Ma che cosa sappiamo veramente di lui?
Durante il mio soggiorno in Sicilia, caratterizzata da una anticipata “Estate di San Martino”, ho letto “Carlo Magno”, di Gianni Granzotto, “Arnoldo Mondadori Editore (1978, III edizione). Quello di Granzotto è un testo tra i più conosciuti sulla figura del re Franco. Segnalo subito che non c’è una bibliografia di riferimento nel testo, ma si comprende che il giornalista veneto, conosce bene l’argomento, come si può riscontrare leggendo i dieci capitoli dell’opera. Per la maggior parte i suoi riferimenti sono la biografia di Eginardo. Di Carlo Magno di solito si ricorda la sua incoronazione in S. Pietro nella Notte di Natale dell’800, oppure dell’imboscata di Roncisvalle dei suoi paladini uccisi dall’esercito musulmano.
Ma che cosa sappiamo veramente di lui? Che uomo era? Il libro di Granzotto costituisce una specie di itinerario per rispondere a questi interrogativi. Si tratta di un vero viaggio nel tempo che fa diventare Carlo Magno un nostro contemporaneo. Per conoscere meglio questo “viaggio”, il testo propone una cartina dei territori conquistati da Carlo, un uomo dotato di grandi qualità politiche e militari, ma anche un uomo di stato avido di sapere e ansioso di diffondere cultura.
L’autore giustifica il suo interesse per la figura di Carlo Magno in seguito ad un viaggio in Germania, precisamente ad Aquisgrana e di conseguenza ha deciso di percorrere la sua vita, tra i suoi fiumi e le sue città, nelle sue foreste. Il libro racconta semplicemente questa ricerca. Tutto inizia con l’abbazia di San Maurizio, sulla strada del S. Bernardo, nel duro Vallese. In particolare nel chiostro dei frati di S. Maurizio, qui a Granzotto sembrò un luogo perfetto per cercarvi la presenza di uomini che erano vissuti lontani da noi. Un’abbazia già presente tre secoli dopo la venuta di Cristo. Un luogo di passaggio obbligato per tutti i viaggiatori che valicavano le Alpi. Nessuno passava senza avere il consenso o la vigilanza dell’abate del luogo religioso.
Siamo nel dicembre del 753 il grosso frate Uberto scruta dalla finestra la strada che scende al Passo. Qualcuno stava per arrivare, il misterioso personaggio era niente di meno che il Papa Stefano II che si stava recando alla Corte di Pipino il Re dei Franchi per chiedere protezione ai Franchi e non al lontano Bisanzio, che nel frattempo si era indebolito. Bisanzio era in decadenza a causa dell’avanzata di Maometto, scrive Henri Pirenne, che peraltro sostiene in un celebre libro, che Carlo Magno sarebbe inconcepibile senza Maometto. Non mi fermo a raccontare la descrizione che ne fa Granzotto sulla breve permanenza del Papa con i monaci dell’Abbazia e successivamente alla corte di Pipino dove chiede protezione per essere liberato dai Longobardi.
“Mille miglia di viaggio per poche parole”. A questo incontro storico, naturalmente, ha partecipato anche Carlo fanciullo: “gli occhi di Carlo guardavano spalancati la scena straordinaria di quell’uomo indifeso e potentissimo, giunto da lontano, da paesi ignoti, che la sua mente appena immaginava come luoghi da favola”. Oltre alla figura del re Pipino, occorre puntare l’attenzione sulla regina Berta, donna intrepida, scrive Granzotto, di molta energia nel governo della casa e dei figli, influente sia negli affari di Stato che a quel tempo si confondevano con gli affari di famiglia. Granzotto è un ottimo scrittore e giornalista che sa descrivere i vari personaggi che passa in rassegna nel libro. La descrizione del Papa è esemplare (l’uomo delle cordelline).
