
“La partenza è prevista a metà estate, quando la stella del cane sorge al mattino”.
Così scrive lo scrittore greco Luciano di Samosata nel II secolo d.C., riferendosi al lungo viaggio che porta alcune delle navi più grandi dell’antichità (si parla di sessanta metri di lunghezza, con un carico di circa 500 tonnellate) da Roma in Egitto e in India, per il trasporto del bene più prezioso e più richiesto: le spezie. Il cane è la costellazione del cane maggiore, la cui stella è Sirio, la più luminosa di tutte, che sorge nel primo mattino, con il sole, tra il mese di luglio e quello di agosto; i naviganti devono tenere conto del movimento del cielo e degli eventi atmosferici, sarà solo il monsone, il forte vento equatoriale ricorrente, che porterà le barche a destinazione, nel sud dell’India, dove si potranno caricare le desiderate spezie, soprattutto il pepe, ma anche le zanne d’elefante, l’incenso, l’olio di nardo, con il quale sembra siano stati cosparsi i piedi di Gesù.
Il viaggio è lungo, si arriva in India alla fine di ottobre e si riparte tra dicembre e gennaio. In agguato i pirati, la carenza di vitamine che provoca lo scorbuto, la costrizione in ambienti affollati che porta i marinai a desiderare intensamente la discesa nei porti della tratta e i servizi che possono trovare a terra: cibo, qualche bevuta e donne a poco prezzo. Devono stare attenti però, il carico delle navi ha un valore enorme, si è stimato, grazie al ritrovamento di un papiro che elenca il contenuto della stiva di una nave chiamata Hermapollon, che il carico varrebbe come un terzo dell’intero patrimonio di due uomini molto ricchi, così sostiene Antinucci. Una cifra impensabile all’epoca, che non doveva essere persa e per questo i lunghi viaggi commerciali venivano “dotati” di soldati armati, tenuti a proteggere con la vita i preziosi beni caricati.

Non si è riusciti a dare una motivazione al perché il pepe sia diventata la spezia più richiesta e costosa, se lo chiedeva anche lo storico Plinio, che affermava che notoriamente all’uomo piace il sapore dolce e il pepe non lo è, inoltre non serve a molto, non è curativo, non profuma. Certo è che la sua ricerca diventa una necessità legata alla ricchezza, o meglio, all’ostentazione di questa, tanto che i commerci si intensificano ancora di più quando il pepe diventa di moda e per poterlo mostrare ai visitatori della casa e ai clienti, si inventano piatti incredibilmente lavorati e spesso ci si indebita, quando le navi non fanno ritorno.
Più tardi, nel Medioevo, non sono solo i ricchi che possono acquistare le spezie, facendone un uso moderato, fortunatamente gli innumerevoli viaggi (probabilmente più di cento ogni anno) hanno saturato i mercati occidentali, abbassando i prezzi e rendendo i prodotti orientali più diffusi.
L’editto visconteo del 1397 stabiliva i prezzi per pane, carne, pepe, zafferano, cannella, chiodi di garofano e quello che veniva chiamato “piperata dolce” o “piperata forte”, mix di spezie dalle quantità variabili e dal costo mediamente più alto delle altre spezie. Orazio Olivieri, autore de “Le età delle spezie” si basa su queste considerazioni per sostenere che le spezie non fossero un prodotto elitario ma bensì molto più diffuso di quanto pensiamo, ma è pur vero che i viaggi di cui abbiamo parlato erano estremamente costosi e pericolosi, di conseguenza parrebbe normale che anche il prezzo delle spezie importate fosse piuttosto alto.

Le spezie coloravano il cibo, davano gusto, conservavano e mascheravano anche il cattivo sapore del cibo non più fresco, venivano spesso usate come corroborante o come medicina e in particolare era molto amato il vino con le spezie e il miele, usato spesso in inverno per scaldare e far passare i malanni di stagione, un po’ come oggi si usa il vin brulé, che all’epoca romana si chiamava vinum conditum e nel Medioevo ippocrasso. L’ippocrasso era così chiamato in onore di Ippocrate, che si pensava l’avesse inventato, ed era preparato con maestria tecnica, facendo filtrare il vino attraverso le spezie, dopo averlo fatto decantare. L’ippocrasso veniva prescritto anche per i problemi digestivi e per l’alito cattivo, un vero toccasana e un elisir di lunga vita, che tutti potevano preparare, anche con ingredienti alla buona.
Nel 1786 a Torino Antonio Benedetto Carpano inventò il Vermouth, un vino liquoroso con moscato di Canelli, erbe aromatiche e spezie che lo stesso Carpano sosteneva avere radici nei vini speziati dell’antica Roma. Possiamo forse dire che il gusto non cambia con i secoli?