela, dopo otto mesi di carcere preventivo, viene messa in libertà provvisoria, il 22 aprile 1960. Donato, si riavvicina a lei: non ci sono analisi psicologiche per questa decisione che contraddice le recise affermazioni da lui rilasciate ai cronisti in ospedale quando era ancora in prognosi riservata: «Non voglio più saperne di lei, dovessi campare cento anni. È tutto finito».
Accusato di furto aggravato e continuato di automobili, Donato finisce in prigione e qui decide di regolarizzare il suo rapporto con Carmela: il matrimonio viene celebrato da Padre Ruggero Cipolla il 22 settembre 1960 nella Cappella delle Carceri Nuove di Torino dove Donato è detenuto.
La rappacificazione pesa favorevolmente nel procedimento del Tribunale dei minori nei confronti di Carmela, che ottiene il perdono giudiziale. Donato viene posto in libertà provvisoria il 7 ottobre 1960 e va a vivere con la moglie ad Alessandria nell’alloggio dei suoi genitori, in via Caniggia 4.
Ma si direbbe che la relazione fra i due giovani sia nata sotto una cattiva stella. Carmela non va d’accordo né col marito né con i suoceri e si scatenano liti a non finire. Nel febbraio del 1961, dopo un litigio particolarmente violento, Donato decide di espatriare clandestinamente a Marsiglia, dove lavora come camionista. Nella sua decisione ha forse anche influito il fatto che il 3 luglio 1961 doveva essere processato insieme ai suoi complici. Per vari mesi non dà più sue notizie alla moglie, ritornata a Torino a casa della madre. Poi le scrive di dimenticarlo e di rifarsi una vita. Carmela, sospetta che il marito sia in contatto coi genitori. Sul finire di aprile cerca di ottenere dalla suocera l’indirizzo di Donato, senza ottenerlo. Da qui un ennesimo clamoroso litigio.
Il 25 maggio 1961, Carmela compera in un negozio di Lucento una piccola scure e il giorno seguente prende il treno per Alessandria nascondendola sotto il leggero soprabito e tenendola infilata per il manico nella cintura della gonna. Va in via Caniggia, suona il campanello, la suocera sulle prime non le vuole aprire, poi le parla sul pianerottolo. Carmela le chiede l’indirizzo del marito in Francia, la suocera non lo vuole rivelare, la insulta e allora Carmela la colpisce con la scure alla testa e, quando la vede cadere sanguinante, si allontana di corsa e si presenta in Questura dicendo «Arrestatemi, ho ucciso mia suocera».
Viene trattenuta mentre la suocera, soccorsa dai vicini, finisce in ospedale dove le riscontrano una vasta ferita alla parte superiore sinistra della testa con prognosi di 15 giorni. Non può essere interrogata perché in stato di choc, mentre viene riportata la versione di Carmela: non aveva intenzione di colpirla, si è portata la scure più che altro per spaventare la suocera e per farle finalmente rivelare l’indirizzo del marito in Francia. Carmela finisce in carcere dal 27 maggio e, il 27 novembre 1961, si celebra il processo ad Alessandria per tentato omicidio. Sostiene che intendeva soltanto spaventare, non uccidere la suocera. Questa dà prova di una impressionante loquacità e attesta tutta la sua animosità, tanto che a Carmela viene concessa l’attenuante della provocazione! Dopo l’arringa appassionata dell’avvocato difensore e 45 minuti di Camera di Consiglio, viene condannata per lesioni volontarie aggravate a ventun mesi e dieci giorni di reclusione. Alla suocera è attribuito il risarcimento simbolico di una Lira. Nel corso del dibattimento, viene esibita una lettera del marito, che promette di andarla ad attendere all’uscita dalla prigione.
La pena è confermata dalla Corte d’Assise d’Appello di Torino il 5 ottobre 1962. Si dice anche questa volta che il marito le avrebbe scritto dalla Francia per dirle che vuole riaverla con lui. Dovrà attendere altri sei mesi per la conferma della pena, ma, grazie a un’amnistia, il 27 gennaio 1963, Carmela viene messa in libertà. Le cronache non ci dicono se Donato sia effettivamente andato ad attenderla, tanto più che aveva dei conti in sospeso con la giustizia italiana.
Si concludono così le avventure di Carmela riferite dalle cronache dei giornali.
Le vicende della sorella Maria, alla quale abbiamo accennato nei primi momenti della vicenda, le racconteremo un’altra volta.
(*) Questo episodio rievoca le critiche alle disposizioni dell’articolo 587 del Codice Penale riguardanti il “delitto d’onore”, che avranno il loro culmine negli anni successivi, anche con libri e film, per giungere all’abolizione di questo articolo con legge n. 442 del 1981. Ricordiamo il romanzo di Giovanni Arpino Un delitto d’onore (1960); i film Divorzio all’italiana (1961) di Pietro Germi; Una questione d’onore (1965) di Luigi Zampa; La ragazza con la pistola (1968) di Mario Monicelli, con Monica Vitti e Verginità di Marcello Andrei (1974).
L’autore ringrazia Federico Cavallero per la preziosa collaborazione.
La figura di apertura è stata generata dall’intelligenza artificiale.