Il II° capitolo (Natale di Heristal) La famiglia di Carlo aveva le sue radici a Heristal, un borgo sulla Mosa a poche miglia da Liegi. Il castello, la “casa dei signori”. Anche qui Granzotto descrive appassionatamente il castello, il territorio circostante, il clima, la natura. Intanto Carlo diventa adolescente e partecipa alle spedizioni militari del padre, erede primogenito, quando Pipino muore all’improvviso all’età di 54 anni, prende il suo posto. Pipino trascorre gli ultimi giorni della sua vita al monastero di S. Dionigi e poi a Tours sulla tomba di S. Martino. Il Regno viene spartito tra i due figli Carlo e Carlomanno sotto lo sguardo dell’inossidabile Berta. Carlo pertanto cominciò il suo governo con un Regno disuguale, con diverse lingue, costumi, tradizioni, fedi religiose.
Intanto, il quadro politico era mutato, il Papa era Stefano III e c’erano i Patti di Quierzy da rispettare, quelli tra il Pontefice e Pipino; la spartizione geografica, la Promissio di Pipino che si impegnava a porre sotto la sovranità del Papa tutte le terre italiane che si trovavano al di sotto della linea di demarcazione dalla Lunigiana al Monselice. I Franchi al di sopra di questa linea avrebbero avuto mano libera. Vi erano diversi elementi di incertezza, scrive Granzotto, per il giovane regno di Carlo. In particolare c’erano alcune spinte alla secessione e all’indipendenza da parte di certe province e di popoli aggregati alla Corona di Pipino.
A cominciare dell’Aquitania, della Baviera e poi i Sassoni. Mentre al Sud c’erano minacciosi i soliti Saraceni. Carlo aveva a proprio vantaggio, la giovinezza, una lunga strada per il futuro. Intanto aumentava il contrasto con i Longobardi. Il libro com’era prevedibile, si occupa anche della sua vita personale, in particolare dei tanti matrimoni. Carlo Magno celebrò infatti ben 5 matrimoni ed ebbe 19 figli. In ordine cronologico le donne con cui si sposò furono: Imiltrude, Ermengarda, Ildegarda, Fastrada e Liutgarda. Da Imiltrude, giovane donna di nobiltà franca aveva avuto un figlio, disgraziato nel fisico, chiamato appunto Pipino il Gobbo. Quanto alle figlie Carlo, ebbe sempre una particolare simpatia; per quanto riguarda le mogli, non si sentiva vincolato e fedele.
“Erano per lui – scrive Granzotto – una compagnia necessaria, ma senza alcuna interferenza sulla propria libertà e tanto meno sui suoi obblighi e interessi di principe”. Il III° capitolo è dedicato alla principessa Ermengarda. Bisognava togliere vigore alla tracotanza longobarda attraverso un legame dinastico, “di quei vincoli di famiglia costruiti dalla diplomazia e dei quali tutta la storia è tanto ricca d’esempi”. Berta presa parte in questo complotto. Andò a Pavia per trattare segretamente i termini dell’affare: Qui trovò alleata Ansa, la regina consorte di Desiderio. Il matrimonio di Carlo ed Ermengarda poteva significare la fine della politica di alleanza tra il papato e i Franchi. Nel 770 la figlia di desiderio viene consegnata nelle braccia della suocera per essere condotta fino all’altare.
Intanto Carlo aveva ripudiato Imiltrude, il gesto era frequente a quei tempi in casa dei Merovingi. Tuttavia, la nuova consorte non soddisfa Carlo, l’aveva immaginata diversa. Ermengarda era malaticcia, cagionevole di salute. “Inabile a menar prole”, una condanna fatale per chi si preparava ad essere incoronata regina. Dopo la sentenza dei medici, Ermengarda fu abbandonata da Carlo, praticamente considerata morta. “La pallida figlia di Desiderio rimase piangente tra le stanze del Palazzo pronta per essere rispedita a Pavia”. Intanto Carlomanno anch’egli malaticcio muore giovane e così Carlo prese tutti i territori del fratello. Il IV° cap.
