
Di Alessandro Mella
In più d’un testo abbiamo raccontato dei rapporti importanti che hanno legato i regni di Portogallo ed Italia tra la seconda metà dell’Ottocento ed i primi anni del Novecento.
Rapporti la cui intensità crebbe sensibilmente al tempo in cui Lisbona ebbe per regina una principessa italiana nella persona di Maria Pia di Savoia figlia del compianto Vittorio Emanuele II. Questo fattore contribuì moltissimo agli scambi politici e commerciali tra i due paesi ma, anche, all’interscambio di artisti, talenti, tecnici, operatori di ogni settore, forza lavoro e figure di ogni genere. Tra loro non mancarono gli architetti, gli scenografi ed i decoratori. Tutte figure pienamente riassunte da quella di Luigi Manini. (1)
Egli nacque a Crema, l’8 marzo del 1848, un anno difficile per la Lombardia e nel quale si sperava nella libertà e ad essa si ambiva, non senza lotta, tra tanti sacrifici purtroppo vanificati dall’infelice esito della pur coraggiosa Prima Guerra d’Indipendenza italiana. Il Manini, quindi, crebbe suddito dell’Imperial Regio Governo del Lombardo Veneto e sotto il ferreo giogo di Vienna.
Questo non gli impedì di studiare, in età giovanile, con Antonio Polgati e Ferdinando Cassina spostandosi tra Milano e Brescia e, dal 1868 pochi anni dopo la nascita del Regno d’Italia, di iniziare ad esercitare la professione di decoratore.

Non gli mancarono piccole ma significative commissioni come la Chiesa di San Bernardino degli Osservanti nella sua città natale e poi altre chiese e residenze private grazie alle quali egli si fece notare ed apprezzare. Lavori che divennero un’utile e preziosa esperienza quando, poco dopo, andò a frequentare la celeberrima Accademia di Brera. Allievo di quel Carlo Ferrario che lasciò sulla sua formazione un’impronta indelebile.
Dopo gli studi milanesi Manini decise di trasferirsi, nel 1879, in Portogallo dove, quale prima esperienza, lavorò al Teatro Real de Sao Carlos. Nel 1888 si occupò della residenza reale di caccia del Bucaco e delle scenografie di diverse opere teatrali (l’Aida, Il Guarany, Lohengrin, Mephistoles e l’Otello) nonché di importanti palazzi come il Cottage Sassetti, il Palazzo Biester, il Palacio de Regaleira, la Villa Reloio, lo Chalet Mayer, il Teatro Sao Luis ed altri ancora. La sua opera, così intensa e vivace, gli valse la stima e la viva simpatia dell’ultimo Re del Portogallo Manuel II il quale, asceso giovanissimo al trono in modo del tutto imprevisto dopo l’assassinio del padre e del fratello, aveva sostenuto convintamente l’architettura la cui rinnovata stagione, proprio da lui, assunse il nome di neo-manuelina:
Il Manini stette a Lisbona quasi quarant’anni, sempre lavorando intensamente. La sua attività era divenuta proverbiale. Re Manuel II s’era interessato vivamente di questo italiano immaginoso e l’aveva favorito di doni e colmato di onorificenze. Tuttavia il Manini amava tenersi estraneo agli onori. Era anzi un misantropo. Quest’uomo che creava dimore favolose, dalle architetture fantastiche, rifuggiva dal mondo vero quasi con morbosa selvatichezza. (…) Il Manini seppe maestrevolmente fondere le tradizioni di quest’arte con quelle del Rinascimento italiano creando quello stile che fu detto manuelino dal Re che, amico del Manini, lo protesse e lo incitò. (2)

L’entusiasmo cresciuto attorno alle sue opere ed alla sua maestria, la stima ed affezione che seppe meritare, gli valsero, nel 1906, la concessione del titolo di Commendatore del Real Ordine di Nostra Signora di Vila Vicosa. (3)
Onorificenza ancor oggi patrimonio dinastico della Real Casa del Portogallo con gran maestro il Capo della Real Casa del Portogallo, Dom Pedro Duca di Braganza e di Loulè.
Ordine che molte volte ha ornato ed orna il petto di numerosi italiani. Quest’importante concessione, tra l’altro, ebbe funzione nobilitante così che la genealogia del Manini comparirà nell’ormai prossima XXXIII edizione dell’Annuario della Nobiltà Italiana (Parte III – Cavalleresca) diretto da Andrea Borella. (4)

A Lisbona il nostro si coprì di gloria e considerazione e poté, con il suo inteso lavoro, accumulare una piccola fortuna che gli permise, attorno al 1912-1913, di tornare in patria e di stabilirsi con la moglie, Teresa Bacchetta che gli aveva dato due figli, a Brescia ove il Manini prese dimora:
A Brescia, sui Ronchi, lieti di ville, vigneti e di giardini, (…) in una casina che parrebbe costruita per un rifugio ridente, vive il commendatore Luigi Manini che fu scenografo e architetto nomatissimo. (…) Padre amoroso il Manini pensò, più che alla propria vecchiaia, a sopperire alle travagliate e sfortunate vicende dei figli. È giunto al limitare poverissimo. (5)
Come abbiamo letto, le grandi ricchezze accumulate andarono disperse nel tentare di sostenere le sventure familiari. Gli ultimi anni del commendatore furono, quindi, tutt’altro che lussuosi e felici come ai tempi di Lisbona.

Il 29 giugno 1936, ad ottantotto anni, egli si spense nella sua casa per poi essere tumulato nella tomba di famiglia a Cremona.
Tanto nell’arte delle scenografie teatrali, tanto nell’architettura, il Manini produsse in Portogallo tali prodigi da renderlo ancora oggi assai popolare. Eppure, in Italia, malgrado mostre e pubblicazioni davvero lodevoli, la sua immagine sembra offuscata da un velo d’oblio.
Alessandro Mella
NOTE
1) Su questa figura si consiglia comunque: Luigi Manini (1848-1936) Architetto e scenografo, pittore e fotografo. Catalogo della mostra (Crema, 6 maggio-8 luglio 2007), G. Piccarolo (a cura di), G. Ricci, Milano, 2007.
2) Il Corriere della Sera, Anno XII, 17 gennaio 1934, p. 3.
3) Concessione indicata in “A Ordem Militar de Nossa Senhora da Conceição de Vila Viçosa” di Francisco Belard da Fonseca, 1955.
4) La genealogia è consultabile in: Annuario della Nobiltà Italiana, Andrea Borella a cura di, XXXIII edizione, Parte III, Tomo II, p. 2295.
5) Il Corriere della Sera, Anno XII, 17 gennaio 1934, p. 3.