“Le Pasque di Roma”. Qui il libro ripercorre la campagna militare dell’esercito franco di Carlo in Italia. Il passaggio del Moncenisio a Susa e poi la permanenza dai monaci benedettini nell’abbazia di Novalesa dove inizia la Val di Susa. Lo scrittore descrive con minuziosità la strategia militare di Carlo per sconfiggere l’esercito longobardo di Desiderio presso le Chiuse di S. Michele. Naturalmente per capire occorre sempre calarsi nel periodo storico, con tutte le difficoltà dei difficili percorsi e soprattutto della non conoscenza del territorio. Bisognava affidarsi alle informazioni dei monaci, dei pastori, dei viandanti. Avere delle guide sicure ed esperte per non incorrere in pericoli o agguati.
La battaglia delle Chiuse suonò la campana a morto per il dominio longobardo in Italia. Da questo momento nasceva il mito di Carlo Magno con tutte le fantasie da corollario. La nuova moglie di Carlo Ildegarda, bionda e giovanissima, lo raggiunge sui campi di battaglia, sotto le mura di Pavia, quasi a sfidare Ermengarda, involontaria rivale. Ildegarda passeggiava davanti alla città provocante col figlio in braccia, appena venuto alla luce, allattandolo sotto le tende. Ma prima della sconfitta definitiva di Desiderio, Carlo viene ricevuto a Roma dal nuovo Papa Adriano. Carlo si presenta come il nuovo Patrizio dei Romani, venuto dalle Gallie, difensore della Chiesa che aveva liberato Roma dalla minaccia Longobarda.
E’ la sua prima visita. Grande festa, grande gioia del popolo romano che acclama il nuovo re dei Franchi. Siamo nel 774 d.C. Roma da sempre aveva esercito in Carlo una grande attrazione. Granzotto cerca di farci rivivere quei momenti storici importanti, sembra di viverli insieme, io che scrivo e voi che leggete. La dinastia franca aveva mantenuto l’impegno di salvare Roma e l’Italia dai Longobardi. Intanto Desiderio venne sconfitto, si consegna prigioniero e termina la sua vita in un convento. A questo punto il testo si interessa dell’Oriente, l’Impero Bizantino, in questo momento in mano ad una donna, Irene, una femmina enigmatica, cui si attribuivano strane abitudini di mollezza, di lussuria.
Ma soprattutto immagine di una donna potente e fama di essere crudele. Il V° cap. (Quarantasei anni di guerra) furono proprio gli anni del Regno di Carlo. Un regno lunghissimo, “una cavalcata interminabile che s’inoltrò nella Storia per quasi mezzo secolo”. L’autore della biografia descrive le varie campagne militari, che si svolgevano quasi sempre a primavera e poi la composizione dell’esercito, con i suoi fidati paladini. Infine la guerra più insidiosa quella contro i Sassoni, le varie contraddizioni, sulla moralità della guerra contro i cosiddetti infedeli. Nonostante tutto secondo Granzotto c’era un esplicito collegamento tra l’allargamento politico del regno e l’allargare i confini della Fede.
Il testo fa riferimento all’increscioso episodio di guerra di Verden, dove i prigionieri sassoni come buoi al macello furono massacrati dall’esercito Franco. Anche se Carlo aveva offerto ai vinti la possibilità del riscatto nel caso si convertivano alla nuova religione. Tuttavia non tutti avevano approvato la ferocia di Verden, a cominciare da Alcuino, monaco britannico, che si rifaceva a S. Agostino, che sosteneva che la fede non si può imporre con la forza. “L’uomo può essere condotto alla fede, non essere costretto”. Scriveva Alcuino: “Bisogna mandare in Sassonia sapienti missionari istruiti dall’esempio degli Apostoli, che siano predicatori e non massacratori o predoni”.
Carlo ascoltava Alcuino ma in fondo era ancora un barbaro. Cap. VI° (Carlo Magno com’era) Granzotto per avere un’idea del ritratto di Carlo invita a guardare la statuetta della copertina del libro, tuttavia ci basiamo sulla biografia di Eginardo, l’unico documento che ci rimane. Carlo aveva un comportamento virile, praticava esercizi corporali, cavalcava, nuotava, andava a caccia. Aveva orrore della pigrizia e dell’ozio. Lo infastidiva la volgarità, il disordine e la disonestà. Rigoroso e ossessivo nell’igiene corporale. Amava molto i cavalli. Raccoglitore di reliquie. Non si separva mai della spada.
Attorno a sé aveva tanti maestri e uomini di cultura. Fu considerato un novello Davide. VII° cap. (I bagliori di Bisanzio) Su questo tema Granzotto in premessa vuole chiarire che l’unico potere che sfuggiva a Carlo era il mare. Lo sentiva ostile, lo vedeva come un nemico subdolo ed invisibile. Affrontando il tema del potere a Bisanzio, c’è stato un momento in cui sembrò vicino un matrimonio con la basilissa Irene che sapeva leggere e scrivere, parlava greco e latino, conosceva i poeti, era una donna di cultura. Irene era nata ad Atene, era rimasta vedova in giovane età. Non voleva amanti perché non voleva nessun padrone sopra di sé.
Pare che non avesse mai ceduto nemmeno in segreto. Un primo approccio tra le due corti si ebbe quando Irene offrì il proprio figlio Costantino per un matrimonio con la figlia di Carlo, Rotruda, che poteva diventare imperatrice. Un patto pericoloso ma nello stesso tempo affascinante. Tuttavia c’erano motivi politici per rifiutare l’offerta, anche se alla fine il matrimonio svanì. Il testo si occupa anche della disputa teologica, e non è la prima volta, a Bisanzio. Il tema era l’abolizione delle immagini sacre perchè sviluppavano secondo i teologi bizantini l’idolatria. A Costantinopoli erano convinti di combattere l’insidia demoniaca delle immagini.
La battaglia prese il nome di iconoclastia, distruzione delle immagini. Si arriva poi al Concilio di Nicea nel 787 ristabilendo il culto delle immagini distinguendo tra adorazione riservata a Dio e la venerazione ai santi e alla Madonna. A questo proposito nella questione entra anche la Corte di Carlo che produce un documento chiarificatore sulle immagini sacre che prende il nome di Il “Capitolare delle immagini”. Cap. VIII° (Aquisgrana, la nuova Roma) I Franche e lo stesso Carlo, sento l’esigenza di una nuova città, con un Palazzo che possa ospitare tutti i notabili presenti intorno a Carlo.
La scelta cade su Aquisgrana, dove sostanzialmente si cercò di replicare ai fasti di Bisanzio. Carlo in persona guidava i lavori giorno e notte. Intanto la nuova regina Liutgarda, gli stava accanto. Naturalmente il testo si sofferma nei particolari delle costruzioni, ma io sono obbligato alla sintesi. IX° cap. (l’Incoronazione) Arriviamo all’anno 800, sul tema c’è tanta letteratura, e Granzotto lo sa. Comunque Carlo era rimasto solo, non aveva più Liutgarda, il Papa Adriano era morto e anche Alcuino. I tre punti cardinali della sua persona scomparvero insieme. Il Papa ora era Leone III, che prima dell’incoronazione subisce una grave aggressione, rischiando addirittura di essere ucciso dai congiurati.
A stento riesce a salvarsi rifugiandosi a Spoleto che qui lo raggiunge il figlio di Carlo che lo condusse a Paderborn vicino Amburgo. “Per la seconda volta il Vicario di cristo era venuto ad implorare soccorso nella casa dei Franchi […]”, scrive Granzotto. Successivamente rientrato a Roma nel 799 si assiste al processo nei confronti del Papa, Carlo è presente, a lui spetta la sentenza. Il Papa viene assolto e il 23 dicembre si tenne la cerimonia del giuramento. Due giorni dopo Leone III incorona Carlo Magno imperatore. In quella notte nasce qualcosa di nuovo. Un impero frutto delle menti dei sapienti. Ci sono diverse valutazioni da fare, almeno quattro, sull’avvenimento storico, ma dobbiamo avviarci alla conclusione. Il X° capitolo si occupa della morte dell’imperatore.
Gli ultimi anni di Carlo furono molto simili a tutte le altre vecchiaie di uomini e donne più o meno illustri.
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